L'AGE informa |
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RASSEGNA
11 maggio 2005
Strasburgo
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Tempo di lavoro: 48 ore a settimana, al massimo |
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Alejandro
CERCAS (PSE, ES) Tre anni dopo l'entrata in vigore della nuova direttiva sull'organizzazione dell'orario di lavoro, i deputati desiderano che gli Stati membri dell'Unione sopprimano il diritto riconosciuto individualmente ad ogni lavoratore di rinunciare alla limitazione della durata massima settimanale di lavoro di 48 ore. Auspicano inoltre che i periodi di servizio di guardia, nella maggior parte dei casi, siano contabilizzati come periodo di lavoro. Sono questi i principali aspetti della proposta di direttiva sull'organizzazione dell'orario di lavoro evidenziati dalla relazione di Alejandro CERCAS (PSE, ES), adottata dalla Plenaria in prima lettura della procedura di codecisione con 355 voti favorevoli, 272 contrari e 31 astensioni. I deputati, si smarcano così dalla posizione dell'Esecutivo che, pur rendendo più severe le condizioni per potervi ricorrere, propone il mantenimento della clausola di rinuncia (opt out). Prendendo nuovamente in contropiede la Commissione, i deputati chiedono che l'intero periodo di servizio di guardia, «incluso il periodo inattivo», sia considerato come orario di lavoro. A tale riguardo, tuttavia, è concesso agli Stati membri di calcolare «in modo specifico» i periodi inattivi del servizio di guardia, per rispettare la durata massima settimanale di lavoro. La relazione, peraltro, chiarisce le nozioni di servizio di guardia e di periodo inattivo del servizio di guardia. I deputati, in linea generale, sono favorevoli alla proposta della Commissione di dare la facoltà di estendere il periodo di riferimento utilizzato per calcolare la durata media di lavoro settimanale da 4 a 12 mesi. Questa estensione, come sostiene il relatore, consente di rispondere alle esigenze di flessibilità in modo ragionevole. Tuttavia, la sua applicazione andrà attentamente controllata con misure appropriate volte a garantire la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori. La facoltà di ricorrere a questa deroga è concessa, per «ragioni obiettive, tecniche o di organizzazione del lavoro», nei casi in cui i lavoratori sono coperti da accordi collettivi. Se così non fosse, gli Stati membri possono ricorrere a misure legislative purché sia garantita la consultazione di lavoratori e il datore di lavoro adotti i necessari provvedimenti volti a prevenire qualsiasi rischio per la salute o la sicurezza dei suoi dipendenti. Con un altro emendamento, i deputati reclamano che l'orario di lavoro sia organizzato in modo tale da permettere ai lavoratori che lo auspicano di seguire una formazione lungo tutto l'arco della vita. Inoltre, difendono l'obiettivo teso a garantire un migliore equilibrio, da una parte, tra l'esigenza di conciliare la vita professionale e quella familiare e, dall'altra, la necessità di organizzare con maggiore flessibilità l'orario di lavoro. La relazione chiarisce poi la situazione dei lavoratori legati a più di un contratto, prevedendo che l'orario di lavoro di una persona debba essere calcolato come la somma dei periodi lavorativi prestati a titolo di ogni contratto. La proposta di respingere la direttiva avanzata dal gruppo GUE/NGL non è stata accolta dall'Aula con 520 voti contrari, 93 favorevoli e 21 astensioni. Dibattito Il resoconto del dibattito tenutosi la vigilia è disponibile sul sito del Servizio stampa. Background La direttiva sull'orario di lavoro (2003/88/CE) offre un minimo di protezione ai lavoratori, ad eccezione dei dirigenti d'impresa. Tale provvedimento prevede che un lavoratore ha diritto a un periodo quotidiano di riposo di 11 ore, a delle pause regolari, ad almeno quattro settimane di ferie pagate l'anno, a una limitazione della durata massima di lavoro settimanale di 48 ore nonché alla limitazione di 8 ore/24 in caso di lavori notturni. Nel 1993, il Regno Unito aveva ottenuto l'introduzione di una clausola di opt out che permette agli Stati membri di non rispettare, a certe condizioni, la limitazione legale di 48 ore lavorative settimanali. I dipendenti, così, dovevano decidere in anticipo se desideravano beneficiarne o meno. I primi non dovevano essere penalizzati, i secondi dovevano essere registrati. Nonostante avesse portata generale, tale clausola è stata utilizzata soprattutto nel Regno Unito. Tuttavia, sono emerse delle preoccupazioni riguardo ai rischi potenziali legati all'abuso nel ricorso a tale clausola. In molti, infatti, credono che un lavoratore in procinto di firmare un contratto non sia in grado di godere appieno della libertà di scelta. L'assenza di una definizione del periodo di servizio di guardia pone problemi ancora maggiori. Questo punto, d'altra parte è stato oggetto di diverse sentenze della Corte di Giustizia con le quali i giudici hanno considerato che il periodo di guardia doveva essere incluso nell'orario di lavoro. La maggior parte degli Stati membri ha quindi dovuto adattare la propria legislazione per conformarsi a questa giurisprudenza che riguarda, in particolar modo, il settore della sanità. Link utili |
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Qualifiche professionali riconosciute in tutta Europa | |||
Stefano
