“Vi ho cercato, siete venuti da me, e per
questo vi ringrazio”. Queste parole rimarranno indelebili a
sigillare il rapporto personale di un uomo e di un Papa con l’
intera umanità, con i giovani, con ciascuno di noi. Un rapporto
diretto e quasi “privato” che Giovanni Paolo II ha saputo costruire,
in ventisette anni di pontificato, con parole e gesti che hanno
avuto l’intento di creare un ponte tra l’uomo e Dio. E lo ha fatto
con quelle eccezionali sensibilità e capacità, segno anche di
notevole spessore umano e culturale, che permettono di saper
distinguere il peccato dall’errante.
La grandezza di questo pontefice, come di ogni Papa che abbia
onorato la propria missione, è l’aver saputo testimoniare la verità
sull’uomo rapportandola, puntualmente, ai parametri espressi dalla
fase storica che stiamo vivendo: siamo tutti figli di Dio, dell’
unico creatore da cui proviene la natura umana. E nei rapporti con
noi stessi, con il prossimo e con lo stesso Creatore, questa natura
abbiamo il dovere e il diritto di rispettarla e di vederla
rispettata in ogni momento della nostra vita. Un messaggio
pressante, moltiplicato dai moderni mezzi di comunicazione e
ampliato da oltre cento viaggi in ogni parte del mondo, che Giovanni
Paolo II ha voluto proporre fino agli ultimi momenti della sua vita.
Lo ha fatto con una volontà che possiamo definire sovrumana, con la
quale ha inteso anche sottolineare, dandone personalissima
testimonianza, il senso salvifico del dolore e le sue ricadute
sociali.
Il mondo ha seguito con
commossa trepidazione gli ultimi passaggi del suo cammino terreno. E
a coloro, sopratutto giovani, che vegliavano sotto la sua finestra
quasi a voler rappresentare tutta l’umanità, questo grande Papa si è
preoccupato di dedicare uno dei suoi ultimi pensieri: grazie per
essere qui in questo particolare momento! Lo aveva già fatto
mirabilmente anche in uno degli ultimi faccia a faccia, quando dalla
sua finestra si era rivolto in silenzio alla piazza e al mondo come
per dire: vorrei parlarvi ma non posso, vedete le mie condizioni. E’
stata anche questa silenziosa complicità a far scattare lo
straordinario estremo saluto che la gente di ogni continente ha
voluto rivolgergli. E ci siamo ritrovati tutti, chi da vicino e chi
da lontano, accomunati in un indimenticabile abbraccio, in una
interminabile fiumana umana che le televisioni di tutto il mondo
hanno fatto entrare nelle nostre case e nei nostri cuori.
Semplici e dirette le parole del suo testamento articolato negli
anni, dove Giovanni Paolo II si presenta in tutta la sua umiltà e
spiritualità non mancando di ricordare quanti hanno fatto parte
della sua esperienza umana e sacerdotale. “Quante persone dovrei qui
elencare! (...) E quanti rappresentanti del mondo della cultura,
delle scienze, della politica, dei mezzi di comunicazione sociale!”.
Un mondo col quale ha continuamente colloquiato, anche cercando
l’incontro personale, per capire e farsi capire.
A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio. A ciascuno
il suo. Giovanni Paolo II ha bussato talvolta invano al cuore di
tutti noi, potenti e non potenti, ma non si è fatto disarmare. Sarà
dalla sua morte che forse verranno i frutti che non ha potuto
cogliere in terra. Insegnamenti evangelici, etica, dignità della
persona, diritto al lavoro, pace, annullamento del debito del paesi
poveri, rispetto della vita, aiuto ai più deboli, libertà dei
popoli, eliminazione della fame nel mondo, paternità e maternità
responsabili, clemenza per i condannati. E si potrebbe continuare.
Tutti temi, permeati dagli insegnamenti della Chiesa, ai quali egli
ha dedicato incessantemente il suo pensiero e la sua parola di Papa
inascoltato.
Ed ora, come a concretizzare l’ insegnamento evangelico - il seme
deve prima morire per poter dare i suoi frutti - l’agonia e la
morte di questo Papa amico, fratello e padre hanno dato forse
l’avvio a quella che dovrebbe essere la vera rivoluzione
dell’umanità. Un’umanità che ha bisogno di recuperare i punti di
riferimento e l’orientamento necessari per un sano e ordinato
progresso spirituale e sociale.
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