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RESOCONTO
16 giugno 2008 Strasburgo
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Sommario ISTITUZIONI ISTITUZIONI IMMIGRAZIONE ENERGIA AMBIENTE TRASPORTI SANITÀ PUBBLICA AFFARI ECONOMICI E MONETARI CULTURA PROTEZIONE CIVILE ISTITUZIONI ORDINE DEL GIORNO 7 - 10 LUGLIO 2008 CODICI DELLE PROCEDURE PARLAMENTARI, ABBREVIAZIONI, GRUPPI POLITICI |
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Aprendo la seduta, il Presidente Pöttering ha sottolineato che l'esito del referendum irlandese sul trattato di Lisbona pone all'UE una delle più difficili sfide della sua storia. Dopo aver rilevato che tale trattato consente all'UE di agire meglio, la rende più democratica e la avvicina i cittadini all'UE, ha chiesto al Vertice UE di intraprendere tutti i passi necessari affinché esso diventi realtà e possa entrare in vigore prima delle elezioni europee del giugno 2009.
Il risultato del referendum irlandese sul trattato di Lisbona «pone all'Unione europea una delle più difficili sfide della sua storia». Il trattato, ha sottolineato il Presidente, rende l'UE più democratica, le consente una maggiore capacità di agire e la dota di maggiore trasparenza, rafforza il Parlamento europeo, attribuisce maggiori responsabilità ai parlamenti nazionali, conferisce ai cittadini un potere di iniziativa nei confronti delle istituzioni UE e garantisce l'autogoverno locale.
Per il Presidente, insomma, il trattato di Lisbona «è la risposta» alle critiche dei cittadini sui deficit dell'UE. Il trattato, ha insistito, «avvicina l'Europa ai suoi cittadini» e la riforma è «di assoluta necessità» affinché l'Unione possa difendere i propri valori e interessi nel XXI secolo. Senza le riforme previste dal trattato di Lisbona, ha aggiunto, «è difficilmente concepibile un ulteriore ampliamento dell'UE».
Il Presidente ha quindi esortato i capi di Stato e di governo, che si riuniranno il 19 e il 20 giugno, a «intraprendere tutti i passi necessari affinché il trattato diventi realtà». Il processo di ratifica «deve quindi continuare senza riserve» e l'Irlanda dovrebbe presentare delle proposte «per uscire assieme da questa fase difficile».
Il Parlamento, ha proseguito, si impegnerà al massimo per far fronte a queste sfide e «ci aspettiamo che la Commissione e tutti i governi facciano lo stesso». L'obiettivo resta quello di far sì che il trattato «entri in vigore prima delle elezioni europee del giugno 2009». |
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In vista del prossimo Consiglio europeo di Bruxelles del 19 e 20 giugno, i deputati hanno dato vita ad un ampio dibattito. Tutti i gruppi hanno accettato e rispettato il risultato del voto irlandese. In molti hanno sottolineato la necessità di continuare con il processo di ratifica e rispettare quegli Stati membri che hanno già ratificato il trattato di Lisbona. Alcuni gruppi minori, tuttavia, hanno richiesto di porre immediatamente fine al processo di ratifica.
Dichiarazione della Presidenza
Janez LENARCIC, Ministro sloveno degli affari europei ha dichiarato che il primo punto all'ordine del giorno per il Consiglio europeo sarà il risultato del referendum irlandese sul trattato di Lisbona. La Presidenza slovena è «delusa» del risultato del referendum, tuttavia «rispetta» la volontà dell'elettorato irlandese. Ciononostante ha avuto contatti con vari Capi di Stato e di governo che si sono detti decisi a portare avanti la ratifica. In linea generale, per il ministro, si può trovare una soluzione ma, prima di tutto, il Consiglio europeo ascolterà il punto di vista del Primo ministro irlandese.
Passando poi alle altre tematiche che saranno in discussione durante il Vertice, ha sottolineato i prezzi alle stelle degli alimenti e del petrolio, indicando alcune misure che potrebbero essere prese - a corto e medio termine - per mitigare il problema. Queste spaziano da misure nell'ambito della politica agricola allo sviluppo sostenibile dei biocarburanti. Ma anche i Balcani occidentali, l'attuazione degli obiettivi di sviluppo del millennio, i cambiamenti climatici, il pacchetto energetico e la politica europea di vicinato. In conclusione, si è congratulato con la Slovacchia che entrerà nella zona euro il 1° gennaio 2009.
Dichiarazione della Commissione
José Manuel BARROSO, ha a suo turno riconosciuto che, mentre il Consiglio europeo discuterà vari temi, «nella testa di tutti ci sarà il no dell'Irlanda». Anche per il Presidente della Commissione il voto è stato «una delusione» per tutti quelli in favore di un'Unione europea più forte, più efficiente e responsabile. Ha quindi sottolineato che «il no non ha risolto i problemi che il trattato cerca di risolvere». Nel pieno rispetto del risultato del referendum irlandese, ha sottolineato che «dobbiamo dimostrare lo stesso rispetto per tutte le ratifiche nazionali». Fino ad ora si è proceduto a 19 decisioni democratiche e, di queste, 18 erano in favore del trattato di Lisbona ed una contraria ed ancora 8 Stati membri devono presentare la loro posizione.
Il Presidente ha poi rivolto un accorato appello: «non c'è dubbio che i governi abbiano una responsabilità particolare». «Per anni le istituzioni europee sono state considerate il capro espiatorio e sono diventate un terreno fertile per campagne populiste», ha proseguito, «alla fine sono solo serviti per agevolare la vita agli euroscettici». Non si può colpire violentemente Bruxelles dal lunedì al sabato e aspettarsi poi che i cittadini votino a favore dell'Europa la domenica», ha esclamato.
Per quanto riguarda gli altri temi all'ordine del giorno, ha citato l'aumento dei prezzi alimentari e del petrolio e descritto le misure sostenute dalla Commissione per farvi fronte anche se, nell'immediato, esse costituiscono sono un parte della risposta. Più in generale, «la pressione cui devono far fronte oggi gli europei dimostra come gli obiettivi dell'Unione europea nel campo della sicurezza e dell'efficacia energetica nonché dei cambiamenti climatici siano così cruciali». Infine, «la risposta strutturale a sfide strutturali che stiamo fronteggiando consiste nel risparmio e nella diversificazione». Alla luce di ciò, «l'adozione del pacchetto sui cambiamenti climatici e sulla sicurezza energetica costituisce la nostra priorità».
In conclusione ha ricordato che il compito principale del Consiglio europeo di questa settimana sarà di «dimostrare che contrattempi come il no non significano la paralisi dell'Europa», in quanto «un'Unione europea più efficace è più forte che mai».
Interventi in nome dei gruppi politici
Joseph DAUL (PPE/DE, FR) ha sottolineato che il suo gruppo rispetta la decisione degli irlandesi nella stessa misura in cui rispetta i 18 Stati membri che hanno ratificato il trattato di Lisbona. Ha poi ricordato che l'Unione europea è fondata sulla libertà di espressione e sulla democrazia e che il risultato negativo di uno Stato membro non può vietare ad un altro di esprimersi. Spetta ora al Consiglio europeo, ha proseguito, analizzare il messaggio del popolo irlandese che si preoccupa del commercio, dell'agricoltura e della politica fiscale europei.