ZAPPALÀ (PPE/DE, IT) In seconda lettura della procedura di codecisione, la Plenaria ha adottato la relazione di Stefano ZAPPALÀ (PPE/DE, IT) sulla proposta di direttiva relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. Gli emendamenti adottati dal Parlamento sono frutto di un compromesso con il Consiglio, per cui sarà probabilmente evitato il ricorso alla procedura di conciliazione. Per consentire l'esercizio di una professione in un paese diverso da quello in cui è stata ottenuta una qualifica professionale, è necessario che questa sia riconosciuta dal paese ospitante. La proposta di direttiva, presentata dalla Commissione nel 2002, tratta tutte i tipi di professione: lavoro subordinato e autonomo, la prestazione di servizi temporanei e le professioni cosiddette regolamentate (medici, infermieri, architetti, ecc.). Il principio del riconoscimento automatico dei titoli si applicherà d'ora in poi sulla base di un coordinamento delle condizioni minime di formazione. Nel corso del dibattito tenutosi la vigilia, il relatore ha sottolineato che la direttiva «riveste un'importanza notevole» per tutti i cittadini europei che ogni giorno si trovano «ad avere a che fare con dei professionisti». Nell'illustrare i contenuti della relazione, egli ha anche evidenziato che, nell'ambito delle autonomie nazionali, «ogni governo decide quali sono i livelli di cultura e di formazione minima per l'accesso alle singole professioni e decide anche chi deve autorizzare all'esercizio delle professioni e chi deve controllare lo svolgimento delle professioni». Il relatore, spiegando l'introduzione di una definizione di «libero professionista», ha poi tenuto a ricordare che la direttiva in questione, nel rispetto di alcune peculiarità nazionali e professioni, semplificherà il quadro normativo europeo con l'adozione di un solo testo legislativo che va a sostituire tutta una serie di direttive adottate in passato. Il deputato ha anche rilevato l'inserimento della definizione di «autorità competente» nazionale, auspicando che a breve possa anche leggersi in chiave europea «affinché si finisca la polemica emersa la scorsa legislatura su ordini, collegi e associazioni» e queste strutture trovino collocazione anche nell'ambito del diritto europeo. Il relatore ha poi evidenziato che la direttiva include misure volte a contrastare il «qualification shopping» e altre che prevedono la consultazione delle singole professioni europee per qualunque ulteriore innovazione che le riguarda. Le professioni e l'equivalenza dei titoli I deputati, facendo un diretto riferimento ai trattati, precisano che le professioni legate all'esercizio di pubblici poteri sono escluse dal campo d'applicazione della direttiva. Trattandosi di professioni regolamentate, il Parlamento ritiene che la direttiva riguarda anche le «professioni liberali», definite come quelle praticate «sulla base di qualifiche professionali in modo personale, responsabile e professionalmente indipendente» da parte di coloro che «forniscono servizi intellettuali e di concetto negli interessi dei clienti e del pubblico». L'esercizio della professione negli Stati membri, viene precisato, «può essere oggetto ... di specifici limiti legali sulla base della legislazione nazionale e sulle disposizioni a norma di legge stabilite autonomamente .... dai rispettivi organismi rappresentativi professionali». Tali normative, è aggiunto, devono salvaguardare e sviluppare «la loro professionalità e la qualità del servizio» nonché «la confidenzialità delle relazioni con i clienti». Per un cittadino dell'Unione, l'accesso a una professione regolamentata sarà subordinato alle stesse condizioni dei cittadini del paese ospitante. Tale regola riguarda, in particolare, gli attestati di competenze o i titoli di formazione richiesti. Questi dovranno però rispettare una serie di condizioni, atte a dimostrare un livello di qualifica professionale almeno equivalente a quello immediatamente inferiore a quello richiesto dallo Stato ospitante. Il testo licenziato dal Parlamento stabilisce dei livelli di riferimento, corrispondenti al grado di formazione e di qualifiche riconosciute, che permettono di effettuare delle equivalenze sui livelli di competenze tra i diversi Stati membri. I deputati chiedono di raggruppare le qualifiche in cinque livelli (al posto di quattro come proposto dal Consiglio) ma senza attribuire loro un numero, una lettera o altri segni che presumono una gerarchia. Il Parlamento, inoltre, ridefinisce alcuni livelli al fine di rispondere meglio alla realtà dei cicli formativi nei diversi Stati membri. I deputati, poi, per rispetto dell'acquis comunitario e in contrasto con il Consiglio, mantengono il principio del riconoscimento automatico delle specializzazioni mediche o dentistiche comuni ad almeno due Stati membri. Gli allegati della direttiva contengono anche le denominazioni delle professioni in tutte le lingue ufficiali dell'UE per agevolare la corrispondenza delle diverse categorie. Ad esempio, in repubblica ceca lo «Zdravotnický asistent» è l'assistente sanitario. Un comitato unico di riconoscimento e le organizzazioni professionali Con una serie di emendamenti, i deputati trattano dell'importanza e della modalità di partecipazione delle associazioni e degli organismi professionali alla procedura di riconoscimento delle qualifiche. Per rendere efficace la gestione dei diversi regimi di riconoscimento stabiliti dalle direttive settoriali e dal regime generale, sarà instaurato un Comitato per il riconoscimento delle qualifiche professionali composto dai rappresentanti degli Stati membri e presieduto da un rappresentante della Commissione. I deputati, inoltre, propongono che