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RASSEGNA

 

5 luglio 2005

 

Strasburgo

 


Il Presidente Ciampi al Parlamento: serena fiducia nel futuro dell'Unione europea

 

Seduta solenne - Allocuzione di Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica italiana

5.7.2005 

Il Presidente Borrell si è innanzitutto detto onorato di accogliere Carlo Azeglio Ciampi in Aula. Tutti, ha aggiunto, lo conosciamo e ricordiamo in lui il «brillante» Governatore della Banca d'Italia, il Primo Ministro che ha dovuto affrontare momenti difficili del sistema politico italiano, l'«abile» Ministro del Tesoro dei Governi Prodi e D'Alema. Ora è un Presidente della Repubblica «che tutti gli italiani amano». In questi difficili momenti per l'Europa, ha proseguito, occorre ricordare che il Presidente ha contribuito in modo decisivo all'entrata dell'Italia nell'euro. E' bene rammentarlo, ha aggiunto, in questi momenti in cui alcuni «considerano l'euro una camicia di forza, piuttosto che uno strumento fondamentale per la prosperità e la stabilità economica».

Affermando quindi di averlo conosciuto personalmente, per la prima volta, in occasione della firma del Trattato costituzionale, avvenuta a Roma nell'ottobre 2004, il Presidente ha sottolineato come, in quell'occasione, sia rimasto molto impressionato dalla sua personalità e dalle sue idee. «Già conoscevo l'uomo politico» ma, allora, «ho potuto incontrare la persona che ha sempre lottato con lucida passione in favore della costruzione di un'Europa garante della pace, della democrazia ma anche del progresso economico e sociale». Un uomo che ha sempre ricordato com'era l'Europa dopo la seconda guerra mondiale e che «ha visto realizzarsi il sogno di coloro che, allora, hanno saputo porre le basi dell'Europa di oggi».

Un'Europa, ha proseguito, che agli occhi di molti, sembra qualcosa di scontato, in particolare per le nuove generazioni, per la quale non è sentita la necessità di mobilitarsi. Ma noi sappiamo invece «che non è così», che l'Europa non si fa da sola e la pace non è sicura e certamente non lo sarebbe senza il successo del progetto europeo.

«L'Europa non è un incidente di percorso della storia», ha aggiunto. E' una necessità che esige un grandissimo sforzo per realizzarla e, a tal fine, occorre l'impegno di tutti. E' il frutto di una lenta elaborazione che implica compromessi, entusiasmo e, a volte, delusioni. Il Presidente Ciampi, ha proseguito, è presente al Parlamento in un momento in cui si vive un certo disincanto ed è necessario trovare nuovi ideali condivisi da tutti affinché l'Europa torni a farci sognare ed entusiasmare.

La presenza del Presidente Ciampi, ha quindi affermato, si iscrive perfettamente nel dibattito sul futuro dell'Europa a cui oggi egli dà simbolicamente avvio. Sottolineando quindi la necessità di creare una nuova Giovane Europa, ha voluti ricordare Giuseppe Mazzini, di cui ricorre in questi giorni il bicentenario, secondo il quale la democrazia e la libertà uniscono gli uomini indipendentemente dalla latitudine nella quale vivono.

Borrell ha quindi concluso dicendosi sicuro che le parole del Presidente saranno di grande aiuto nel momento difficile in cui si trova oggi l'Europa, «per proseguire il cammino verso la costruzione di un'Europa capace di garantire non solo la pace e la cooperazione ma anche la prosperità e la sicurezza». Un'Europa capace di fare nel resto del mondo quello che ha fatto al suo interno: «creare una società basata sul rispetto della diversità e dell'integrazione nonché sulla costruzione di un'identità comune».

Intervento del Presidente della Repubblica italiana Carlo Azeglio CIAMPI: L'Unione europea di fronte alle sue responsabilità

«Signor Presidente, onorevoli deputati,

vi ringrazio per il calore con cui mi avete accolto. Ringrazio in particolare il Presidente per le espressioni affettuose con le quali ha voluto presentarmi.

Sento con emozione l'onore di parlare nel luogo più alto della democrazia europea. Di far sentire la voce della Repubblica italiana, nel punto centrale del sistema costituzionale dell'Unione.

Uso con convinzione l'aggettivo "costituzionale" perché tale è l'ordinamento giuridico che abbiamo costruito insieme da cinquanta anni, trattato dopo trattato.

L'Unione europea non è - e non può essere - soltanto una zona economica di libero scambio. Essa è soprattutto, e fin dalle origine, un organismo politico; una terra di diritti; una realtà costituzionale, che non si contrappone alle nostre amate Costituzioni nazionali, ma le collega e le completa.

E' un organismo politico che non nega l'identità dei nostri Stati nazionali, ma li rafforza di fronte alle grandi sfide di un orizzonte sempre più vasto.

E' una terra dei diritti alla quale ogni altro abitante di questo pianeta può guardare con la fiducia che qui, meglio che altrove, sono rispettati i valori della persona umana 

E' giusta l'ambiziosa definizione che dell'Unione dà il trattato costituzionale: "spazio privilegiato della speranza umana".

 Da questo punto dobbiamo andare avanti, tutti insieme: sia gli 11 Stati che, come l'Italia, hanno già ratificato il trattato costituzionale, sia gli Stati che ancora devono farlo, sia i 2 Stati che hanno detto no.

Ci lega in maniera irreversibile il quadro istituzionale unitario.

 Esso è già abbastanza forte per consentire di fare insieme molte cose per i nostri cittadini; per recuperare il consenso popolare che in alcuni paesi è mancato al trattato; per consolidare le nostre Istituzioni ereditate da un passato di successo. 

Proprio perché siamo già un'entità politica e costituzionale, possiamo anzi valutare con realismo il senso del rigetto verificatosi in due paesi legati fin dalle origini alla vicenda europea. Ancora pochi mesi or sono - in occasione della solenne firma a Roma del trattato costituzionale da parte dei 25 governi dell'Unione - il progetto unitario era circondato da un generale consenso.

In pochi mesi si è fatto strada il timore che i cittadini fossero esclusi da decisioni cruciali per il loro futuro; si sono accentuate le preoccupazioni per la mancata crescita economica.

Ma è davvero giustificato interpretare l'esito dei referendum come disaffezione nei confronti dell'unità europea? Cedere alla tentazione di mettere addirittura in discussione lo stesso progetto dei padri fondatori?

 Se alziamo lo sguardo, il trattato di Roma dell'ottobre 2004 ci appare piuttosto il capro espiatorio di un malessere diffuso che riguarda non tanto l'assetto istituzionale quanto le politiche di governo dell'Unione.

Registriamo perfino un paradosso. La richiesta insistita per un risveglio politico dell'Unione, più urgente delle pur necessarie riforme istituzionali, testimonia la coscienza della Comunità di destino su cui si fonda materialmente una costituzione.

Ecco perché noi dobbiamo ora pensare alle politiche di avvenire dell'Unione, senza però abbandonare il disegno costituzionale tracciato dall'operosa Convenzione.

Che cosa già chiede con urgenza l'avvenire alla nostra Europa?

Chiede, innanzitutto, per dirla con Ortega y Gasset, che l'Unione sia vertebrata da iniziative di coesione politica; di coesione fisica; di coesione sociale.

Il principio fondamentale della sussidiarietà deve essere interpretato come principio di coesione politica: consente la partecipazione dal basso alle decisioni comunitarie, cominciando dai mille e mille Municipi della nostra Unione.

E' già a quei livelli che deve essere vissuta l'Unione europea.

L'Europa ha bisogno di coesione fisica: di strutture di trasporto e di comunicazione che, nel rispetto dell'ambiente e dei paesaggi, rendano più uniti gli europei.