Le giovani generazioni non si riconoscono più nell'obiettivo dell'Unione europea di garantire la pace in Europa. Il Parlamento europeo - che spesso approva testi molto elaborati - deve prendersi le proprie responsabilità. Si è quindi augurato che il Consiglio europeo sappia farsi carico delle preoccupazioni dei cittadini sul prezzo dei prodotto alimentari e dei petrolio. A suo parere il trattato di Lisbona rende possibile il progresso e permette all'Unione europea di funzionare meglio e fa sì che la sua voce sia sentita in tutto il mondo». Ha quindi concluso ricordando che il periodo di introspezione dovrebbe concludersi velocemente.
«L'Europa ha dedicato otto anni alla ratifica di vari trattati» ha rilevato Martin SCHULZ (PSE, DE) , ma non è ancora in grado di mettere ordine in casa propria nonostante sia quello che richiede ai futuri Stati membri. Si è poi chiesto chi sia ad aver fatto delle istituzioni i capri espiatori, suggerendo che il Consiglio dei ministri potrebbe essere meno libero di dare la colpa dei disastri a Bruxelles se i suoi dibattiti non si tenessero a porte chiuse. Il «no» irlandese, in contrasto con la richiesta dei partiti politici irlandesi di votare «sì», indica una crisi di fiducia nelle istituzioni nazionali e sovranazionali - ha proseguito - e «il processo di integrazione è in attesa».
La visita in Irlanda del commissario per il mercato interno McCreevy, - in occasione della quale egli ha ammesso di non aver letto il trattato di Lisbona, facendo capire che ciò non era necessario - non ha di certo aiutato. Bisognerebbe togliere il portafoglio a McCreevy, ha dichiarato, poiché si è impegnato in una «strada a senso unico» verso una «deregolamentazione ad ogni costo senza affiancare misure sociali». Per il leader socialdemocratico «dobbiamo trovare il modo per uscire dall'impasse e riportare a bordo gli irlandesi», e ha rilevato che, se in passato era il movimento pro-europeo ad avere un'anima, ora sono gli antieuropei ad averla. Si è quindi domandato: «dove è finita la passione?». «La gente non ne può più dell'Europa perchè è ängst [ndr. angoscia esistenziale]», ma «l'Europa è un grande tributo alla pace nel mondo e lotta per la tolleranza» e, concludendo, ha invitato non seguire questo esempio.
Per Graham WATSON (ALDE/ADLE, UK) il Primo ministro irlandese, arrivando a Bruxelles giovedì, si dovrebbe chiedere «dove abbiamo sbagliato?». Rilevando poi che il «no» irlandese arriva alla vigilia della Presidenza francese, lasciando l'Unione europea con il trattato di Nizza ha dichiarato che «siamo partiti da Nizza e ci torniamo». Affermando che «una maggioranza di Stati membri sostiene l'Unione europea» ha però osservato che la fiducia nelle istituzioni sta scemando.
L'Europa non può essere creata «con o senza di voi - non potete dissolvere la gente», ha proseguito, sottolineando che «in uno scenario pieno di bugie, la gente non è convinta e abbiamo fatto poco per convincerli». Ogni governo nazionale deve pianificare un dialogo, è compito dei partiti politici in ogni Stato membro porvi rimedio, nonostante «la ricchezza, a differenza del passato, oggigiorno viene ammessa in modo meno onesto ed è condivisa in maniera meno giusta». La posta dei deputati europei è piena di complicazioni transfrontaliere, ha sottolineato, come ad esempio i diritti di proprietà o la protezione dei dati, quindi «sappiamo di aver bisogno di Lisbona, sebbene ciò non sia ovvio per i cittadini». Ha poi incoraggiato l'Unione europea a «proseguire i lavori», se necessario utilizzando il trattato di Nizza per far fronte ai problemi reali.
Per Monica FRASSONI (Verdi/ALE, IT) «quello di cui l'Unione europea ha bisogno è di una Costituzione breve, con una carta dei diritti vincolanti, procedure decisionali democratiche, trasparenti, competenze limitate ma reali, risorse economiche conseguenti». Una Costituzione elaborata da questo Parlamento o da un'Assemblea costituente, da difendere con forza e convinzione, «senza ipocrisie», da ratificare per via parlamentare o da un referendum europeo. Dopo aver ribadito di rispettare molto l«a volontà degli irlandesi», ha però dichiarato: «nessuno mi convincerà mai che un referendum, al quale ha partecipato la metà degli elettori, sia più democratico di una ratifica parlamentare». Se la maggioranza dei popoli e degli Stati votano "sì", ha proseguito, si va avanti, e coloro che votano "no" «possono allegramente restare fuori e negoziare, come già diceva il trattato Spinelli nell'84, "un sistema di rapporti nuovi e meno stretti"».
«Cosa è successo in questi anni?» si è poi chiesta. Gli Stati membri e la Commissione, a suo parere, «hanno scelto la via di un trattato complicato, contraddittorio, difficile da vendere, negoziato nell'ultima fase in segreto, in fretta, e reso ancora meno leggibile da eccezioni e protocolli, e hanno confermato l'obbligo di ratifica all'unanimità, in perfetta linea con il complesso spagnolo del cane e dell'ortolano, che non mangia né lascia mangiare». «Come se non bastasse», ha poi aggiunto, «l'Unione europea continua ad approvare politiche sbagliate, deboli, come la direttiva Jackson (sui rifiuti, ndr) ieri, oggi la Weber (sul rimpatrio degli immigrati illegali, ndr), incapaci di dare una prospettiva positiva e di speranza, dove ogni cosa, dai diritti dei lavoratori a quelli dell'ambiente, a quelli dei migranti, trovano spazi sempre più ristretti, dove le lobby industriali hanno più voce dei cittadini, dove l'interesse europeo è introvabile, seppellito dagli urletti di questo o di quel governo, dove il diritto di scelta e le liberte individuali o l'arrivo di nuovi europei viene vissuto come un'insopportabile attacco all'identità di popoli che, come quello italiano e quello irlandese, hanno migranti sparsi in ogni parte del mondo».
«È possibile e forse anche auspicabile che i paesi che devono ancora ratificare lo faranno», ha sottolineato, «e che il governo irlandese ci farà qualche proposta brillante». Ma la soluzione diplomatica, a suo parere, «non basta». Infatti, oggi occorre più che mai «affermare alto e chiaro che l'Europa dei governi, dell'opacità e della non chiarezza è quella che ha perso: quella che ha rifiutato la Costituzione e che continua a fare politiche sbagliate, di conservazione, di chiusura nazionalista, di egoismo; quella che ha ucciso lo spirito della Convenzione europea del 2003 per arrivare a un accordo su un testo positivo ma minimo e senz'anima».
Tutto questo, ha poi affermato, non rende però meno necessaria un'Europa unita «più democratica e più capace di agire». Ciò di cui oggi c'è bisogno, ha concluso, è «un'iniziativa che parta dalle forze politiche e da quegli Stati membri convinti della necessità di un'Europa più efficiente, più democratica, più coesa, dal momento che non è più necessario, non è più possibile, continuare con il trattato di Nizza. Un'iniziativa dove non ci sia spazio per coloro che non vogliono andare avanti».
Per Brian CROWLEY (UEN, IE) il "no" rappresenta una «profonda trasformazione del giudizio di alcuni elettori dell'Unione europea» per il trattato e, vista la diversità delle persone che si sono opposte al trattato, abbiamo bisogno di più tempo per analizzarne i motivi.