tale comitato consulti gli esperti delle categorie professionali interessate. Inoltre, un emendamento impone alla Commissione di valutare l'opportunità di adottare una proposta di emendamento alla direttiva nel caso in cui organizzazioni o associazioni professionali nazionali o a livello europeo di una professione regolamentata avanzino una richiesta motivata concernente disposizioni specifiche per il riconoscimento delle qualifiche. Le tessere professionali Per agevolare la libera circolazione e la mobilità dei professionisti, i deputati propongono l'introduzione di tessere professionali individuali che potrebbero contenere informazioni sulle qualifiche della persona - come la sua formazione, la sua esperienza o le sanzioni da cui è stato colpito - per accelerare lo scambio di informazioni tra il paese d'origine e quello ospitante. Queste tessere sarebbero rilasciate dalle associazioni o organizzazioni professionali. Autorità competente e ordini professionali La relazione adottata introduce anche la definizione di «autorità competente»: «qualsiasi autorità o organismo investito di autorità dagli Stati membri, abilitato in particolare a rilasciare o a ricevere titoli di formazione e altri documenti o informazioni, nonché ricevere le domande e ad adottare le decisioni di cui alla presente direttiva». Inserendo una definizione generale di "organismo competente" e facendo sempre riferimento a tale definizione, la direttiva si allinea alla situazione effettivamente vigente nella maggior parte degli Stati membri, ove i poteri pubblici delegano parte della gestione delle professioni ad organismi autonomi, come gli ordini professionali. In altri termini, la gestione delle professioni dipende dall'organizzazione interna di ogni Stato membro e pertanto non esclude la designazione di organismi che non sono amministrazioni. Mutuo riconoscimento Sin dall'inizio, la sfida più difficile consisteva nella ricerca di un equilibrio tra agevolare la prestazione di servizi in tutta l'Unione e controllare l'accesso all'esercizio delle professioni da parte del paese ospitante. Contrariamente alla proposta iniziale della Commissione, che era favorevole ad ampie agevolazioni e al principio del controllo da parte del paese d'origine, il testo adottato dal Parlamento prevede il mutuo riconoscimento e il principio del controllo da parte del paese ospitante. Gli Stati membri hanno quindi la possibilità di verificare le qualifiche e sottoporre il diritto di esercitare una professione a delle esigenze specifiche, in particolare per garantire l'interesse generale. Sono state anche inserite delle salvaguardie volte a combattere gli abusi. Si tratta, ad esempio, di evitare che il riconoscimento professionale ottenuto in un altro Stato membro serva ad aggirare le norme più esigenti in vigore nel paese d'origine o conferisca dei diritti supplementari. Link utili
Posizione comune del Consiglio del 21 dicembre 2004 Nomina di Lorenzo Bini Smaghi al board della BCE
Pervenche
BERÈS (PSE, FR) Adottando a scrutinio segreto la relazione di Pervenche BERÈS (PSE, FR), la Plenaria ha confermato la nomina di Lorenzo Bini Smaghi quale membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea a partire dal 1° giugno 2005, con 410 voti favorevoli, 88 contrari e 40 astensioni. A seguito dell'audizione tenutasi il 19 aprile 2005, la commissione per problemi economici e monetari aveva emesso un parere favorevole a larga maggioranza (solo due voti contrari e 1 astensione, contro i 16 a favore). La presidente della commissione parlamentare, presentando la sua relazione all'Aula ha innanzitutto voluto congratularsi con il predecessore Tommaso Padoa Schioppa «per il modo in cui ha esercitato le sue funzioni» che, nelle relazioni con il Parlamento e nel rappresentare il comitato esecutivo all'esterno, «ha dimostrato grande talento». Riguardo a Lorenzo Bini Smaghi, la relatrice ha affermato che, in occasione dell'audizione, si è potuto verificare che «la sua esperienza e le sue capacità professionali sono fuori di dubbio». Egli, ha proseguito, possiede tutte le capacità per essere un «buon banchiere centrale», alle quali si sommano due elementi che rappresentano un «valore aggiunto»: «un certo senso della comunicazione, che è sicuramente utile per un banchiere centrale e anche una visione arricchita da una certa pluridisciplinarietà». La deputata ha quindi concluso che, nelle discussioni in seno al comitato esecutivo, Bini Smaghi potrà apportare questo approccio «che permetterebbe alla politica monetaria d'essere maggiormente all'ascolto delle necessità dell'economia reale e delle attese dei cittadini». Spetta ora ai capi di Stato e di governo confermare la nomina. Il resoconto dell'audizione del 19 aprile è stato pubblicato sull'Anteprima della sessione ed è disponibile sul sito del Servizio Stampa. Altri documenti sono disponibili sul sito dedicato all'audizione Frutta e verdura con il marchio d'origine