L'Europa - che ha inventato il welfare State, lo Stato assistenziale - ha bisogno di coesione sociale: non possiamo tollerare che perdurino vistose disparità di tenore di vita tra i territori e quindi tra popoli ai quali la nostra personalità internazionale dà una rappresentanza unitaria.

L'Europa chiede, di conseguenza, che lo storico obiettivo della convergenza e della coesione sia raggiunto con appropriate politiche di governo dell'economia.

Ho sempre considerato - come uomo di banca, prima, come uomo della politica, poi - che il principio del libero mercato nella cultura economica dell'Unione significa essere capaci di parlare al mercato nel linguaggio del mercato.

Ma non può significare assecondarne ogni esuberanza.

E' la mancanza di volontà politica dei governi nazionali che impedisce un efficace coordinamento delle loro politiche di bilancio.

Ciò rende difficile che sia l'Unione ad intervenire, con un fondo comune - costituito anche con il ricorso dell'Unione al credito internazionale - per le grandi infrastrutture di interesse europeo, per le grandi iniziative comuni di ricerca ed innovazione, per costituire un patrimonio di beni pubblici comunitari.

La strategia di Lisbona è il primo anello di una catena che dovrà portare alla governabilità dell'economia europea.

Dai governi nazionali deve giungere un messaggio preciso, reso convincente dall'allocazione delle risorse pubbliche.

Le invocate flessibilità devono essere utilizzate dalle imprese per guadagnare in competitività e per accrescere base produttiva e vendite in Europa e nel mondo.

L'Europa deve rilanciare il proprio impegno nei grandi programmi comuni.

Molte volte ci siamo riusciti, anche negli anni recenti: nell'ambito del CERN e dell'Agenzia spaziale europea; con i progetti ITER e Galileo, che hanno fatto un decisivo passo in avanti per il rafforzamento tecnologico dell'Europa; con il progetto Erasmus, che ha aperto nuovi orizzonti europei ad oltre un milione di giovani. Anche Airbus è un esempio di cosa possiamo fare insieme, se solo ci uniamo.

Guardiamo con fiducia anche alla capacità di iniziative dell'Eurozona, ora presieduta da Jean Claude Juncker, al quale invio, anche in nome di una vecchia amicizia e collaborazione, un cordiale saluto.

L'euro costituisce la manifestazione più avanzata della volontà unitaria dei popoli europei; una forza trainante dell'integrazione politica.

E' un inequivocabile segnale di fiducia che sei dei dieci paesi di nuova adesione siano già entrati a far parte dello SME 2, compiendo così i primi importanti passi per unirsi all'eurozona.

I benefici tangibili derivanti dalla partecipazione alla moneta unica sono sotto gli occhi di tutti: difesa dagli squilibri sul mercato dei cambi; bassi tassi di interesse; rafforzamento della competitività in quei paesi della zona euro che hanno adottato politiche virtuose.

Dobbiamo registrare come straordinari successi sia l'affermazione dell'euro sui mercati internazionali, sia la politica di stabilità dei prezzi perseguita dalla Banca centrale europea.

Ma non possiamo accontentarci più a lungo di questa situazione.

Il confermato, giusto rigore del Patto di stabilità non è di per sé garanzia di crescita, se perdura l'inerzia.

I positivi effetti dell'euro continueranno a manifestarsi con difficoltà, se mancherà una gestione coordinata sia dei bilanci nazionali sia dell'orientamento delle politiche economiche degli Stati.

Solo su queste basi l'Unione potrà realizzare appieno la capacità, di cui si è dotata con la moneta unica, di essere attore economico globale e di consolidare un blocco economico-monetario in grado di far valere gli interessi dei cittadini e i ritmi di un suo equilibrato sviluppo.

Aspettiamo ora con fiducia anche un'intesa sulle prospettive finanziarie dell'Unione.

E' positivo un aperto, franco confronto politico sulle priorità delle azioni dell'Unione. 

Ma è necessario approvare quanto prima un bilancio comunitario che - oltre ad esprimere un equilibrio tra le diverse istanze degli Stati - sia basato su obiettivi coerenti e solidali.

Esprimo in questa sede il vivo auspicio di successo per l'opera che il Primo ministro britannico Tony Blair, Presidente di turno dell'Unione europea, si è impegnato a realizzare davanti a questo Parlamento.

La vitalità del modello europeo dipenderà anche dalla capacità di mobilitare forze nuove all'interno dei nostri paesi.

Mi spiego: solo sviluppando un dialogo e una convivenza costruttiva tra cittadini europei e residenti extracomunitari riusciremo a consolidare l'essenza migliore della nostra civiltà.

Infine, l'avvenire della nostra Europa chiede politiche di sicurezza e di pace.

 La visione internazionale dell'Unione europea - basata sulla prevalenza del diritto, sulla fiducia nel sistema multilaterale - suscita aspettative e speranze nel mondo intero.

Ma soltanto unita l'Europa potrà incidere sugli equilibri internazionali. Agendo da soli saremmo in balia di eventi più grandi di noi, eventi che minacciano la pace e la sicurezza europea.

Coerentemente con questa impostazione il Parlamento europeo si è posto da tempo il problema della rappresentanza unitaria dell'Europa alle Nazioni Unite.

La risoluzione approvata nel giugno scorso, così come la precedente del gennaio 2004, stabilisce che il seggio unico dell'Unione europea nel Consiglio di sicurezza dell'ONU è l'obiettivo che l'Europa deve prefiggersi.

Questa chiarezza di visione fa onore al Parlamento europeo.

La consapevolezza delle nostre comuni radici e la memoria condivisa del bene e del male della nostra storia attestano l'esistenza di un interesse europeo superiore che armonizza interessi nazionali, li protegge dagli eccessi che hanno tormentato il nostro passato, li proietta in una visione comune dei rapporti con il mondo.

L'Europa allargata ha ormai lambito i limiti della sua identità culturale e storica; ma, se la geografia non consente di riconoscere in maniera certa i confini dell'Europa, lo spazio comune di principi, valori, regole espressi dall'Unione europea è oggi ben identificato.

L'ampliamento dell'Unione ha rappresentato un dovere storico verso i popoli che vedevano nell'adesione all'Unione europea la garanzia delle loro ritrovate libertà, il coronamento di un'attesa durata quasi mezzo secolo.

Dai nuovi Stati membri - che hanno diritto a vivere in un'Unione efficace e solidale nei loro confronti - ci attendiamo, e lo rileviamo già, un contributo di costruttivo entusiasmo.

L'Unione ampliata proseguirà unita.

Ma proprio perché e diventata più estesa, avrà bisogno più che in passato d'iniziative d'avanguardia che indichino la strada da seguire per completare l'unità dell'Europa.

Onorevoli deputati,

il Parlamento europeo ha il dovere di riproporre l'Unione europea come sentimento generale della gente.

Sta a voi rispondere alle richieste dei cittadini per ancora maggiore democrazia, trasparenza, governabilità.

Da quanto il 14 febbraio 1984, il Parlamento europeo presentò il progetto di Costituzione europea di Altiero Spinelli, questa assise ha costantemente sollecitato un suo maggiore coinvolgimento nelle revisioni dei trattati.

Ora la più rappresentativa delle Istituzioni europee ha la responsabilità storica di non disperdere il patrimonio costituente; di fare in modo che la pausa di riflessione sulla Costituzione non sia l'anticamera dell'oblio.

Le stesse conclusioni del Consiglio europeo del 16 e 17 giugno incitano ad un "dibattito mobilitante" e invitano "le Istituzioni europee ad apportarvi un contributo".

Signor Presidente, onorevoli deputati,

in anni ormai lontani ebbi modo, come studente universitario in Italia e in Germania, di vedere con quanta insensatezza gli Stati europei avviassero, con la Seconda guerra mondiale, l'eccidio di un'intera generazione.