Ha inoltre ricordato che «questo è tempo per il rispetto, rispetto non solo per gli elettori irlandesi che hanno dato il loro parere democratico su questo trattato, ma anche rispetto per gli altri paesi ed i loro diritti individuali su come agire e come ratificare un trattato», ha concluso.
Secondo Francis WURTZ (GUE/NGL, FR), «il Consiglio europeo è stato ammonito dall'evitare qualsiasi arroganza nei confronti degli irlandesi» ed ha osservato che il trattato di Lisbona, presentato in forma «incomprensibile», è l'esempio della «sindrome della torre di avorio presente nell'Unione europea che sta creando tante preoccupazioni fra i nostri cittadini». Il "no" al referendum, ha aggiunto, è stato dato al «ruolo che gioca l'Europa a livello mondiale» e ha concluso auspicando che ora «avremo dei politici imparziali in Europa».
«Ben fatto irlandesi!», ha esclamato Nigel FARAGE (IND/DEM, UK), sottolineando come sia «perfettamente chiaro che le ratifiche dovrebbero finire adesso e l'attuazione del trattato dovrebbe finire adesso». Ha quindi aggiunto che la decisione di proseguire con la ratifica del trattato è «nazionalismo europeo ed è il più pericoloso fenomeno che ha travolto l'Europa dal 1945» e ha ribadito all'Aula che «sta demolendo l'Unione europea agli occhi degli elettori».
Replica della Commissione
José Manuel BARROSO si è rallegrato per il consenso del Parlamento europeo di procedere nel processo di ratifica che permetterà di «dialogare con gli irlandesi in un'atmosfera di solidarietà». A suo parere, l'unico modo per dare legittimità è di «presentare concreti risultati ai cittadini». Infine, ha chiesto di «non individuare facili capri espiatori, attaccare il commissario irlandese non è la via migliore per un dialogo costruttivo. Saremo in grado di risolvere il problema se ci concentriamo sulle aspettative dei cittadini», ha concluso.
Interventi dei deputati italiani
Mario BORGHEZIO (UEN, IT) ha esordito chiedendo: «se il referendum irlandese non ha alcuna importanza e conseguenza perché lo si è fatto? Perché si è voluto dare questa possibilità plebiscitaria come abbiamo sentito dire?». Ha quindi giudicato «grave» quando in un Parlamento «si nega la possibilità e l'importanza ai popoli di esprimere in piena libertà come hanno fatto gli irlandesi». Questo voto, ha aggiunto, «è semplicemente una bella pietra tombale, con tanto di croce celtica sopra, sulla prospettiva del Superstato europeo che non piace ai nostri popoli. Non piace la svendita della sovranità politica e anche monetaria».
Si tratta, ha proseguito, di «una prospettiva che apre alle migliori speranze per noi che crediamo fortemente, come il popolo irlandese, nell'Europa dei popoli e delle regioni». Per questo «anche noi in Padania chiediamo il referendum, anche se ormai evidentemente sul piano giuridico il trattato è disconosciuto». Si è fermato «a questa procedura incredibile di far procedere l'approvazione di un trattato che riguarda il futuro dei nostri popoli a colpi di voto parlamentare, escludendo i popoli e i cittadini». Per fortuna, ha aggiunto, «c'è un popolo libero che ha nel DNA il senso della propria libertà, forse è perché se l'è conquistata combattendo che ha questa forza». Ha quindi concluso affermando: «è ora di dire il significato vero di questo voto che è un basta agli eurocrati di Bruxelles che vogliono costruire un Superstato lontano dall'interesse e dall'anima dei cittadini. Noi padani ci sentiamo oggi tutti irlandesi».
Stefano ZAPPALÀ (PPE/DE, IT) ha osservato innanzitutto che il Consiglio europeo «ha una serie di argomenti all'ordine del giorno e non soltanto il risultato del referendum in Irlanda». Ha tuttavia convenuto che questo argomento, che ha occupato quasi tutto il dibattito, «è un fatto rilevante». Ha inoltre osservato che sono state dette e analizzate varie motivazioni per le quali i cittadini irlandesi hanno dato questa risposta, «per la verità con un piccolo scarto rispetto ai sì». A suo parere, occorre affrontare «in maniera concreta» i motivi della risposta irlandese e le modalità per procedere. Ha quindi osservato: «i cittadini europei non hanno informazioni. È colpa un po' di tutti, è colpa un po' nostra, colpa dei governi». Inoltre si è detto d'accordo con chi ha rilevato che, in generale, «quando ci sono effetti positivi i meriti sono dei governi, quando ci sono effetti negativi o effetti criticabili la colpa è sempre dell'Europa». «Nessuno impone a nessuno di restare per forza in Europa», ha osservato, e occorre rispettare il risultato del referendum man allo stesso tempo, bisogna rispettare anche la volontà di altri 26 Stati membri. «L'Europa deve andare avanti, l'Europa non si può fermare», ha concluso e il Consiglio europeo «deve decidere in maniera netta una nuova strategia».
Riferimenti Dichiarazioni del Consiglio e della Commissione - Preparazione del Consiglio europeo dopo il referendum irlandese (19 e 20 giugno 2008) Dibattito: 18.6.2008 Votazione: 19.6.2008 |
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A seguito delle audizioni dinnanzi alle commissioni competenti, il Parlamento ha approvato la nomina di Antonio Tajani quale Vicepresidente della Commissione europea responsabile dei trasporti. I deputati hanno anche sottoscritto il cambio di portafogli per Jacques Barrot che sarà ora incaricato di Giustizia, libertà e sicurezza. Queste nomine si sono rese necessarie dopo le dimissioni di Franco Frattini.
Con 507 voti favorevoli, 53 contrari e 64 astensioni, il Parlamento ha approvato la nomina di Antonio Tajani quale Vicepresidente della Commissione europea responsabile dei dei trasporti.
Con 489 voti favorevoli, 52 contrari e 19 astensioni, inoltre, ha approvato il cambio di portafoglio per Jacques Barrot.
Antefatti
A seguito della sua nomina a ministro degli Esteri del governo italiano, Franco Frattini ha rassegnato le dimissioni da vicepresidente della Commissione europea responsabile per giustizia, libertà e sicurezza. Il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, ha deciso di assegnare il suo portafoglio al vicepresidente Barrot, precedentemente responsabile dei trasporti.
Il governo italiano ha poi notificato l'intenzione di designare come nuovo commissario Antonio Tajani e il Presidente della Commissione ha manifestato il desiderio di assegnare a quest'ultimo il portafoglio dei "trasporti". Il Consiglio dell'Unione europea ha deciso con procedura scritta di nominare Antonio Tajani membro della Commissione europea a decorrere dal 9 maggio 2008 fino al 31 ottobre 2009, allo scadere del mandato dell'attuale Commissione. Più tardi è stata anche formalizzata la sua funzione di Vicepresidente della Commissione europea.
Lunedì 16 giugno, a Strasburgo, in veste di responsabile per giustizia, libertà e sicurezza, il vicepresidente Barrot è stato invitato a un'audizione dinnanzi alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni e alla commissione giuridica. Era anche presente una delegazione della commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere. In veste di responsabile per i trasporti, il commissario designato Tajani è stato invitato a un'audizione dinnanzi alla commissione per i trasporti e il turismo, in presenza di una delegazione della commissione per i bilanci. I resoconti delle audizioni sono consultabili tramite i link in calce.