María Esther HERRANZ GARCÍA (PPE/DE, ES) In vista della semplificazione dell'organizzazione comune del mercato degli ortofrutticoli, la Plenaria ha adottato una relazione di María Esther HERRANZ GARCÍA (PPE/DE, ES) con la quale manifesta la sua ferma opposizione alla decisione della Commissione di soprassedere alla presentazione di una proposta di riforma del settore dell'ortofrutta, chiede un rafforzamento delle organizzazioni di produttori e un loro più ampio sostegno finanziario, nonché l'introduzione di un più efficace sistema di gestione delle crisi di mercato. I deputati sollecitano inoltre un aumento delle soglie di produzione dei prodotti trasformati e l'istituzione di un sistema di etichettatura che segnali il paese d'origine del prodotto agricolo elaborato nei trasformati, un più ampio ricorso alla promozione del consumo, la garanzia della preferenza comunitaria e una maggiore tutela dalle importazioni. Riforma dell'OCM ortofrutta I deputati reputano «inaccettabile» il rinvio di uno o due anni di tale proposta, «stante l'urgenza di reperire una soluzione alle crisi di mercato che non possono essere superate ricorrendo agli strumenti di gestione disponibili». La Commissione è quindi esortata a non ignorare un settore che occupa un posto quanto mai rilevante nella produzione finale agricola dell'Unione europea (17%) e che «rischia di essere emarginato nel contesto dei negoziati sulle nuove prospettive finanziarie». L'Assemblea sottolinea peraltro «l'importanza di reperire nuovi meccanismi di gestione del mercato per far fronte alla liberalizzazione degli scambi in sede di negoziati dell'OMC». Il Organizzazioni di produttori Il Parlamento sollecita l'Esecutivo presentare una proposta entro il luglio 2005 per rafforzare il ruolo delle organizzazioni di produttori nella gestione dei mercati e a introdurre un maggior grado di flessibilità e sussidiarietà a favore degli Stati membri. Al fine di migliorare il reddito, specie delle imprese agricole minori, inoltre, i deputati reputano necessario consentire alle aziende che vendono direttamente al consumatore finale una quota superiore al 20% o al 25% della loro produzione di aderire ad una organizzazione di produttori riconosciuta. La relazione, poi, rileva la necessità di mantenere in linea generale il massimale vigente per la partecipazione comunitaria ai fondi di esercizio, aumentandolo però dal 4,1% al 6% in caso di raggruppamenti transnazionali, fusioni, associazioni e collaborazioni tra organizzazioni. Inoltre, i deputati chiedono di aumentare al 60% il tasso di cofinanziamento comunitario nel caso di collaborazioni, fusioni e associazioni di organizzazioni di produttori. D'altra parte è chiesto che, nel quadro della nuova regolamentazione dei fondi di esercizio, sia sancito che i fondi comunitari non utilizzati nel corso di un dato anno potranno essere utilizzati l'anno successivo. In ogni caso, per i deputati, occorre garantire che qualunque stanziamento di bilancio inutilizzato a seguito della riforma dell'OCM (eliminazione delle pratiche di riconoscimento preliminare, ritiri, restituzioni, ecc.) dovrà ritornare al settore. E' necessario, inoltre, snellire i meccanismi di contribuzione finanziaria dei produttori membri ai rispettivi fondi di esercizio e, pertanto, la nuova legislazione dovrebbe consentire all'organizzazione di produttori stessa di contribuire ai fondi di esercizio. E' auspicata poi la revisione dell'elenco positivo delle azioni che possono essere finanziate, al fine di adeguare meglio i programmi operativi alle esigenze e di accordare una maggiore autonomia nella gestione di tali azioni. Inoltre, è chiesto che s'incoraggino le organizzazioni di produttori di ortofrutticoli a prevedere, nei loro programmi, azioni concernenti le certificazioni di qualità, le garanzie di sicurezza alimentare e l'ambiente. Infine, i deputati, ritengono che le organizzazioni di produttori e i loro membri dovrebbero in futuro avere pieno accesso ai fondi regionali di sviluppo, dal momento che i fondi operativi non sono sufficienti a finanziare gli investimenti infrastrutturali più importanti. Gestione delle crisi Nel sollecitare l'introduzione di un sistema efficace di gestione delle crisi di mercato per evitare che il settore si ritrovi inerme dinanzi a forti cadute dei prezzi, i deputati sostengono che tale sistema dovrebbe consentire alle organizzazioni di produttori di assumere un ruolo attivo nella commercializzazione dei loro prodotti. La relazione, inoltre, chiede che il regime di ritiri attualmente in vigore sia integrato da un fondo di sicurezza gestito dalle organizzazioni di produttori e finanziato dall'Unione europea, dagli Stati membri e dagli agricoltori. Tale fondo potrebbe servire ad indennizzare i produttori dei ritiri effettuati in occasione di crisi, ad erogare aiuti per la riduzione della produzione nonché ad istituire, su base volontaria per gli agricoltori e a condizione che si realizzi uno studio preliminare di fattibilità, un regime di garanzie di reddito e di sostegno nel caso di condizioni climatiche avverse. Nel quadro di questo nuovo sistema di gestione delle crisi, sarebbe opportuno aumentare gli aiuti ai ritiri di prodotti destinati alla distribuzione gratuita ad istituti di beneficenza, poiché attualmente detti aiuti non compensano gli elevati costi di trasporto e lavorazione, nonché alla promozione del consumo di ortofrutticoli nelle scuole. Regime degli ortofrutticoli trasformati e etichettatura I deputati ritengono utile aumentare le soglie di produzione per le conserve di pomodoro e le soglie di trasformazione degli agrumi. Per le prime, inoltre, si dichiarano favorevoli a consentire agli Stati membri che lo ritengano opportuno di regionalizzarle. Per le seconde, invece, sarebbe opportuno migliorarne lo sfruttamento prevedendo la possibilità di trasferire le soglie tra prodotti qualora una di esse non venga completamente sfruttata. La penalizzazione dell'aiuto nel caso di superamento delle soglie di produzione per gli agrumi, inoltre, dovrebbe aver luogo soltanto qualora sia stata superata la somma di tutte le soglie di