Guardo perciò con inquietudine ad ogni allentamento, a ogni crisi del processo di integrazione europea. E, tuttavia, spero abbiate avvertito nelle mie parole una serena fiducia nel futuro.

A metà del secolo scorso, uomini grandi e saggi hanno edificato un edificio che non si potrà distruggere. Ma dobbiamo stare attenti, come guardiani del faro, ad avvertire i giovani dei pericoli nuovi.

Tra non molto terminerò il mio mandato come Presidente della Repubblica italiana. Sei anni fa' dopo il giuramento, conclusi il mio discorso innanzi al Parlamento italiano con un grido di saluto, l'impegno verso l'Italia e l'Unione europea a cui credo di essere stato fedele in questi anni densi di storia e di mutamenti.

E' un impegno che mi è grato ora rinnovare qui davanti a voi.

Viva l'Europa e l'Unione europea.»

I deputati, in piedi, hanno quindi tributato un lungo applauso al Presidente Ciampi.

Riprendendo la parola, il Presidente Borrell ha nuovamente ringraziato Carlo Azeglio Ciampi dicendo che l'emozione gli ha fatto dimenticare le parole che voleva pronunciare. Si è comunque detto in grado di affermare, a nome della stragrande maggioranza del Parlamento, che l'Istituzione ricorderà le parole del Presidente italiano. Egli, ha aggiunto, ha dimostrato di appartenere alla Giovane Europa e, in proposito, citando Picasso, ha sottolineato che «sono necessari molti anni per diventare giovani», e il Presidente italiano ha dimostrato come lo si può essere.

Borrell si è quindi scusato per le proteste avvenute in Aula durante il suo intervento (che hanno portato all'espulsione di tre deputati della Lega Nord), affermando che non rappresentano certamente la maggioranza del Parlamento. Si è quindi augurato che le idee espresse dal Capo dello Stato possano servire al dibattito sull'Europa. In proposito, ha voluto sottolineare che l'Europa è la storia di un successo e che occorre evitare «di morire per troppo successo», banalizzando quelle che sono invece gli obiettivi fondamentali della convivenza.

L'augurio, ha concluso, è che le parole del Presidente Ciampi siano ascoltate anche al di fuori dall'Emiciclo

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Spiegare meglio i vantaggi dell'€uro

 

Jules MAATEN (ALDE/ADLE, NL)

Relazione sull'attuazione della strategia d'informazione e di comunicazione riguardante l'euro e l'Unione economica e monetaria

Doc.: A6-0197/2005

Procedura: Iniziativa

Dibattito: 4.7.2005

Votazione: 5.7.2005

L'euro ha portato numerosi benefici, ma la sua popolarità presso i cittadini è messa a dura prova. La campagna d'informazione europea sulla moneta unica dovrà quindi rispondere alle preoccupazioni dei cittadini, mentre gli Stati membri dovranno trarre la lezione dai precedenti change over per non ripetere gli errori commessi ed evitare ingiustificati aumenti dei prezzi. E' questa la sostanza della relazione d'iniziativa di Jules MAATEN (ALDE/ADLE, NL) sulla strategia d'informazione e di comunicazione riguardante l'euro e l'Unione economica e monetaria adottata dalla Plenaria con 493 voti favorevoli, 117 contrari e 14 astensioni. I deputati, inoltre, lamentano gli eccessivi costi delle transazioni transfrontaliere, s'interrogano sull'opportunità di mantenere le banconote di 500 euro e chiedono di rendere meno vulnerabile alla contraffazione la prossima generazione di banconote.

Il Parlamento saluta con favore i vantaggi offerti dall'UEM: stabilità dei prezzi, costi di transazione ridotti, maggiore trasparenza dei prezzi nella zona euro, minore volatilità dei prezzi sui mercati valutari internazionali e protezione contro le crisi esterne, tassi di interesse storicamente bassi, tassi ipotecari bassi e maggiore facilità per chi viaggia. Inoltre, sostiene l'euro in quanto «potente simbolo dell'integrazione europea» e «mezzo atto ad avvicinare i cittadini europei agli ideali su cui si fonda l'Unione». Per i deputati l'euro rappresenta probabilmente «il più grande progetto europeo mai lanciato».

D'altra parte, adottando un emendamento proposto dal PPE/DE, il Parlamento sottolinea che la debole crescita economica dopo l'introduzione dell'euro «non è stata causata dal cambio di moneta» ma, piuttosto, da «una inappropriata esecuzione degli orientamenti sulla politica economica» nonché dal fatto che l'accordo di Lisbona «non è stato eseguito» e «le riforme strutturali non sono state attuate».

Nel notare «l'evidente mancanza di popolarità dell'euro fra determinati settori della popolazione», i deputati ritengono che la moneta unica rimanga per l'UE una priorità in termini di comunicazione, in quanto sostengono la necessità di spiegare e promuovere al pubblico i benefici che essa comporta. Infatti, le percezioni negative nei confronti della moneta unica, per i deputati, sono state aggravate in ampia misura «da taluni errori effettuati durante il passaggio all'euro» che, peraltro, in realtà avrebbe inciso solo dello 0,2% sull'inflazione. A loro parere, inoltre, non è stata prestata sufficiente attenzione alle conseguenze del change over per il consumatore medio che ha visto un aumento dei prezzi dei prodotti e dei servizi di uso quotidiano nonché per le PMI che sono state inadeguatamente informate e non sono state fornite di sufficiente liquidità. E' stato «chiaramente un errore», infine, terminare le campagne di comunicazione così presto dopo l'introduzione materiale dell'euro.

Nelle nuove campagne d'informazione, inoltre, un accento particolare andrà posto sull'informazione e sull'aggiornamento dei cittadini e dei consumatori europei e delle PMI che non dispongono di capacità sufficienti per adeguare immediatamente all'euro le loro transazioni economiche.

Per i deputati è essenziale che i principali decisori politici «si assumano la piena responsabilità politica per l'ulteriore sviluppo della politica monetaria comune e di un maggior coordinamento economico», in quanto considerano che la vitalità a lungo termine «contribuirà al progresso generale dell'Unione» e, aggiungono, perchè «la popolarità dell'euro è importante relativamente all'eventuale ratifica del trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa».

Il Parlamento, pertanto, si dice favorevole a un più stretto coordinamento delle politiche economiche fra gli Stati membri e alla prudenza fiscale «nel quadro di un riformato ma solido Patto di stabilità e di crescita» che, a suo parere, contribuirà alla stabilità economica a lungo termine degli Stati membri e al loro adeguamento agli obiettivi della strategia di Lisbona.

Nell'invitare la Commissione a perseguire i suoi principali obiettivi di comunicazione e ad indicare in dettaglio i passi necessari a raggiungerli, la relazione sottolinea l'opportunità di utilizzare maggiormente le moderne tecniche di marketing e di avviare una campagna di informazione adatta alla cultura, alla lingua, all'opinione pubblica prevalente ed alle preoccupazioni dei cittadini dei vari paesi.

E' necessario altresì considerare se il paese è già nella zona euro o vi entrerà a medio o breve termine o se intende invece rimanerne fuori. I deputati chiedono inoltre un incremento dei fondi disponibili con il programma PRINCE e, al riguardo, sottolineano che il principio del cofinanziamento sotteso al programma può generare gravi problemi e ritardi nell'introduzione dell'euro nei nuovi Stati membri, che mancano delle necessarie risorse finanziarie.