Scopo delle audizioni
Il principale obiettivo delle audizioni è quello di offrire alle commissioni parlamentari la possibilità di valutare le competenze dei commissari designati e di farsi un'idea della loro personalità e delle loro opinioni. Le audizioni contribuiranno ad instaurare, fin dal principio, relazioni di lavoro tra le commissioni parlamentari e i commissari e costituiranno un primo criterio di riferimento per la valutazione delle loro successive attività.
Norme sull'approvazione della Commissione e dei commissari
Ai sensi degli articoli 214 e 215 del trattato che istituisce la Comunità europea, i membri della Commissione sono soggetti, collettivamente, a un voto di approvazione da parte del Parlamento europeo all'inizio del loro mandato. Un membro dimissionario è sostituito per la restante durata del suo mandato da un nuovo membro, nominato dal Consiglio che delibera a maggioranza qualificata. In base all'articolo 218, il presidente della Commissione europea può modificare la ripartizione delle competenze nel corso del mandato della Commissione.
Qualora si renda necessario procedere alla sostituzione di un membro della Commissione nel corso del suo mandato, a norma dell'accordo quadro sui rapporti tra il Parlamento europeo e la Commissione, il Presidente della Commissione prende immediatamente contatto con il Presidente del Parlamento, al fine di ottenere il suo accordo circa il modo in presentare il futuro membro della Commissione al Parlamento, nei tempi più brevi e nel pieno rispetto delle prerogative delle istituzioni.
Ai sensi dell'accordo quadro, il Presidente della Commissione deve inoltre notificare immediatamente al Parlamento europeo ogni decisione relativa all'attribuzione di competenze a un membro della Commissione. In caso di modifiche sostanziali delle competenze di un membro della Commissione, questi si presenta davanti alla commissione parlamentare competente, su richiesta del Parlamento.
Audizione (16.6.2009)
Per il commissario designato, «senza una politica dei trasporti forte non esiste un'Europa unita». Il rifiuto irlandese al trattato di Lisbona e le manifestazioni in tutta Europa contro l'aumento del prezzo del petrolio sono la dimostrazione che abbiamo bisogno di un'Europa «capace di rispondere ai bisogni immediati dei cittadini». Ha quindi aggiunto che i trasporti sono chiaramente un'area in cui vi è la necessità di «più Europa», in quanto la moderna infrastruttura dei trasporti e servizi a basso costo «sono un motore per lo sviluppo economico e sociale, per la crescita e per l'occupazione» (il resoconto dell'audizione è consultabile dal link in calce).
Link utili
Resoconto dell'audizione di
Antonio Tajani
Riferimenti Approvazione della nomina di Antonio Tajani a membro della Commissione europea & Approvazione della nuova attribuzione di competenze a Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione europea Procedura: Decisione Votazione: 18.6.2008 |
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Rinnovo della delegazione italiana al Parlamento europeo
E' stata ufficializzata oggi la nomina dei subentranti di altri due eurodeputati italiani che, eletti lo scorso aprile alla Camera e al Senato, hanno rinunciato al seggio europeo. Queste cariche sono infatti incompatibili con il mandato di deputato europeo. Inoltre un eurodeputato appena subentrato ha rassegnato le dimissioni ed è stato sostituito.
Sui 19 eurodeputati italiani che si sono candidati alle elezioni politiche e amministrative del 13 e 14 aprile scorsi, ben 13 sono stati eletti alla Camera o al Senato, oppure hanno ottenuto un mandato a livello locale (comunale, provinciale o regionale).
Sono stati ufficializzati oggi i nomi di altri due sostituti degli eurodeputati che hanno rassegnato le dimissioni per tornare in Patria:
E' anche stata comunicata la sostituzione di Giuseppe BOVA (PSE, IT), appena subentrato a Alfonso Andria, con Maria Grazia PAGANO.
Il loro mandato prende effetto a partire dal 17 giugno 2008.
Nel corso delle precedenti sessioni erano stati annunciati i seguenti avvicendamenti:
Cristiana MUSCARDINI (UEN, IT), eletta alla Camera, ha rinunciato al seggio nazionale per portare a termine il suo mandato europeo fino alla naturale scadenza della legislatura (giugno 2009).
Ancora nessuna comunicazione ufficiale è giunta in merito ai sostituti dei seguenti eurodeputati eletti lo scorso aprile:
Le incompatibilità “europee”
La carica di membro del Parlamento europeo è incompatibile con molte altre funzioni a livello comunitario:
Le incompatibilità “nazionali”
A livello nazionale, il mandato europeo è incompatibile con l'ufficio di deputato e di senatore, con la carica di componente del governo di uno Stato membro e con l'incarico di Presidente di Regione o assessore regionale. Una legge del 2004 ha introdotto le ulteriori incompatibilità con le cariche di consigliere regionale, presidente di provincia e sindaco di comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti. Riguardo al mandato di sindaco e di presidente di provincia, tuttavia, la legge italiana prevede una norma transitoria che consente agli eletti al Parlamento europeo nel 2004 di continuare a ricoprire le loro cariche nei rispettivi enti locali fino alla conclusione del mandato nazionale.
Gli eurodeputati che hanno già optato per un mandato nazionale
Dall'inizio della legislatura, nel luglio 2004, sono stati 18 gli eurodeputati che hanno rinunciato al mandato europeo per assumere un incarico a livello nazionale o locale (un seggio, per la verità, è tuttora oggetto di una disputa):
1. Ottaviano DEL TURCO - PSE, 01.05.2005 2. Antonio DE POLI - PPE, 15.05.2005 3. Mercedes BRESSO - PSE, 24.05.2005 4. Michele SANTORO - PSE, 13.11.2005 5. Pier Luigi BERSANI - PSE, 27.04.2006 6. Fausto BERTINOTTI - GUE/NGL, 27.04.2006 7. Emma BONINO - ALDE, 27.04.2006 8. Lorenzo CESA - PPE, 27.04.2006 9. Paolo CIRINO POMICINO - PPE, 27.04.2006 10. Massimo D'ALEMA - PSE, 27.04.2006 11. Armando DIONISI - PPE, 27.04.2006 12. Antonio DI PIETRO - ALDE, 27.04.2006 13. Enrico LETTA - ALDE, 27.04.2006 14. Giovanni PROCACCI - ALDE, 27.04.2006 15. Corrado GABRIELE - GUE/NGL, 18.06.2006 16. Matteo SALVINI - NI, 07.11.2006 17. Marta VINCENZI - PSE, 29.06.2007 18. Achille OCCHETTO - PSE (seggio contestato con Beniamino DONNICI)
Link utili
Deputati italiani al Parlamento europeo |
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Il Parlamento ha approvato un compromesso con il Consiglio sulla direttiva che costituisce una prima tappa verso una politica europea dell'immigrazione. Promuovendo il ritorno volontario degli immigrati illegali, stabilisce norme minime sulla durata e sulle condizioni di detenzione temporanea e sul divieto di reingresso nonché una serie di garanzie giuridiche. Gli Stati membri restano liberi di applicare misure più favorevoli. L'esito del voto consente l'adozione definitiva della direttiva.