produzione applicabili alle varie specie di agrumi a livello comunitario. Notando che il disaccoppiamento degli aiuti, che è un'altra delle opzioni discusse per questo settore, legittimerebbe l'utilizzo del settore della trasformazione dei pomodori quale settore rifugio da parte degli agricoltori che abbandonano altre coltivazioni colpite dalla riforma della PAC del settembre 2003, i deputati ritengono che ciò «contribuirebbe a complicare le relazioni tra le organizzazioni di produttori e l'industria». Essi, inoltre, sostengono che il disaccoppiamento degli aiuti ai prodotti trasformati non sia giustificato nell'ambito dei negoziati dell'Organizzazione mondiale del commercio. I deputati, infine, si dichiarano favorevoli all'istituzione di un sistema di etichettatura che segnali il paese di origine del prodotto agricolo elaborato nei trasformati, in quanto «migliorerebbe il valore aggiunto delle produzioni comunitarie dinanzi alle importazioni da paesi terzi, garantendo al contempo adeguati livelli di sicurezza e qualità alimentare, che le importazioni dai paesi terzi non sempre soddisfano». A tale proposito, nel corso del dibattito tenutosi la vigilia, Armando DIONISI (PPE/DE, IT) ha sottolineato che l'accoglimento dell'emendamento da lui proposto sull'etichettatura d'origine per i prodotti trasformati rappresenta «un passo in avanti» in quanto «non è solo il settore tessile a soffrire della concorrenza asiatica». Vi è poi la necessità di dare trasparenza all'origine dei prodotti agricoli trasformati «in modo tale che il consumatore sia informato sulla provenienza del prodotto che acquista» e ciò vale soprattutto per il settore delle conserve a base di pomodoro, «un settore trainante dell'economia italiana sia per la produzione interna che per l'export». Nel 2004, ha infatti sottolineato il deputato, «gran parte dei pomodori nei nostri campi non sono stati raccolti, le ingenti quantità di prodotto trasformato proveniente dalla Cina a prezzi bassissimi e senza garanzie sanitarie hanno messo in crisi questo settore». Inoltre, la «conserva cinese viene rielaborata in Italia, spesso mischiata con prodotto italiano e poi rivenduta come made in Italy, senza che il consumatore possa riconoscere la vera origine». L'etichettatura, ha quindi ribadito, «rappresenta una fondamentale garanzia di qualità e di trasparenza». Promozione degli ortofrutticoli I deputati denunciano «la mancanza di una strategia e di una di ricerca comunitaria finalizzata a sostenere i consumi nonché la scarsità dei fondi destinati alla promozione generica degli ortofrutticoli», affermando che ciò «contrasta con la crescente preoccupazione dell'Unione europea per l'equilibrio nutrizionale della popolazione e la sicurezza alimentare». Pertanto chiedono che, nel quadro dei regolamenti destinati alla promozione interna ed esterna dei prodotti agricoli comunitari, si dedichi agli ortofrutticoli una linea specifica di 15 milioni di euro all'anno. Le campagne generiche dovranno inoltre puntare sulla valorizzazione della "origine comunitaria" e presentare una dimensione qualitativa, e non solo quantitativa. Preferenza comunitaria, concorrenza delle importazioni da Paesi terzi e negoziati OMC Nel sollecitare una semplificazione del complesso sistema di sdoganamento applicato alle importazioni provenienti da paesi terzi soggette al regime del prezzo di entrata, i deputati chiedono alla Commissione di studiare la possibilità di istituire un aiuto specifico per i prodotti che si trovano in situazioni critiche a seguito delle importazioni provenienti da paesi terzi, come i frutti a polpa tenera, l'aglio e i funghi coltivati, nonché le amarene, le ciliegie, il succo di mela, le albicocche trasformate, gli asparagi, i pomodori, gli agrumi in spicchi e in succo e altri prodotti ortofrutticoli che potrebbero trovarsi in una situazione di mercato critica. La Commissione, inoltre, dovrebbe elaborare studi di impatto sui nuovi accordi con paesi terzi, per valutarne le ripercussioni nel settore europeo degli ortofrutticoli. Nell'ambito di accordi commerciali bilaterali, inoltre, l'Unione europea dovrebbe negoziare la reciprocità nell'apertura degli scambi agricoli, compresi gli aspetti fitosanitari. Nel richiamare, infine, l'attenzione della Commissione sul fatto che le importazioni dai paesi terzi «non offrono sempre i livelli di sicurezza e di qualità ai quali il consumatore europeo è abituato», i deputati reputano necessario introdurre controlli adeguati per garantire che i prodotti provenienti dai paesi terzi rispettino i medesimi requisiti in materia di sicurezza e di qualità dei prodotti dell'Unione europea, e che siano ottenuti nel rispetto di altri principi fondamentali, quali ad esempio condizioni lavorative eque. Nel quadro dei negoziati per la liberalizzazione degli scambi mondiali in seno all'Organizzazione mondiale del commercio, la relazione chiede alla Commissione di difendere il mantenimento e l'applicazione effettivi del principio di preferenza comunitaria per gli ortofrutticoli e la qualifica degli ortofrutticoli come prodotti "sensibili" nel capitolo relativo all'accesso ai mercati. L'Esecutivo, inoltre deve garantire che i risparmi derivanti dall'attesa graduale soppressione delle sovvenzioni alle esportazioni vengano messi a disposizione, tra l'altro, dei provvedimenti di riequilibrio del mercato comunitario che subisce un'intensa concorrenza da prodotti analoghi di paesi terzi. Nel ritenere necessaria la garanzia di reciprocità nell'apertura dei mercati, dal punto di vista