Gli Stati che entreranno in futuro a far parte della zona euro dovrebbero «far tesoro dell'esperienza acquisita» in quelli che attualmente ne fanno parte, «nei quali sono stati registrati comportamenti scorretti ed esempi di eccessivo arrotondamento», al fine di evitare simili pratiche. In proposito, i deputati sottolineano che l'obbligo della duplice indicazione dei prezzi può ridurre i timori del pubblico rispetto all'aumento dei prezzi indotto dall'euro ed esercitare una certa pressione sulle imprese e i fornitori di servizi «affinché non prendano a pretesto il passaggio all'euro per aumentare i prezzi». Con l'adozione di un emendamento proposto dal PSE, la Commissione è invitata poi a elaborare relazioni specifiche basate sulle migliore pratiche e a incoraggiare le autorità nazionali, regionali e locali a stabile centri informativi a livello locale «a cui tutti possano riferire eventuali abusi, come gli aumenti ingiustificati dei prezzi»

La relazione invita poi la Commissione a riconoscere l'importanza del ruolo attivo del Parlamento europeo, dei parlamenti nazionali e delle autorità regionali e locali nella pianificazione e nell'attuazione della strategia di comunicazione riguardante l'euro e l'UEM. L'azione di tali organi, infatti, rende più democratico il dialogo sulla strategia di comunicazione e consente di integrarvi meglio le preoccupazioni e le perplessità dei cittadini.

La BCE, invece, è sollecitata ad intraprendere, nel quadro della sua relazione annuale o di una relazione speciale, un'analisi quantitativa annua dei benefici che l'euro ha apportato per il cittadino comune, con esempi concreti di come l'uso della moneta unica abbia influito positivamente sulla vita quotidiana dei cittadini. All'Esecutivo, d'altra parte, è chiesto di condurre un sondaggio specifico tra le PMI di tutta Europa per stabilire il livello di accettazione dell'euro nel settore.

Il settore bancario è invece invitato a mettere a disposizione sportelli bancomat in grado di distribuire alla clientela un maggior numero di biglietti di piccolo taglio in modo da ridurre il contante detenuto in cassa dai negozianti e ridurre conseguentemente il rischio di rapine. D'altra parte i deputati deplorano i costi tuttora elevati dei pagamenti transfrontalieri al dettaglio effettuati in euro, sebbene la normativa comunitaria abbia comportato riduzioni sostanziali delle tariffe relative ai bonifici transfrontalieri standard in euro. Nel sostenere quindi la creazione di un'Area unica europea dei pagamenti, invitano la Commissione a presentare una disciplina globale per il settore e a cogliere tale opportunità per armonizzare i sistemi elettronici di pagamento nell'UE.

Constatando poi il numero eccessivo di banconote da 500 euro circolanti (per un valore di 190 milioni di euro), i deputati si interrogano sull'opportunità di mantenerle tenuto conto dei rischi di criminalità finanziaria e riciclaggio connessi all'uso di banconote di tale valore. Inoltre, nel salutare con favore la preparazione di una seconda generazione di banconote, la relazione sollecita la BCE ad esercitare grande vigilanza per rendere la moneta unica meno vulnerabile alla contraffazione. Europol e le forze di polizia degli Stati membri dovrebbero quindi trattare questo problema in via prioritaria.

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Comunicazione della Commissione (francese e inglese)

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Relazione 2004 della BCE
 

Kurt Joachim LAUK (PPE/DE, DE)

Relazione sulla relazione annuale per il 2004 della Banca centrale europea

Doc.: A6-/2005

Procedura: Iniziativa

Dibattito: 4.7.2005

Votazione: 5.7.2005

Di stretta maggioranza - 287 voti favorevoli, 296 contrari e 41 astensioni - l'Aula ha respinto la relazione di Kurt Joachim LAUK (PPE/DE, DE) sulla relazione annuale della Banca centrale europea, illustrata la vigila dal suo Presidente, Jean Claude Trichet.

La relazione adottata dalla commissione parlamentare plaudeva alla scelta della BCE di concentrarsi «sul suo obiettivo primario», ossia mantenere la stabilità dei prezzi, «contribuendo in tal modo a conseguire una crescita economica sostenuta». Prima del voto finale, era stato respinto un emendamento che chiedeva alla BCE di abbassare i tassi d'interesse.

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Relazione 2004 della BCE

Giocattoli più sicuri per i bambini
 

Antonios TRAKATELLIS (PPE/DE, EL)

Raccomandazione per la seconda lettura relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica per la ventiduesima volta la direttiva 76/769/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi (ftalati nei giocattoli e negli articoli di puericultura)

Doc.: A6-0196/2005

Procedura: Codecisione, seconda lettura

Dibattito: 4.7.2005

Votazione: 5.7.2005

Con 497 voti favorevoli e 9 contrari il Parlamento chiede il divieto definitivo di sei ftalati utilizzati nei giocattoli e negli articoli di puericultura. Questi prodotti, che servono a rendere più malleabili le plastiche, sin dal 1999 erano soggetti a un bando temporaneo per gli articoli destinati ai bambini di meno di tre anni in ragione dei loro effetti cancerogeni, mutageni e tossici per la riproduzione. La relazione votata dalla Plenaria è frutto di una serie di emendamenti di compromesso negoziati, dopo il voto in commissione parlamentare, dal relatore Antonios TRAKATELLIS con il Consiglio. Pertanto, la direttiva concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso degli ftalati nei giocattoli e negli articoli di puericultura, potrà entrare in vigore venti giorni dopo la sua pubblicazione, mentre gli Stati membri dovranno applicarle 12 mesi dopo l'entrata in vigore della direttiva.

Con le nuove disposizioni, tre ftalati (DEHP, DBP e BBP) non potranno essere utilizzati in nessun caso se la loro concentrazione supera lo 0,1% in massa di materia plastificata in tutti i giocattoli e articoli di puericultura. Prima del 1999, non era raro che questa concentrazione superasse il 30%. Gli altri tre - DINP, DIDP e DNOP - sono vietati, per le stesse concentrazioni, negli articoli che possono essere portati alla bocca dai bambini, anche se non è questa la loro finalità. Questi divieti non sono più limitati a determinate fasce d'età.

Aldilà dei giocattoli e degli articoli di puericultura, i deputati chiedono alla Commissione di esaminare i rischi che potrebbero comportare altri tipi di materiali che contengono ftalati, in particolare quelli utilizzati nelle apparecchiature mediche.

Background

Il Parlamento s'era pronunciato in prima lettura nel luglio 2000 e aveva auspicato il divieto di tutti gli ftalati nei giochi e negli articoli destinati ai bambini di meno di tre anni, così come delle avvertenze in etichetta per i giocattoli destinati ai bambini da tre a  sei anni, ma suscettibili di essere messi in bocca dai più giovani.

Il Consiglio, nell'aprile 2005, ha poi adottato una posizione comune basata sugli ultimi dati scientifici disponibili e sui pareri del Comitato scientifico della tossicità, dell'ecotossicità e dell'ambiente. Il Consiglio ha quindi classificato i sei ftalati in questione in due categorie. Quelli rientranti nella prima (DEHP, DBP e BBP) sarebbero vietati in tutti i giocattoli e articoli di puericultura, quelli cha fanno parte della seconda (DINP, DIDP e DNOP) sarebbero vietati unicamente negli articoli destinati ai bambini di età inferiore ai tre anni.

Nuove misure contro lo sfruttamento minorile
 

Manolis MAVROMMATIS (PPE/DE, EL)

Relazione sullo sfruttamento dei bambini nei paesi in via di sviluppo, con particolare enfasi sul lavoro infantile

Doc.: A6-0185/2005

Procedura: Iniziativa

Votazione: 4.7.2005

Eliminazione della povertà, maggiore impegno nella lotta contro il lavoro e le peggiori forme di sfruttamento infantile, nonché miglioramento dell'accesso all'istruzione. E' quanto suggerisce la relazione di Manolis MAVROMMATIS (PPE/DE, EL) sullo sfruttamento dei bambini nei paesi in via di sviluppo, adottata oggi dalla Plenaria con 618 voti a favore, 10 contrari e 4 astensioni.