Approvando con 369 voti favorevoli, 197 contrari e 106 astensioni la relazione di Manfred WEBER (PPE/DE, DE) che accoglie il compromesso negoziato con il Consiglio, il Parlamento ha adottato definitivamente la direttiva che stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare, nel rispetto dei diritti fondamentali e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e di diritti umani. Con 114 voti favorevoli, 538 contrari e 11 astensioni, il Parlamento non ha accolto la proposta di Verdi e GUE/NGL di respingere in toto la proposta di direttiva. Ha inoltre respinto gli emendamenti di questi gruppi e del PSE, volti a rendere il testo più favorevole alle persone interessate da una decisione di rimpatrio.
La direttiva incoraggia il ritorno «volontario», stabilisce la durata massima di detenzione e definisce degli standard minimi da garantire per le condizioni di vita nei centri di accoglienza. Il testo prevede inoltre talune garanzie e la possibilità di ricorso a favore delle persone espulse. Queste, inoltre, potrebbero vedersi imporre un periodo di "divieto di reingresso" durante il quale non potranno accedere nuovamente nel territorio dell'UE. La direttiva impone agli Stati membri il divieto di introdurre norme meno favorevoli, lasciandoli liberi tuttavia di applicarne di più favorevoli e affida loro la responsabilità di regolarizzare o meno gli immigrati illegali. Sottolinea peraltro la necessità di accordi comunitari e bilaterali di riammissione con i paesi terzi. Gli Stati membri dovranno attuare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro 24 mesi dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Campo d'applicazione
La direttiva si applica ai cittadini di paesi terzi in posizione irregolare nel territorio di uno Stato membro, il quale può però decidere di escluderne i cittadini di paesi terzi sottoposti a respingimento alla frontiera, ovvero fermati o scoperti dalle competenti autorità in relazione all'attraversamento irregolare della frontiera esterna di uno Stato membro, e che non hanno successivamente ottenuto un'autorizzazione o un diritto di soggiorno. Come pure a quelli sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità con la legislazione nazionale, o sottoposti a procedure di estradizione. Non si applica, comunque, alle persone beneficiarie del diritto comunitario alla libera circolazione. Il testo precisa d'altra parte che, in conformità dei principi generali del diritto comunitario, le decisioni adottate in base alla direttiva «dovrebbero essere applicate caso per caso e tenendo conto di criteri obiettivi, non limitandosi quindi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare».
Disposizioni più favorevoli e principio di "non refoulement"
La direttiva, inoltre, lascia impregiudicate le disposizioni più favorevoli vigenti in forza di accordi bilaterali o multilaterali tra la Comunità, o la Comunità e i suoi Stati membri, e uno o più paesi terzi, nonché di accordi bilaterali o multilaterali tra uno o più Stati membri e uno o più paesi terzi. Non inficia, poi, le disposizioni più favorevoli ai cittadini di paesi terzi previste dall'acquis comunitario in materia di immigrazione e di asilo, né la facoltà degli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni nazionali più favorevoli, purché siano «compatibili con le norme» stabilite dalla direttiva. Quando applicano la direttiva, è anche precisato, gli Stati membri devono tenere nella dovuta considerazione l'interesse superiore del minore, la vita familiare, le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato, e devono rispettare il principio di "non-refoulement".
Partenza volontaria
In base al compromesso, una decisione di rimpatrio deve anzitutto fissare «un periodo congruo» per la partenza volontaria che abbia una durata compresa tra sette giorni e trenta giorni e, se la legislazione nazionale prevede che tale periodo sia concesso unicamente su richiesta, devono informare gli interessati di questa possibilità. Il periodo previsto, comunque, non esclude la possibilità di partire prima. E' inoltre possibile prorogare tale periodo per tenere conto delle circostanze specifiche del singolo caso, quali «la durata del soggiorno, l'esistenza di figli che frequentano la scuola e l'esistenza di altri legami familiari e sociali».
Per la durata del periodo in questione, possono essere imposti obblighi diretti a evitare il rischio di fuga, come l'obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria adeguata, la consegna dei documenti o l’obbligo di dimorare in un determinato luogo. D'altro canto, se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l'interessato costituisce un pericolo per la sicurezza pubblica, l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale, gli Stati membri «possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni».
Decisione di rimpatrio e allontanamento
Gli Stati membri dovranno adottare tutte le misure necessarie per eseguire una decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro il periodo per la partenza volontaria. La direttiva precisa che se gli Stati membri ricorrono - «in ultima istanza» - a misure coercitive per allontanare un cittadino di un paese terzo che oppone resistenza, tali misure dovranno essere «proporzionate», non potranno eccedere «un uso ragionevole della forza» e dovranno essere attuate, conformemente a quanto previsto dalla legislazione nazionale, «in ottemperanza ai diritti fondamentali e nel debito rispetto della dignità e dell'integrità fisica del cittadino».
L'allontanamento, d'altra parte, può essere rinviato per tenere conto delle condizioni fisiche o mentali della persona e delle ragioni tecniche, come l'assenza di mezzi di trasporto o l'assenza di identificazione. Inoltre, prima di adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di un minore non accompagnato, dovrà essere fornita un'assistenza da parte di organismi appropriati tenendo nel debito conto l'interesse superiore del minore. E prima di allontanarlo dal loro territorio, le autorità dello Stato membro dovranno accertarsi che questi «sarà ricondotto ad un membro della sua famiglia, a un tutore designato o presso adeguate strutture di accoglienza nello Stato di ritorno».
Divieto di reingresso per un massimo di cinque anni
La direttiva prevede che provvedimenti di allontanamento comportino un divieto di reingresso per una durata che non può superare cinque anni se non è stato concesso il periodo di ritorno volontario o se l'obbligo di rimpatrio non è stato rispettato. D'altra parte, è prevista la possibilità di prolungare oltre i cinque anni tale divieto se il cittadino in questione «rappresenta una grave minaccia per l'ordine pubblico, per la sicurezza pubblica o per la sicurezza nazionale». Gli Stati membri possono però astenersi dall'imporre un divieto di ingresso, revocarlo o sospenderlo in singoli casi, per motivi umanitari o per altri motivi.
Garanzie procedurali e mezzi di ricorso
La decisione di rimpatrio e - se prese - la decisione di divieto di ingresso e la decisione di allontanamento dovranno essere adottate in forma scritta, dovranno essere motivate e informare sulle modalità di impugnazione disponibili. Se richiesto, gli Stati membri sono anche tenuti a tradurre (per iscritto o oralmente) i principali elementi delle decisioni «in una lingua comprensibile per il cittadino» interessato. A determinate condizioni, sarebbe possibile non procedere di sorta nel caso di persone entrate illegalmente nel territorio di uno Stato membro e che non hanno successivamente ottenuto un'autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato.
Alla persona interessata, dovranno essere concessi «mezzi di ricorso effettivo» contro le decisioni connesse al rimpatrio, o per chiederne la revisione dinanzi ad un'autorità giudiziaria o amministrativa competente e indipendente che avrebbero la facoltà di rivedere decisioni, «compresa la possibilità di sospenderne temporaneamente l'esecuzione, a meno che la sospensione temporanea sia già applicabile ai sensi del diritto interno». Il cittadino deve inoltre avere la facoltà di farsi consigliare e rappresentare da un legale e può, se necessario, avvalersi di un’assistenza linguistica. Se non dispone di risorse sufficienti, gli Stati membri, su sua richiesta, devo garantire un'assistenza legale gratuita in base alla pertinente normativa nazionale in materia e alle condizioni fissate dalla direttiva europea sulle procedure in materia di asilo.