tanto quantitativo quanto qualitativo, i deputati reputano che a tale scopo occorre intensificare il controllo e il monitoraggio delle ripercussioni delle concessioni commerciali, per quanto riguarda gli effetti sia sui paesi beneficiari delle concessioni, sia sugli Stati membri produttori. Essi, inoltre, chiedono di vigilare affinché l'apertura commerciale nel settore degli ortofrutticoli non fragilizzi i modelli di produzione agricola dei paesi in via di sviluppo. Riforma intermedia della PAC e futuro regolamento sullo sviluppo rurale La relazione chiede che siano mobilitati i mezzi necessari per garantire il rispetto del divieto della coltivazione di ortofrutticoli sui terreni ammissibili a beneficiare di un aiuto dissociato. In caso contrario, per i deputati, la riforma della PAC del settembre 2003 potrebbe dare ingiustamente adito a situazioni di concorrenza sleale e di discriminazione tra gli agricoltori che dispongono di un pagamento unico e i produttori di ortofrutticoli tradizionali che non ne dispongono, «aggravando così lo squilibrio già esistente in determinati mercati ortofrutticoli». I deputati, inoltre, si dichiarano favorevoli ad eliminare l'incompatibilità esistente tra i fondi di sviluppo rurale e i fondi di esercizio, «poiché ciò colloca il settore ortofrutticolo in una posizione di discriminazione rispetto ad altri settori agricoli». Infine, essi si oppongono alla proposta della Commissione di limitare alle piccole imprese e alle microimprese la concessione degli aiuti agli investimenti, alla commercializzazione e alla trasformazione nel quadro della prossima programmazione finanziaria della politica di sviluppo rurale. |
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Una nuova Europa che ricorda guardando al futuro
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Dichiarazioni - Avvenire dell'Europa sessant'anni dopo la Seconda guerra mondiale11.5.2005A nome del Consiglio, Jean-Claude JUNCKER si è innanzitutto congratulato con i Parlamento per aver voluto ricordare l'8 maggio 1945. Ricordare è «un obbligo ardente», soprattutto per quelli che sono nati dopo la guerra che non hanno visto i campi di concentramento, i campi di battaglia, i cortei di prigionieri e che non sono stati confrontati a scelte individuali e collettive drammatiche. Oggi, ha proseguito, i testimoni diretti di «questa epoca terribile della storia continentale» stanno sparendo e a loro le nuove generazioni devono essere riconoscenti. Perché, ha spiegato, «la generazione che ha dovuto fare la guerra e che ha voluto fare la pace» ha ricostruito l'Europa e «ne ha fatto il più bel Continente che ci sia». L'8 maggio 1945 è stato, per l'Europa, un giorno di liberazione e bisogna esprime riconoscenza ai soldati americani e canadesi, ai militari dell'Armata rossa e al popolo britannico che «ha saputo dire no e senza il cui apporto niente sarebbe stato possibile». La libertà, ha poi aggiunto il Presidente del Consiglio, tuttavia non è stata uguale per tutti. Le popolazioni che vivevano in Europa centrale e orientale, ha spiegato, sono state sottoposte alla «pax sovietica, che non era la loro». Non erano liberi, hanno dovuto evolvere sotto un regime di principi che furono loro imposti. Dicendosi quindi triste pensando a chi dice del male dell'allargamento «proprio mentre la seconda guerra mondiale si è finalmente conclusa», ha quindi esclamato: «Viva l'allargamento!». L'Europa del dopoguerra, ha proseguito, senza la guerra non avrebbe potuto diventare quello che è oggi. Un'Europa, ha concluso, che è nata dalla ceneri della guerra e non avrebbe mai potuto esistere senza i padri fondatori come Schuman, Bech, Adenauer e De Gasperi che, della frase «mai più la guerra», per la prima volta nella storia del Continente, ne «hanno fatto una speranza, una preghiera e un programma». Non l'avrebbero potuto fare «se non si fossero sentiti trasportati dai sentimenti nobili e profondi dei loro popoli», perché «non si realizza niente di grande senza la volontà del popolo». Il Presidente del Consiglio ha poi voluto rendere omaggio a quei filosofi, pensatori e uomini politici meno conosciuti, come Léon Blum e «il grande Spinelli» che sono stati imprigionati e altri ancora di cui «non conosciamo il nome ma ai quali dobbiamo molto». Egli ha reso omaggio anche a chi «ha dovuto portare l'uniforme del suo nemico» come i lussemburghesi nati tra il 1920 e il 1927 e i giovani di Alsazia e Lorena. Vi era una parte dell'Europa libera e una parte paralizzata, ha poi proseguito. La guerra fredda è stata un periodo tragico che ha paralizzato le migliori energie e i migliori talenti europei. Da ambo le parti dell'Europa si pensava che la minaccia venisse dall'altro lato, «che opportunità e che tempo persi» a causa di queste «stupidità», ha quindi esclamato. Oggi dobbiamo essere felici di non dover più fare riferimento «alla logica implacabile della guerra fredda» e che possiamo fare la pace tra le due parti dell'Europa. Pensando «al grande Churchill» ha poi sottolineato una frase da lui pronunciata nel 1947, quando nacque l'idea di creare il Consiglio d'Europa davanti al rifiuto dell'URSS di permettere ai paesi dell'Europa centro-orientale di beneficiare del Piano Marshall: «Cominciamo oggi all'ovest quello che un giorno termineremo all'est». «Dobbiamo esseri fieri di esserci riusciti», ha quindi affermato. Junker ha poi detto che bisogna anche essere fieri di citare al Parlamento europeo una frase pronunciata da Victor Hugo nel 1949: «verrà il giorno in cui le bombe saranno