Bando del lavoro infantile

Partendo dal presupposto che nel mondo lavorano 352 milioni di bambini e che, secondo l'Unicef, per lavoro infantile «si intende qualsiasi forma di lavoro svolto da bambini di età inferiore ai diciotto anni che è pericoloso o interferisce con l'educazione» o che può essere dannoso per la loro salute o il loro «sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale», l'Aula «invita tutti gli Stati a procedere quanto prima alla ratifica e all'applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia». Per questo i deputati esortano gli Stati membri dell'Unione europea che ancora non l'hanno fatto a ratificare le convenzioni 138 e 182 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) «in quanto qualsiasi altro atteggiamento sarebbe contrario alla Carta dei diritti fondamentali».

Alla Commissione, invece, è raccomandato di rendere l'attuazione delle norme fondamentali sul lavoro «una costante componente della concertazione bilaterale a tutti i livelli sia con i paesi dove si registrano violazioni sia con i paesi che vi sono coinvolti tramite investimenti e scambi commerciali». In ogni accordo commerciale bilaterale o partenariato strategico, quindi, andrebbe introdotta una clausola sull'attuazione delle norme fondamentali sul lavoro, «tra cui la messa al bando del lavoro infantile, con particolare riferimento all'età minima di accesso al lavoro».

I deputati, in seguito, si dicono soddisfatti per «la finalizzazione del partenariato strategico per la cooperazione e lo sviluppo con l'OIL», la cui priorità è l'eliminazione del lavoro infantile, in particolare per le età più basse e, pertanto, la Commissione è esortata ad attuarla il più presto possibile e a riferire al Parlamento su base regolare. Essi, inoltre, chiedono di appoggiare «i programmi volti a lottare contro le forme meno diffuse di lavoro infantile» come, per esempio, le attività domestiche e la vendita di bambini per saldare i debiti familiari.

E' poi auspicata l'introduzione di un regime comunitario volto ad etichettare i prodotti con la dicitura «senza ricorso al lavoro minorile», conforme alle norme commerciali internazionali dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. E' anche auspicata l'elaborazione di una comunicazione annuale sui diritti del bambino che offra «un quadro coerente per la protezione dei diritti dei bambini e l'eliminazione del lavoro infantile».

Il Parlamento raccomanda, inoltre, all'Esecutivo di indagare e identificare le società che utilizzano manodopera infantile e che tale elenco venga messo a disposizione degli importatori dell'Unione europea. Stati membri e governi locali, poi, sono invitati a «sensibilizzare i consumatori sulla responsabilità sociale delle imprese» e a «cooperare con le organizzazioni internazionali per monitorare i settori dell'industria e dell'agricoltura».

Affinché si possa trovare «un efficace strumento globale contro il lavoro infantile e altri eventuali abusi dei diritti dell'uomo da parte delle imprese», i deputati sollecitano la Commissione e gli Stati membri «a fornire un contributo allo sviluppo delle norme ONU sulle responsabilità delle imprese transnazionali e delle altre imprese per quanto riguarda i diritti dell'uomo».

L'attenzione è poi rivolta alle linee direttrici dell'OCSE per le imprese multinazionali e il Patto mondiale (Global Compact) dell'ONU, che dovrebbero essere sostenute dal Consiglio e la cui portata dovrebbe essere estesa dagli investimenti agli scambi commerciali. Questo ultimo è poi invitato «fare il nome pubblicamente delle imprese e delle società multinazionali attive nella produzione di noti prodotti mediante lo sfruttamento del lavoro infantile».

La Commissione, in seguito, è sollecitata a far valere il suo ruolo di «principale donatore di assistenza ufficiale allo sviluppo tra le istituzioni internazionali quali l'UNESCO, l'UNICEF, la Banca mondiale e il FMI, per esortare questi donatori multilaterali ad esercitare pressioni» affinché vengano delineate politiche volte alla tutela dei bambini, nonché a sostenere le misure richieste dall'UNICEF per eliminare il lavoro infantile. 

Eliminare la povertà e migliorare l'accesso all'istruzione

I deputati si dicono preoccupati per le gravi violazioni dei diritti del bambino, «segnatamente il diritto alla salute, all'istruzione e all'alimentazione nonché alla protezione contro la violenza, lo sfruttamento e il maltrattamento». Invitano, quindi, a «designare un inviato speciale dell'UE per i bambini vittime di conflitti armati, guerre, spostamenti, siccità, fame, disastri naturali o dell'AIDS, o per le bambine e i bambini che sono oggetto di traffico di esseri umani che garantisca l'attenzione necessaria a tali situazioni».

Nel ritenere «che l'eliminazione della povertà sia l'unico modo per creare le condizioni necessarie per l'eradicazione dello sfruttamento minorile», la Plenaria sottolinea pertanto l'importanza del sistema del microcredito ai fini dell'aumento del reddito delle famiglie. Invita poi la Commissione a «creare una linea di bilancio speciale che ponga l'accento sulla protezione dei diritti del bambino, nel quadro dell'iniziativa europea per la democrazia e i diritti dell'uomo». L'Unione europea, inoltre, è esortata a collegare i propri sforzi per tentare di eliminare il lavoro minorile con quelli «per conformarsi ad altri standard in materia di lavoro e per assicurare salari sufficienti per lavoratori adulti».

I deputati, osservando come 113 milioni di bambini in età scolare siano privi di istruzione elementare, si rammaricano che non siano stati fatti progressi significativi nell'affrontare la crisi dell'insegnamento. L'Aula, ribadendo la posizione sul rapporto «che si rafforza mutuamente tra una mancanza di istruzione e il lavoro infantile», chiede che si presti particolare attenzione all'istruzione primaria delle bambine, «poiché queste devono affrontare più ostacoli e più barriere che i bambini». L'educazione scolastica può, infatti, rivelarsi uno strumento per «aiutarle a proteggersi contro qualsiasi forma di sfruttamento».

Viene inoltre sottolineato che l'impossibilità di pagare le spese scolastiche non dovrebbe essere un impedimento al diritto all'istruzione e per questo tutti governi sono esortati a  «stabilire un calendario preciso onde eliminare rapidamente le spese di scolarità». Per i deputati, è altresì necessario assicurare, con ogni mezzo adeguato, l'accesso di tutti «all'istruzione secondaria, tecnica e di livello universitario».

Sono, poi, auspicabili le scuole e le classi di transizione, «che aiutano i bambini che non hanno mai ricevuto un'istruzione scolastica formale ad adattarsi all'ambiente scolastico con l'assistenza di personale docente debitamente specializzato».

Garantire la fornitura di energia elettrica a cittadini e imprese
 

Giles Bryan CHICHESTER (PPE/DE, UK)

Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente misure per la sicurezza dell'approvvigionamento elettrico e per gli investimenti nelle infrastrutture

Doc.: A6-0099/2005

Procedura: Codecisione, prima lettura

Dibattito: 4.7.2005

Votazione: 5.7.2005

La Plenaria ha adottato in prima lettura della procedura di codecisione la relazione di Giles Bryan CHICHESTER (PPE/DE, UK) sulla proposta di direttiva riguardante le misure per la sicurezza dell'approvvigionamento elettrico e per gli investimenti nelle infrastrutture che, essendo frutto di un compromesso con il Consiglio, consente di chiudere a questo stadio l'iter legislativo. Gli Stati membri dovranno trasporre la direttiva nel diritto nazionale due anni dopo la sua entrata in vigore.