Prima del rimpatrio, gli Stati membri devono come regola generale provvedere affinché si tenga conto il più possibile di alcuni principi, quali il mantenimento dell'unità del nucleo familiare per quanto riguarda i membri della famiglia presenti nel territorio, le prestazioni di pronto soccorso e il trattamento essenziale delle malattie, la garanzia di accesso al sistema educativo di base per i minori, «tenuto conto della durata del soggiorno», e la presa in considerazione delle esigenze particolari delle persone vulnerabili.
Permanenza per massimo sei mesi, prolungabile di altri dodici
Salvo se nel caso concreto possano essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, la direttiva consente agli Stati membri di trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio «soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l'allontanamento». In particolare quando sussiste un rischio di fuga o il cittadino del paese terzo evita o ostacola la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento. La direttiva prevede che il trattenimento avvenga di norma in appositi centri di permanenza temporanea ma, qualora ciò non sia possibile e non resta che ricorrere a un istituto penitenziario, «i cittadini di paesi terzi trattenuti sono tenuti separati dai detenuti ordinari».
Tale trattenimento, disposto dalle autorità amministrative o giudiziarie, deve avere una durata «quanto più breve possibile ... solo per il tempo necessario all'espletamento diligente delle modalità di rimpatrio». Spetta a ciascuno Stato membro stabilire un periodo limitato di trattenimento che, comunque, «non può superare i sei mesi». Il periodo fissato dalla legislazione nazionale, tuttavia, può essere prolungato per un periodo limitato «non superiore ad altri dodici mesi» nei casi in cui, nonostante siano stati compiuti tutti gli sforzi che è lecito aspettarsi, l'operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo «a causa della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo o dei ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi».
Anche per la decisione di trattenimento vi deve essere la possibilità di presentare ricorso e, in ogni caso, questa deve essere soggetta a riesame periodico. Il cittadino del paese terzo deve essere liberato immediatamente se non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi e «se il trattenimento non è legittimo».
Condizioni di vita nei centri di permanenza temporanea
I cittadini trattenuti in un centro, su richiesta, devono avere la possibilità di entrare, a tempo debito, in contatto con rappresentanti legali, familiari e autorità consolari competenti. Inoltre, le pertinenti e competenti organizzazioni ed organismi nazionali, internazionali e non governativi devono avere la possibilità di accedere ai centri di permanenza temporanea, previa autorizzazione. Particolare attenzione deve essere prestata alla situazione delle persone vulnerabili e vanno assicurati le prestazioni di pronto soccorso e il trattamento essenziale delle malattie. I minori non accompagnati e le famiglie con minori devono essere trattenuti «solo in mancanza di altra soluzione e per un periodo il più possibile breve in funzione delle circostanze». Le famiglie trattenute devono poter usufruire di una sistemazione separata che assicuri loro «un adeguato rispetto della vita privata». Ai minori, inoltre, deve essere offerta la possibilità «di svolgere attività di tempo libero, compresi il gioco e le attività ricreative, consone alla loro età e, in funzione della durata della permanenza, l'accesso all'istruzione». A quelli non accompagnati, poi, deve essere fornita, per quanto possibile, una sistemazione in istituti dotati di personale e strutture «consoni a soddisfare le esigenze di persone della loro età». In generale, il prevalente interesse del minore «costituisce un criterio fondamentale per il trattenimento dei minori in attesa di allontanamento». L'Aula ha respinto un emendamento del PSE (404 no, 256 sì e 14 astensioni) che intendeva rafforzare ulteriormente le garanzie da assicurare ai minori per il rimpatrio.
Deroghe per le situazioni di emergenza
Come richiesto dal Consiglio, nei casi in cui un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi da rimpatriare comporta un notevole aggravio imprevisto per la capacità dei centri di permanenza temporanea di uno Stato membro o per il suo personale amministrativo o giudiziario, la direttiva consente, sino a quando persiste la situazione anomala, di accordare per il riesame giudiziario periodi di tempo superiori e prendere di misure urgenti quanto alle condizioni di trattenimento. E' peraltro precisato che ciò non autorizza gli Stati membri a derogare al loro obbligo generale di adottare «tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dalla presente direttiva».
Dibattito (17.6.2008)
Dichiarazione della Presidenza
In apertura del dibattito il Ministro degli Interni sloveno, Dragutin MATE, ha sottolineato che la direttiva rimpatri costituisce il primo atto legislativo di Parlamento e Consiglio relativo all'immigrazione. Nei negoziati a livello di Consiglio uno dei temi problematici è stato il periodo massimo di detenzione, ma il periodo di sei mesi stabilito dalla direttiva si applicherà ora in tutti gli Stati membri. Tuttavia, la maggior difficoltà si è avuta con l'assistenza legale, specialmente perché gli Stati membri avevano approcci diversi, a seconda che fossero ubicati vicini oppure lontano dai flussi migratori. Il ministro ha inoltre sottolineato che la direttiva protegge i gruppi vulnerabili quali i bambini. Su tutte queste tematiche ha rilevato che il compromesso raggiunto nella direttiva «rappresenta un progresso» e ha esortato il Parlamento ad approvare il testo.
Dichiarazione della Commissione
Jacques BARROT ha sostenuto che la Commissione sostiene «una approccio integrato all'immigrazione». Se non si prendessero misure, ci sarebbe un «circolo vizioso» nella politica di immigrazione. Sottolineando poi che «la direttiva è in linea con la Convenzione europea sui diritti umani», ha rilevato che essa «dà la priorità ai ritorni volontari» e «protegge i diritti dei bambini e delle famiglie». La Commissione monitorerà l'attuazione della legislazione per assicurarsi che gli standard della Convenzione europea e della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti umani siano osservati.
Intervento del relatore
Henri WEBER (PSE, FR) ha sottolineato che si tratta di «una tematica complessa», ma che in commissione per le libertà civili un'ampia maggioranza si è detta favorevole al compromesso. Sottolineando che la direttiva non tratta di asilo ma di immigrazione, ha poi ribattuto a talune critiche rivolte al testo asserendo che si tratta di un modo per assicurarsi che «la schiavitù nell'UE giunga al termine». La direttiva include la protezione per «bambini e minori non accompagnati, l'accesso ai sistemi d'istruzione e sanitari e prevede la detenzione solo in caso di necessità». Si è quindi chiesto perché si «getta fango» sulla direttiva, come hanno fatto ad esempio talune organizzazioni non governative. Ha infine, notato che tutte le linee guida del Consiglio d'Europa sono state incluse nella direttiva.
Interventi in nome dei gruppi politici
Augustín DÍAZ DE MERA GARCÍA CONSUEGRA ha descritto la direttiva come «un passo fermo e decisivo» verso la regolamentazione dell'immigrazione illegale. Un obiettivo chiave, ha rilevato, è stato l'incoraggiamento dei ritorni volontari. «Il ritorno obbligatorio sarà utilizzato solo come ultima istanza» e dovrebbero essere garantiti «la protezione dei diritti fondamentali, l'accesso a servizi linguistici e il diritto di appello». Fino ad oggi, ricorda il parlamentare, c'erano luoghi nell'UE in cui gli immigrati avrebbero potuto essere trattenuti in custodia a oltranza, ma la direttiva cambierà tutto questo. Ha poi sottolineato la chiara distinzione tra legislazione sull'immigrazione e sull'asilo e il fatto che la Corte di giustizia dovrebbe avere giurisdizione.