sostituite dai voti». Un Parlamento eletto dai popoli europei, «eredi di quelli che hanno saputo dire no quando era necessario e di quelli che hanno detto sì quando era l'unica opzione che restava». Dobbiamo quindi esseri fieri «di chi ha detto no e di chi, oggi, dice sì alla grande Europa, che ha visto la sua storia e la sua geografia riconciliarsi». Dobbiamo essere fieri, ha aggiunto, di chi non vuole un'Europa che si trasformi in una zona di libero scambio. Siamo fieri, ha concluso, «dell'Europa costruita da chi era qui prima di noi, dovendone essere degni eredi». L'Assemblea, in piedi, ha quindi tributato un lungo applauso al Presidente del Consiglio. «Siamo qui per ricordare, riconoscere e ricostruire», ha esordito il Presidente della Commissione BARROSO. Ricordare la distruzione e lo sterminio, ma anche le storie straordinarie di trionfo nelle avversità. Ricordare anche quei popoli che «non hanno avuto fortuna», il cui «incubo è stato sostituito da un'altro». Per questi ultimi, ha spiegato il Presidente, la fine della guerra non ha portato pace e libertà, ma unicamente la pace. A loro, la libertà è arrivata solo con la caduta del Muro di Berlino. Barroso ha poi sottolineato le parole coraggiose di Churchill che, per primo, si è appellato alla riconciliazione tra Francia e Germania per ricostruire l'Europa. Ha poi reso omaggio alla determinazione nel ricostruire, invece che asserragliarsi, di Robert Schuman, Jean Monnet, Konrad Adenauer e Alcide de Gasperi nonché dei leader transatlantici. L'Europa ne è uscita così trasformata: democratica, libera e che condivide valori comuni. L'Europa, che presto conterà 57 paesi e 500 milioni di cittadini, però non deve essere «vittima del proprio successo». Non bisogna dare per acquisiti i valori fondanti della nuova Europa, ha aggiunto. Basta pensare alla guerra che solo pochi anni fa si svolgeva sul nostro Continente. Pertanto, ha detto il Presidente, «si deve lavorare per la pace e non darla definitivamente per acquisita». Il problema, oggi, è rispondere ai timori degli europei: è trovare un lavoro, non il proprio paese, è gestire efficacemente l'integrazione dei mercati, «non i conflitti armati tra concorrenti che diventano avversari e nemici». Ricordiamoci, ha sottolineato il Presidente, che l'ambizioso partenariato che abbiamo concluso «è stato la fonte di rivoluzioni pacifiche che hanno portato la libertà e la democrazia a milioni di europei». E' questa «la forza motrice che stimola la crescita, l'occupazione e gli investimenti, offrendo agli europei la prospettiva di una vita migliore». Dal suo mercato interno alle sue frontiere esterne, dalla promozione della coesione interna a quella della solidarietà e della giustizia in tutto il mondo, «l'Unione costruisce l'Europa». Lo ha realizzato per tappe concrete, che migliorano la vita quotidiana dei suoi cittadini. La Costituzione, ha quindi concluso, «consoliderà questa opera e porrà i fondamenti per progressi ancora più importanti in futuro». Giusto CATANIA (GUE/NGL, IT) ha sottolineato che l'8 maggio del 1945 è la data che marca la fine della seconda guerra mondiale ma anche «la data che sancisce la fine delle dittature fasciste e naziste in Europa» ed ha segnato «l'inizio di un'Europa che aspira alla pace e alla giustizia sociale». L'Europa, ha proseguito, «è stata liberata dalla resistenza di uomini e donne, dalla resistenza di partigiani che ne hanno costruito le fondamenta istituzionali e morali». L'Europa «è stata liberata da quelli che hanno combattuto a Stalingrado, è stata liberata dalle truppe alleate americane e canadesi e anche dall'esercito sovietico». Questa data, ha quindi affermato, «può essere considerata la pietra su cui è stata edificata la nuova Europa». Purtroppo, ha però aggiunto, «questa pagina di storia troppo spesso è oggetto di saccheggi e di attacchi revisionisti» e «anche questo dibattito è viziato da concreti impulsi revisionisti». Si fa un cattivo servizio alla commemorazione della liberazione dell'Europa, ha spiegato, «mescolando indistintamente l'8 maggio del 1945 e i crimini dello stalinismo». Precisando poi che «per cultura politica, per dato anagrafico e per formazione culturale», lui e il suo gruppo non hanno «alcun problema a condannare duramente gli orrori dello stalinismo», il deputato ha rilevato che, nel dibattito, «si tenta di far vivere in modo surrettizio le teorie di Nolte che impongono un'equazione tra nazismo e comunismo». Ad onor del vero, ha proseguito, i valori della pace e della giustizia sociale «sono stati minati anche dal colonialismo, dall'imperialismo, dal neoliberismo»: «dall'Algeria al Vietnam, dal bombardamento di Belgrado ai massacri di Sabra e Chatila, fino ai fatti dell'11 settembre 2001 e a Santiago del Cile». Bisogna fare un buon servizio alla storia, ha quindi affermato: «la memoria del passato è una dote essenziale per affrontare il futuro e per costruire le prospettive di questa Europa». E, a suo parere, c'è solo un modo per rendere più forte l'Europa: «bisogna bandire la parola guerra dal nostro vocabolario e l'Europa deve svolgere un ruolo attivo nella costruzione di un mondo di pace, dall'Iraq all'Afghanistan alla Palestina». L'Europa, pertanto, «deve essere più coraggiosa e autorevole» e, ribaltando il detto latino, occorre «sostenere con forza civis pacem para pacem»; «questa deve essere la nostra stella polare». Domani si procederà al voto di una risoluzione su tale questione. Il testo della proposta di risoluzione redatta dalla commissione per gli affari esteri è questo:
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PROPOSTA DI RISOLUZIONE presentata a seguito di dichiarazioni del Consiglio e della Commissione a norma dell'articolo 103, paragrafo 2, del regolamento da Hans-Gert Poettering e Elmar Brok, a nome del gruppo PPE-DE, Martin Schulz, a nome del gruppo PSE, Graham Watson, Annemie Neyts-Uyttebroeck e Jan Jerzy Kułakowski, a nome del gruppo ALDE, Daniel Marc Cohn-Bendit e Monica Frassoni, a nome del gruppo Verts/ALE, Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM, Brian Crowley e Cristiana Muscardini, a nome del gruppo UEN sul sessantesimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale conclusasi l'8 maggio 1945 Risoluzione del Parlamento europeo sul sessantesimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale conclusasi l'8 maggio 1945 Il Parlamento europeo, – visto l'articolo 103, paragrafo 2, del suo regolamento, A. commemorando l'anniversario della fine della Seconda guerra mondiale conclusasi in Europa l'8 maggio 1945 dopo la capitolazione della Germania nazista, B. commemorando e ricordando con dolore tutte le vittime della tirannia nazista, C. commemorando in particolare tutte le vittime dell'Olocausto, D. commemorando con dolore tutte le vittime della guerra, di qualunque appartenenza, come una tragedia europea comune, E. grato a tutti coloro che hanno contribuito alla liberazione dell'Europa dal nazionalsocialismo, un sistema fondato sulla disumanità e la tirannia, di cui l'8 maggio 1945 è divenuta la data simbolo, F. rivolgendo un tributo particolare a tutti i militari alleati che hanno sacrificato le proprie vite e a quelle nazioni, segnatamente gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l'Unione sovietica e gli altri Stati alleati, che hanno combattuto la guerra contro il nazismo e il fascismo, e altrettanto grato a quelle nazioni che hanno fermamente sostenuto il ripristino della libertà e della democrazia in gran parte del nostro continente, G. ricordando che per alcune nazioni la fine del secondo conflitto mondiale ha significato l'assoggettamento a una nuova tirannia inflitta dall'Unione sovietica stalinista, H. consapevole delle immani sofferenze e ingiustizie e del profondo degrado sociale, politico ed economico sofferto dalle nazioni rimaste prigioniere al di là di quella che sarebbe diventata la Cortina di ferro, I. riconoscendo il successo delle nazioni dell'Europa centrale ed orientale nell'instaurazione dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani dopo le rivoluzioni democratiche che hanno rovesciato i regimi comunisti ed hanno ridato loro la libertà, J. considerando il successo del processo di integrazione europea e dell'alleanza transatlantica, con la pace e la prosperità che hanno apportato, come una forte risposta agli insegnamenti tratti dalle sciagure e dai fallimenti del passato, 1. sottolinea l'importanza di conservare vive le memorie del passato, giacché non può esservi riconciliazione senza verità e ricordo; sottolinea nel contempo che solo un Europa forte può fornire i mezzi per superare le atrocità del passato; 2. esprime il suo rispetto e rivolge il suo tributo a tutti coloro che hanno lottato contro la tirannia e in particolare a coloro che ne sono divenute le vittime; 3. riafferma il suo impegno per un'Europa pacifica e prospera fondata sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, della preminenza del diritto e del rispetto dei diritti umani; 4. riafferma la sua posizione unitaria contro ogni potere totalitario, di qualunque credo ideologico; 5. saluta questa prima opportunità di commemorare l'anniversario con i membri eletti di tutti i 25 Paesi dell'Unione europea, in quanto espressione di un'unione sempre più stretta delle nostre nazioni e dei nostri cittadini, che hanno superato le divisioni fra vittime ed aggressori e fra vincitori e vinti, e in quanto occasione per condividere e unire i nostri ricordi sulla via di una vera memoria europea comune ed opportunità per impedire il riemergere del nazionalismo e del totalitarismo; 6. saluta con soddisfazione il fatto che gli Stati e le popolazioni dell'Europa centrale ed orientali possono ora godere anch'essi della libertà e del diritto di determinare il proprio destino dopo tanti decenni trascorso sotto la dominazione o occupazione sovietica o sotto altre dittature comuniste; saluta l'unificazione tedesca e il fatto che dieci dei Paesi dell'Europa centrale ed orientale hanno aderito all'Unione europea o lo faranno in tempi brevi; 7. sottolinea che il processo di integrazione europea ha contribuito ad abbattere quasi tutte le dittature del dopoguerra sul continente europeo, sia nei Paesi dell'Europa centrale ed orientale che in Spagna, Portogallo e Grecia; 8. dichiara che il processo di integrazione europea e l'ulteriore sviluppo dell'Unione come modello di pace sono il portato della libera decisione del popolo di determinare il proprio destino e di impegnarsi in un futuro comune; 9. dichiara che, secondo l'accordo di Helsinki, nessun Paese ha il diritto di decidere del destino di un altro Stato; 10. invita tutti i Paesi ad aprire gli archivi relativi alla Seconda guerra mondiale; 11. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, ai parlamenti degli Stati membri, ai governi e ai parlamenti dei Paesi candidati, ai governi e ai parlamenti dei Paesi associati all'Unione europea, ai governi e ai parlamenti dei Stati membri del Consiglio d'Europa e al Congresso degli Stati Uniti.
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