La proposta della Commissione è stata elaborata a seguito del blackout in Italia nel 2003 a causa del guasto avvenuto in Svizzera. Essa sottolinea come, affinché un mercato interno dell'elettricità funzioni veramente, occorra realizzare importanti investimenti nella rete di trasporto. Questi investimenti sono anche necessari per garantire che la rete sia in grado di fare fronte alla crescita della domanda, senza che imprese e cittadini patiscano di frequenti interruzioni dell'approvvigionamento.

La direttiva intende stabilire un quadro di riferimento entro il quale gli Stati membri devono definire, in materia di sicurezza degli approvvigionamenti, una strategia generale trasparente e non discriminatoria, che sia conforme ai requisiti di un mercato unico concorrenziale dell'elettricità.

Oggetto della direttiva è, innanzitutto, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti elettrici per assicurare il buon funzionamento del mercato interno dell'elettricità dell'Unione europea, nonché per raggiungere un adeguato equilibrio tra l'offerta e la domanda e un livello appropriato d'interconnessione tra gli Stati Membri.

Il compromesso prevede, infine, di limitare la competenza dell'autorità di regolamentazione in materia di interconnessioni.

Il settore energetico in Italia

Dal Rapporto dell'Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente (ENEA) risulta che nel mondo, nel 2003, il 37,3% dell'energia utilizzata traeva origine dal petrolio, il 23,9% dal gas, il 26,5% dal carbone, il 6,1% dal nucleare e altrettanto dal fonti idroelettriche. Rispetto al 2002, l'unica fonte energetica che ha segnato una flessione era quella di origine nucleare (-2%), soprattutto a causa della riduzione registrata in Asia.

Per l'Europa occidentale, compresi i nuovi paesi membri dell'UE, le quote erano, rispettivamente: 39,9%, 23,2%, 17,9%, 12,5% e 6,6%. Per l'Unione europea a 15, invece, i dati sono leggermente diversi: 37,3%, 23,9%, 26,5%, 6,1% e 6,1%. In Europa occidentale e nell'UE, l'unica fonte energetica che ha segnato il passo rispetto all'anno precedente è quella idroelettrica.

In Italia, nel 2003, la produzione nazionale di fonti energetiche ha subito una leggera contrazione (-1%) rispetto all'anno precedente. Particolarmente significativa è stata la riduzione della produzione di gas naturale (-6,3%), mentre più leggera quella del petrolio. Questo trend negativo, sottolinea l'ENEA, ha portato ad una aggravamento della dipendenza energetica del nostro Paese, che è passata dall'84,1% all'84,6%.

Nel 2003, la domanda italiana di energia elettrica sulla rete è stata di 320.659 GWh, il 3,2% in più dell'anno precedente. Questa richiesta è stata soddisfatta per l'84,1% con produzione nazionale. La produzione lorda nazionale di energia elettrica proviene per il 15,1% da fonte idrica, l'82%,6% da quella termica e il 2,3% da quelle geotermica e rinnovabile. La provenienza da fonte termica è aumentata del 5,1% per fare fronte alla maggiore richiesta sulla rete ed al contemporaneo minore contributo di quella idrica (-6,3%).

L'energia da fonte geotermica e rinnovabile ha subito un buon incremento (11,4%), ma rimane quasi invariato il contributo al fabbisogno totale. La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, nel 2003, ammontava a circa 48TWh, pari al 14% del consumo interno lordo e a più del 16% della produzione lorda interna (293,9 TWh). Le principali fonti rinnovabili sono quella idroelettrica, la legna e assimilati e la geotermia.

Link utili

Proposta della Commissione
Sito dell'ENEA

Immunità di Umberto Bossi
 

Diana WALLIS (ALDE/ADLE, UK)

Relazione sulla richiesta di difesa dei privilegi e dell'immunità di Umberto Bossi

Docc.: A6-0209/2005 e A6-0210/2005

Procedura: Immunità

Dibattito: 4.7.2005

Votazione: 5.7.2005

Il Parlamento ha adottato due relazioni di Diana WALLIS (ALDE/ADLE, UK) sulla richiesta di immunità di Umberto BOSSI (IND/DEM, IT) in merito a quattro procedimenti giudiziari avviati presso i tribunali di Brescia, Bergamo, Milano e Padova. I deputati hanno deciso di difendere l'immunità del leader della Lega, ad eccezione di quella richiesta per il procedimento di Milano.

Più in particolare, il Parlamento ha deciso «di difendere i privilegi e le immunità» del deputato in quanto valuta che le sue affermazioni, che hanno dato adito alle cause, «rappresentano l'espressione di opinioni nel corso di uno scambio di opinioni politiche». Il Tribunale di Brescia deve trattare una causa per diffamazione avviata nel 1996 dal sostituto procuratore di Varese a seguito di diverse dichiarazioni sulla magistratura, e su un suo rappresentante, espresse dal deputato nel corso di un comizio a Tradate. La causa di Bergamo, invece, riguarda altre affermazioni pronunciate nei confronti dei «fascisti» in due discorsi pubblici nel 1995 che sono state ritenute come incitazioni a commettere reati. Il Tribunale di Padova, infine, tratta di una denuncia presentata da un ex membro della Lega in merito ad affermazioni ritenute offensive e dannose per la sua reputazione espresse in più occasioni dal deputato. La decisione in merito a questa richiesta di immunità è stata presa dai deputati con 200 voti favorevoli, 180 contrari e 24 astensioni.

La richiesta di immunità in merito all'imputazione trattata dalla Pretura circondariale di Milano, viceversa, non è stata accolta dai deputati della commissione giuridica. L'accusa è di aver usato violenza, minacciato e insultato, assieme ad altre persone, funzionari della polizia di Stato che stavano svolgendo una perquisizione nella sede di Milano della Lega predisposta dal Pubblico Ministero di Verona nel settembre 1996. La commissione giuridica, rifacendosi all'articolo 68, secondo paragrafo, della Costituzione italiana ha ritenuto che il deputato non goda dell'immunità parlamentare per quanto riguarda i procedimenti giudiziari in queste circostanze.

Il suddetto articolo recita quanto segue: «Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza».

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Ancora ampie divergenze sulla direttiva per la brevettabilità dei software

 

Michel ROCARD (PSE, FR)

Relazione relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici

Doc.: A6-0207/2005

Procedura: Codecisione, seconda lettura

Dibattito: 5.7.2005

Votazione: 6.7.2005

La Plenaria ha discusso questa mattina sulla controversa direttiva riguardo alla brevettabilità dei software. Il voto avrà luogo domani. Le posizioni dei deputati continuano ad essere divergenti e aumenta quindi la possibilità di un rifiuto della posizione del Consiglio.

La maggior parte del PPE/DE è contro gli emendamenti presentati dal relatore e non nega la possibilità del rifiuto della posizione comune.

Il PSE, invece, è a favore degli emendamenti presentati che non sono stati approvati in commissione parlamentare (emendamenti da 40 a 60).

D'altra parte, i Verdi e la Sinistra Unitaria rifiutano la posizione comune. Non è escluso però che possano votare con i Socialisti a favore degli emendamenti presentati dal relatore.

Gli oratori dei gruppi ALDE e UEN hanno espresso opinioni divergenti. Alcuni sostengono gli emendamenti, altri rifiutano la posizione comune.

Il gruppo IND/DEM ed i non iscritti si sono detti contrari alla posizione comune.

Domani, in primo luogo, sarà votata la reiezione della posizione comune che, tenuto conto delle presenze odierne, dovrà beneficiare di una maggioranza assoluta per poter essere accolta (366 voti su 730). Se ciò non avvenisse, l'Aula procederà alla votazione degli altri emendamenti che, anch'essi, richiedono la stessa maggioranza per essere adottati.

Si ricorda che, per la seconda lettura della procedura di codecisione, non vi è voto finale, ma il regolamento prevede (articolo 61) che, dopo aver votato gli emendamenti, il Parlamento possa considerare, su richiesta del relatore e dopo aver ascoltato la Commissione, un nuovo voto di reiezione della posizione comune.