Martine ROURE (PSE, FR) ha affermato che il suo gruppo vorrebbe non accettare il compromesso proposto, non perché i socialisti siano contrari alla politica sui ritorni, ma perché il compromesso non fornisce un'adeguata protezione dei diritti fondamentali. Ha poi aggiunto che è stato un errore dire che la direttiva avrebbe consentito alle persone di uscire da una situazione di illegalità o che avrebbe fornito loro il diritto di rimanere. I diritti stabiliti nella direttiva, infatti, non sono vincolanti e, a suo parere, non terrebbero conto dell'aumento della detenzione nell'UE. Infine, ha sottolineato che i deputati dovrebbero applicare tutti i loro poteri, attraverso la codecisione, affinché migliori la sorte dei detenuti.
Secondo Jeanine HENNIS-PLASSCHAERT (ALDE/ADLE, NL), il pacchetto di compromesso ha reso chiaro che gli Stati membri dovrebbero mantenere standard più favorevoli, se già li hanno. Ha ricordato, peraltro, che il Consiglio ha consentito una dichiarazione politica nell'accordo sulla direttiva che sottolinea che quest'ultima non può essere utilizzata per inserire standard meno favorevoli. Si è poi chiesta: «vogliamo la direttiva o no?». «Molti Stati membri sarebbero felici se questa direttiva svanisse per la mancanza di un accordo, così l'ironia sta nel fatto che se non ci accordiamo su questo pacchetto di compromesso, avremo l'appoggio di quegli Stati». Ha aggiunto che, ad oggi, non esiste una legislazione europea, e che con il pacchetto si avrebbero procedure d'infrazione, una relazione della Commissione e monitoraggio del Parlamento europeo.
Jean LAMBERT (Verdi/ALE, UK) ha affermato che il suo gruppo potrebbe non accettare il testo negoziato. A suo parere, infatti, esso non riflette gli standard stabiliti all'inizio. Riguardo alla durata della detenzione, la deputata, ha sottolineato che il suo gruppo è preoccupato riguardo alle conseguenze di lunghi periodi di detenzione sulla salute mentale delle persone trattenute e ha rilevato che la vita familiare è messa a rischio. Ha poi aggiunto che il suo gruppo è anche preoccupato riguardo a dove si sarebbe stabilito di far tornare le persone e, in proposito, ha citato le preoccupazioni suscitate dalle «strette di mano tra il primo Ministro Berlusconi e il colonnello Gheddafi».
Andrzej ZAPALOWSKI (UEN, PL) ha sottolineato che, prima di parlare di protezione legale delle famiglie al di fuori dell'UE, si dovrebbe sentire qualcosa sulla salvaguardia della nostra cultura familiare, che è stata un modello per il resto del mondo.
Per Giusto CATANIA (GUE/NGL, IT) «questa direttiva è una vergogna, un insulto alla civiltà giuridica dell'Europa». Inoltre, è «un orrore che rischia di cancellare millenni di cultura dell'accoglienza, le radici profonde di un'identità europea forgiata da pratiche di ospitalità e l'ennesimo monumento alla fortezza Europa, la materializzazione dell'utopia reazionaria che vuole impedire la libertà di circolazione di uomini e donne». A suo parere, «non si può arginare il diritto alla mobilità rinchiudendo dietro un filo spinato o dentro un puzzolente centro di detenzione gli uomini e le donne». E ciò per diciotto mesi, «perché questo è il periodo massimo di detenzione, non sei mesi come indicato dal ministro Mate, diciotto mesi senza alcun reato!».
Ha poi ricordato quanto detto da Monsignor Agostino Marchetto del Consiglio dei migranti della Conferenza episcopale italiana: «non si può detenere una persona per una semplice violazione amministrativa e in più detenere persone in luoghi disumani e degradanti come quelli che ha visitato la commissione libertà civili di questo Parlamento». Ha poi aggiunto che questa direttiva è «inumana» perché prevede il rimpatrio in paesi di transito. La Libia, pertanto, «rischia di diventare il luogo della deportazione di massa dei migranti». Inoltre, prevede detenzione ed espulsione di minori non accompagnati, il divieto di reingresso, «violando sistematicamente il diritto d'asilo», e prevede un'assistenza legale «discrezionale». «È questa la vera natura di questa direttiva!», ha esclamato.
Questa direttiva, ha poi aggiunto, «è un'imposizione dei governi» che il Parlamento europeo «sta subendo supinamente». Il deputato ha quindi fatto appello alla dignità del Parlamento europeo sottolineando che più che di codesione si tratta di «un parere conforme nei confronti del Consiglio». La verità, ha esclamato, «è che i governi vogliono immediatamente attivare i 700 milioni di euro previsti dal fondo per il rimpatrio».
A suo parere, invece, occorre ascoltare la società, i capi di Stato dei paesi terzi, Amnesty International, le chiese, le conferenze episcopali europee, il sindacato, il Consiglio d'Europa. «Tutti ci dicono di non approvare questa direttiva», ha aggiunto, «perfino l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite, che secondo il trattato di Amsterdam dovrebbe essere consultato in tutte le materie di asilo e di immigrazione della Commissione europea». Concludendo, ha ribadito che «queste politiche repressive sono la vera causa della più grande tragedia dell'Unione europea: i morti in mare». E, in proposito, ha ricordato che negli ultimi dieci anni ne sono morti 12.000. L'Unione europea, pertanto, «si macchia di un crimine inaccettabile e con questa direttiva si rende ulteriormente complice di questi omicidi che hanno trasformato il Mediterraneo in un cimitero». Ha quindi invitato i colleghi a non approvare la direttiva.
Hélène GOUDIN (IND/DEM, SE) ha dichiarato che «se tutte le porte sono chiuse, la gente potrebbe cercare di intrufolarsi dalla porta di servizio». L'Unione «sta diventando una fortezza» e, infatti, ogni giorno si vedono immagini di persone che pagano con la loro vita. Molte organizzazioni per i diritti umani, ha aggiunto, hanno criticato la direttiva, come ad esempio Caritas e Amnesty International. Non esiste una valore aggiunto europeo nella creazione di questa situazione disumana. Il risultato di questo divieto o rimpatrio, a suo parere, sarà un aumento dell'immigrazione illegale, del traffico di esseri umani e l'odio per il sistema che sta istituendo l'Occidente. Ha quindi concluso affermando che le organizzazioni per i diritti umani «ci hanno ammoniti» e che occorre uno sforzo internazionale a favore dei diritti umani.
Interventi dei deputati italiani
Claudio FAVA (PSE, IT), rivolgendosi al Consiglio che ha svuotato di significato la proposta di direttiva, ha affermato che essa «riflette il senso comune che sta assumendo il dibattito in Europa sull'immigrazione». E il fatto che sia stata approvata dal Consiglio all'unanimità «non attenua ma inasprisce il messaggio che essa rappresenta», ossia «un'Europa costruita sul principio della diffidenza». Il tema, ha poi spiegato, non è l'utilità di una direttiva, che crea una disciplina comune e condivisa, bensì i suoi contenuti. Il giorno dopo la morte di 150 clandestini annegati nel Mediterraneo, ha sottolineato, «voi ci chiedete di mandare a dire ai sopravvissuti che da domani ... si troveranno di fronte a un provvedimento che prevede fino a diciotto mesi di reclusione»: un principio giuridico «devastante» che prevede la possibilità di privare della libertà un individuo per provvedimento amministrativo e senza aver commesso alcun reato. Ciò che mai tollereremmo nei nostri paesi nei confronti di un cittadino europeo, ha esclamato, «lo permettiamo e lo sosteniamo per gli immigrati irregolari».