Interventi dei deputati italiani

Umberto GUIDONI (GUE/NGL, IT) ha dichiarato che, sebbene nella posizione comune si affermi di voler escludere la brevettabilità del software puro, «di fatto si pongono le condizioni per arrivare a brevettare gli algoritmi software». A differenza del copyright che protegge l'intero programma, ha aggiunto, «la brevettabilità del software consentirebbe un monopolio sull'uso delle istruzioni generiche». Con la brevettabilità di questi algoritmi, ha quindi spiegato, «si potrebbero infrangere contemporaneamente centinaia di brevetti» ed ha citato l'esempio di Linux, ormai utilizzato in svariati programmi anche dalle amministrazioni pubbliche, che infrangerebbe 283 brevetti americani. L'introduzione della normativa sulla brevettabilità, ha pertanto sostenuto, potrebbe significare, almeno in Europa, «la fine del software libero e dell'open source».

Se fosse approvata la brevettabilità del software, «fortemente voluta dalle multinazionali USA e dai paesi europei che traggono profitto dal monopolio statunitense», ha inoltre aggiunto, «si avrebbe uno spostamento dei costi dal settore tecnologico e innovativo a quello legale e assicurativo». Tutto ciò contribuirebbe ad escludere le piccole e medie imprese dal processo di sviluppo del software a causa dei costi e delle complessità legali. In definitiva, «ci sarebbe una minore concorrenza e una minore innovazione e i consumatori europei dovrebbero sostenere spese superiori a fronte di una minore possibilità di scelta».

La strategia di Lisbona relativa al modello economico europeo, ha poi aggiunto, unisce innovazioni tecnologiche, competitività e solidarietà. Tuttavia, per il deputato, la posizione del Consiglio va nella direzione opposta e con la direttiva «si attacca il diritto alla libera circolazione della conoscenza e si rimette in discussione l'obiettivo di una società dell'informazione accessibile a tutti». Per questo motivo, ha concluso, «la battaglia contro la brevettabilità del software che conduciamo in questo Parlamento diventa una battaglia per la libertà e la democrazia».

Per Roberta ANGELILLI (UEN, IT) «l'innovazione e la ricerca devono essere un patrimonio condiviso e non un privilegio per pochi». Occorre pertanto ribadire con forza che deve essere impedita la brevettabilità del software in quanto tale al fine di arrivare a una direttiva «che rappresenti una giusta via di mezzo tra una brevettabilità selvaggia, che rischia di paralizzare innovazione e competizione, e la necessità di tutelare adeguatamente chi, con la propria invenzione, può rappresentare davvero un valore aggiunto sul mercato».

Per la deputata, inoltre, i requisiti di brevettabilità devono essere valutati con la massima attenzione, «tenendo conto della novità, dell'originalità e dell'applicabilità industriale». Solo in questo modo, ha spiegato, si potrà evitare un'eccessiva estensione dei diritti di privativa a danno delle piccole e medie imprese e, di conseguenza, il proliferare del contenzioso sui brevetti, «come accade ormai da quindici anni negli Stati Uniti».

In conclusione, ha affermato di considerare «positiva» l'idea di un fondo di sostegno finanziario, tecnico e amministrativo a favore delle PMI che si orientano alla brevettabilità, ed è «indispensabile» mettere a punto un adeguato sistema europeo di brevetti, volto a garantire la parità di accesso per le piccole e medie imprese.

Luca ROMAGNOLI (NI, IT) ha esordito sostenendo che in pochi anni il continuo fiorire di idee nelle tecnologie informatiche «ha permesso di ridurre i divari tecnologici e informatici». Con la brevettabilità del software, invece, «si blocca la libera inventiva - che fino ad oggi è stata possibile anche senza grandi capitali - per difendere un monopolio sull'uso di tecniche generiche, frutto di un assolutismo mercantile e politicamente pericolosissimo». E ciò, per il deputato, rappresenta una grave limitazione alla libertà delle idee e alla loro reinterpretazione, «che serve solo a tenere le imprese e le amministrazioni pubbliche in ostaggio della lobby Microsoft e delle poche multinazionali extraeuropee».

I brevetti, ha proseguito, costituiscono un pericolo per lo sviluppo del software "open source" e un danno per tutte le imprese di informazione e comunicazione italiane ed europee - che sono soprattutto piccole e medie imprese o addirittura microimprese - oltre che un danno economico per la diversificazione dei sistemi informatici delle amministrazioni. Pertanto, ha concluso, in difesa della libertà di ricerca scientifica, del diritto alla trasmissione della cultura e del sapere, nonché della tutela dei diritti fondamentali dell'individuo, «dobbiamo salvare l'Europa dalla brevettabilità del software, contrastando la direttiva europea che intende introdurla e sostenendo gli emendamenti presentati dagli onorevoli Buzek, Rocard e Duff».

Per Giuseppe GARGANI (PPE/DE, IT), il testo approvato dalla commissione parlamentare da lui presieduta, rappresenta «un punto di equilibrio accettabile e adeguato alle scelte culturali e al dibattito che si è svolto finora» e, per tale motivo, ha affermato di difendere questa posizione. Il deputato, ha quindi sostenuto di considerare «utile» una direttiva di armonizzazione in questa materia, avente l'obiettivo di eliminare le ambiguità e le incertezze derivanti dall'adozione di diverse prassi interpretative da parte degli Uffici brevetti degli Stati membri e di definire in modo preciso l'ambito di applicazione della protezione.

Tuttavia, ha aggiunto, occorre tenere presente che l'adozione della direttiva potrà essere uno stimolo al processo di innovazione tecnologica solo se verranno risolti due aspetti fondamentali. In primo luogo, ha spiegato, va eliminata l'ambiguità sul concetto di contributo tecnico, «che vanificherebbe l'efficacia della direttiva come strumento di armonizzazione delle procedure sul rilascio dei brevetti», poi va adottata una disposizione precisa e incisiva sul tema dell'interoperabilità, «che impedisca lo sviluppo di soluzioni standardizzate nel campo dell'ICT».

L'obiettivo dell'armonizzazione, ha aggiunto, non può essere realizzato in contraddizione con i principi sui quali è basato il sistema brevettuale esistente, che negli anni «si è rivelato essere uno strumento adeguato e un incentivo efficace per il mondo dell'industria», sia per le piccole che per le grandi imprese. Basti pensare, ha spiegato, alla sempre più frequente convergenza tra informatica e telecomunicazione, «che rende possibile l'offerta e l'utilizzo da parte delle imprese di pacchetti integrati software e di servizi attuati per mezzo di elaboratori elettronici». Al fine di consentire uno sviluppo adeguato di questi nuovi pacchetti, sarà quindi necessario assicurare la possibilità di cumulare la protezione conferita dal diritto d'autore con quella brevettuale per le invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici, «senza che il software sia brevettabile». 

In questo periodo difficile, ha proseguito, l'Europa deve affrontare la questione della competitività e il brevetto deve aiutare l'economia e i cittadini europei. Se la direttiva non fosse chiara, ha quindi ammonito, «andrebbe a vantaggio delle società non europee e noi verremmo meno alla nostra funzione e al nostro dovere nei confronti della strategia di Lisbona, del nuovo progetto sociale di cui tanto si parla e dello sviluppo». Al Parlamento, ha concluso, spetta ora il compito di perfezionare il testo definendo i punti non chiari. Se ciò non avverrà, la Commissione sarà responsabile di una proposta non settoriale, «quasi impossibile da definire», invece che di una proposta globale complessiva relativa al brevetto nel suo complesso, «in grado di soddisfare le piccole e le grandi imprese».

Vittorio PRODI (ALDE/ADLE, IT), considerando che i brevetti «sono una componente importante del progresso tecnologico», ha sottolineato che «l'inventore possiede il monopolio temporaneo dello sfruttamento dell'invenzione, mentre la società beneficia dell'aumento della conoscenza derivante dalla piena manifestazione - full diclosure - del contenuto del brevetto e quindi della base per un ulteriore progresso».

Il deputato ritiene quindi opportuno analizzare come alcuni brevetti sono presentati, perchè ha l'impressione «di assistere ad una crescente tendenza alla genericità dei brevetti, proprio per mantenere i reclami (claims) quanto più ampi possibile», che «gli uffici legali abbiano preso il sopravvento e che il perdente in questo gioco sia la società nel suo insieme». Ciò vale, in particolare, per i software, in quanto tanti brevetti concessi «non sono altro che una descrizione vaga di un processo logico».

Al riguardo, il deputato ha sottolineato che la protezione del diritto d'autore - il copyright - è sufficiente e, appoggiando gli emendamenti del collega Rocard, ha precisato che a suo parere il periodo di protezione potrebbe essere abbreviato. Tuttavia, se l'inventore mira a una protezione più forte, come quella brevettuale, «non potrà derogare da una manifestazione completa dell'invenzione e dovrà fare di questa la base vincolante per i reclami». Ciò anche per limitare la possibilità dell'incertezza giuridica.

Pertanto, secondo il deputato, il Parlamento deve esercitare «un ruolo più incisivo nel quadro del rafforzamento dell'Unione, anche mediante la definizione di una posizione comune nei riguardi dell'Ufficio brevetti europeo». Concludendo, si è quindi detto favorevole a una riforma che semplifichi le procedure, «anche con l'adozione di una lingua unica, ovvero l'inglese, attraverso regole che permettano anche alle piccole e medie imprese di utilizzare questo strumento basilare».

Vittorio AGNOLETTO (GUE/NGL, IT) ha constatato che, al di là delle dichiarazioni ufficiali, nell'articolo 2, è stata inserita una modifica «per consentire che la tutela brevettuale comprenda anche il software contenuto in uno strumento tecnico». Questo, a suo dire, «rappresenta la porta d'accesso alla brevettabilità del software». Ciò, ha aggiunto, è come se venisse brevettata la scala pentatonica, «per cui, improvvisamente, buona parte della musica blues violerebbe tale brevetto e tutti gli autori dovrebbero pagare royalties a chi lo avesse registrato». In proposito, ha sottolineato che già sono stati richiesti brevetti per idee non nuove, quali il clic del mouse per svolgere un'azione oppure l'operatore di diseguaglianza nel codice sorgente, e per altre «idee banali che oggi vengono utilizzate praticamente in tutti i software in circolazione».

Il deputato considera in seguito le «enormi conseguenze, soprattutto di carattere economico» che avrebbero luogo qualora l'interoperabilità dovesse essere bloccata da brevetti su programmi ed «il consumatore fosse spinto ad acquistare e ad utilizzare sempre e solo prodotti della stessa azienda». A suo parere, invece, «nessuna azienda deve poter costruire un monopolio tramite software brevettati», in quanto una piccola impresa dovrebbe sostenere «spese enormi», sia per non commettere alcuna violazione di brevetto, sia per difendere in tribunale le proprie realizzazioni. La concorrenza, infatti, «non sarebbe quindi più solo una questione di mercato, ma diventerebbe anche una questione legale».

Il deputato ha poi sottolineato come tanti istituti di ricerca universitari e ospedalieri, grazie all'assenza di questa direttiva, possano oggi condurre ricerche risparmiando sul software perché usano programmi ideati da loro stessi, e quindi gratuiti, o software alternativi con costi molto inferiori a Microsoft. Senza i brevetti sul software, ha quindi concluso, «l'Europa potrebbe mantenere bassi i costi, stimolare l'innovazione, migliorare la sicurezza e creare posti di lavoro».

Marco PANNELLA (ALDE/ADLE, IT) ha ricordato che, sin dalla scorsa legislatura, «in qualità di deputati radicali», lui e i suoi colleghi, in particolare Marco Cappato, si erano impegnati su questo tema e, pertanto, ha affermato di avere «ben chiara la posizione del Parlamento che non è stata accettata». Oggi, ha proseguito, si discute nuovamente in una situazione in cui, «dall'estrema destra e dall'estrema sinistra» del Parlamento, vi sono interventi - da lui apprezzati in quanto «liberale» - in difesa del mercato, «minacciato e inquinato dalla giungla dell'esercito burocratico che, al seguito dei grandi gruppi monopolistici e oligopolistici, si vede pronto ad impedire, con il linguaggio del potere burocratico giuridico, l'esercizio della libertà di invenzione e della libertà di mercato».

Se domani saranno votati gli emendamenti dell'onorevole Rocard, ha aggiunto spiegando che si tratta degli stessi da lui presentati insieme ad altri cinquanta colleghi, tra cui Emma Bonino, «avremo una strategia e una possibilità vincente». In caso contrario, ha invece ammonito, la procedura di conciliazione «non dovrà più fare i conti solo con il mancato voto favorevole alla direttiva della Spagna, dell'Austria, del Belgio e dell'Italia, come nel maggio 2004». Il deputato ha quindi concluso dicendosi sicuro che si riuscirà «a far cambiare nella direzione liberale e del diritto le posizioni della Commissione e del Consiglio».

Per Patrizia TOIA (ALDE/ADLE, IT), le piccole e medie imprese ed i giovani, in questo momento, chiedono alle Istituzioni europee «di avere la capacità di disegnare una strategia più aperta e più flessibile su un tema così importante per lo sviluppo non solo dell'economia, ma anche della società». Si tratta, ha aggiunto, «di due mondi importanti per l'Europa e per il suo futuro». Sulle piccole e medie imprese, la deputata ha detto di condividere quanto già affermato da alcuni colleghi, in merito alla richiesta di maggiore flessibilità per evitare un irrigidimento della direttiva sulla brevettabilità, «che potrebbe costituire un ostacolo» per la loro attività, «diventando un'arma anticompetitiva per il loro sviluppo».

Poi, ponendo l'accento sulle aspettative dei giovani, ha sottolineato come raramente si sia vista una tale mobilitazione da parte loro sui lavori del Parlamento. Si tratta, ha spiegato, di giovani, di movimenti, di associazioni, «che usano i software non solo per comunicare e per imparare, ma anche come attività, come lavoro indipendente, per mille usi a metà tra il volontariato e le nuove professioni gestite in maniera indipendente, e che sono tanto importanti anche per lo sviluppo di una società con un'organizzazione economica più aperta e più legata alla capacità dei giovani di organizzarsi».

Oggi, ha quindi affermato, «abbiamo l'occasione - e spero che il Parlamento non la sprechi - di essere davvero vicino a queste istanze dei giovani che ci hanno cercato, che hanno parlato in modo impressionante per la quantità dei movimenti che si sono espressi», e il Parlamento non deve deluderli. Per questo motivo, la deputata ha detto di sostenere gli emendamenti presentati da Rocard, Duff e da altri colleghi, «al fine di dare maggiore certezza e chiarezza alla posizione comune dell'Europa». Infatti, ha spiegato, occorre garantire la coerenza su due punti. In primo luogo, nel sostenere che il software non è brevettabile, «bisognerà fare attenzione a non estendere il campo d'applicazione, poiché in questo modo rischieremmo di cadere in contraddizione». In secondo luogo, è importante garantire la tutela del brevetto «senza che questa costituisca però, una limitazione, una concentrazione di controllo nelle mani di pochi, in quanto questo ostacolerebbe sviluppo e l'innovazione dell'Europa».

 

 

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