Il deputato ha poi rilevato che i diciotto emendamenti presentati dal suo gruppo «sono un tentativo di restituire una dignità sul piano normativo a un provvedimento che noi riteniamo umiliante non soltanto per l'Unione europea ma anche per i nostri Stati membri». Se non verranno accolti, ha annunciato, «ci saranno molti voti contrari». Ha poi sostenuto che non vi è alcun consenso «sulla discrezionalità e l'arbitrio» sul modo in cui verranno trattati i punti più significativi della direttiva. Ha quindi concluso sostenendo che il Parlamento ha il dovere di tutelare «principi giuridici e di civiltà politica concreti» ai quali il Consiglio chiede di rinunciare. «Qui non ci chiedete di fare presto, ci chiedete di fare male. Male per gli immigrati, male per l'Europa, male per i nostri Stati membri, ed è una responsabilità che noi non vogliamo condividere con voi».
Per Roberta ANGELILLI (UEN, IT) «rendere certe le espulsioni e scoraggiare l'illegalità e lo sfruttamento» deve essere l'obiettivo della cosiddetta direttiva». Si tratta, ha aggiunto, di un testo «equilibrato», che parte da alcuni presupposti fondamentali: «dotarsi finalmente di una politica comune per l'immigrazione». Ossia, «di regole condivise, indispensabili per tutelare appieno i diritti dei cittadini immigrati regolari che sono una grande positiva risorsa, a condizione che si attivi una linea di condotta intransigente contro l'immigrazione illegale».
Ha quindi illustrato quelli che a suo parere sono gli altri punti qualificanti: «si promuove, in prima istanza, il ritorno volontario; si stabiliscono tempi accelerati per il rimpatrio in caso di pericolo di fuga o pericolosità del soggetto interessato e, soprattutto, si stabilisce finalmente una tempistica certa sul periodo di permanenza nei centri di custodia per fare tutti gli accertamenti necessari». In proposito, ha ricordato che, fino a questo momento «ogni Stato membro era libero di stabilire o non stabilire il tempo limite di permanenza». Ha poi sottolineato la speciale attenzione dedicata ai diritti umani, soprattutto per le persone vulnerabili e in special modo per i minori, invocando l'interesse superiore del bambino. E ciò, a suo parere, «è un fatto rivoluzionario che tiene proprio conto di quanto attualmente accade nei centri di permanenza».
Altro aspetto positivo è il divieto di reingresso valido per tutta l'UE. Si tratta, ha spiegato, di norme comuni, «eque e trasparenti», che possono far parte di una strategia «che veda il potenziamento dei controlli alle frontiere esterne dell'Unione, elabori una nuova politica per l'asilo, rilanci la collaborazione diplomatica, ma anche e soprattutto la cooperazione allo sviluppo con i paesi terzi». Riguardo al Codice europeo per l'integrazione degli immigrati legali, ha affermato che l'Europa deve assumersi le sue responsabilità, avere autorevolezza, credibilità, e diventare «l'Europa dei diritti e delle regole rispettate». Ha quindi concluso sostenendo che il Parlamento ha «il dovere» di approvare questo testo che sarebbe certamente migliorabile con ulteriori e lunghi negoziati ma che sfocerebbero comunque in un «infinitesimale compromesso giudicato sempre al ribasso».
Roberto FIORE (NI, IT) ha anzitutto protestato «per le imprudenti e inspiegabili parole del Vicepresidente Barrot, ieri, sull'eventualità di considerare l'immigrazione clandestina un'aggravante nei reati, proposta appunto dal governo italiano». E in proposito ha spiegato che ciò non abbia fondamento in legge «e non incontra sicuramente il favore dell'opinione pubblica». Sulla relazione Weber, ha affermato che occorre considerare l'immigrazione clandestina, ipso facto, «un'eventualità e possibilità di fuga», poiché «è abbastanza chiaro che l'immigrato, nel momento in cui entra clandestinamente, ha una propensione verso la fuga». Ha quindi concluso sostenendo la necessità che Commissione e Parlamento considerino l'importanza «di far pagare ai paesi da dove provengono questi immigranti - come la Libia nel caso appunto dell'Italia - la spesa enorme che l'immigrazione clandestina in questo momento sta creando».
Per Mario BORGHEZIO (UEN, IT), la politica dell'Europa sull'immigrazione ha un difetto fondamentale: «parte esclusivamente dalla visione della difesa dei diritti dell'uomo, quando bisognerebbe anche pensare di difendere i diritti dei popoli, la loro libertà, la loro sicurezza, il loro diritto a non essere invasi». La sinistra, ha aggiunto, «con i suoi emendamenti buonisti esprime la non politica per il rimpatrio dei clandestini». Ha poi definito «pura demagogia» l'istituzione del Mediatore europeo per i clandestini, dicendo che «una politica seria è quella che contrasta gli interessi del mondialismo, che vuole sradicare i popoli dal loro territorio perché li considera vuoi come merci, vuoi come schiavi, nuovi consumatori». Se il Mediterraneo è un cimitero, ha esclamato, «la responsabilità morale è di chi ha aperto le porte agli sbarchi clandestini!». Ha poi concluso sostenendo di aver sempre denunciato, per esempio da Lampedusa, «questo commercio immondo di carne umana», e che se passassero gli emendamenti della sinistra, «la politica europea di ritorno degli immigrati sarebbe finita prima ancora di cominciare». Marco CAPPATO (ALDE/ADLE, IT), ha anzitutto sottolineato che, da quanto sostenuto dal relatore, sembra che si tratti del voto finale, mentre invece è solo la prima lettura. Di conseguenza, «non si comprende perché, di fronte a delle proposte di miglioramento che hanno un consenso ampio in quest'Aula, di garanzie ulteriori che possono essere date sui minori, sui paesi terzi in transito, sui divieti di rientro, noi non cogliamo questa opportunità». Ha quindi stigmatizzato l'atteggiamento del Parlamento che, così facendo, rinuncia al potere di colegislatore, evitando di esercitare il potere per migliorare la direttiva. I governi europei, ha concluso, «hanno bisogno di questo Parlamento proprio per fare dell'Europa non il terreno della paura e della maggiore efficacia degli strumenti di difesa dell'immigrazione, ma l'Europa come il luogo dell'integrazione anche dell'immigrazione».
Stefano ZAPPALÀ (PPE/DE, IT), ha ricordato anzitutto che molti deputati hanno visitato vari centri di prima accoglienza in tutta Europa. A suo parere, è in discussione un fenomeno «complesso» che presenta «varie sfaccettature» e, ognuno di noi, per cultura, per carattere, per posizione politica «è portato ad esaminarlo da un punto di vista particolare». Ha però affermato che non si può non tenere conto del fatto che «non stiamo parlando dei fenomeni piccoli o isolati, ma stiamo parlando di immigrazione di popoli ...di milioni e milioni di persone che si spostano, spinti da varie motivazioni, molto poco sul piano della richiesta di asilo, molto poco sul piano delle esigenze di tipo politico, e moltissimo alla ricerca di nuove condizioni di vita e di nuove condizioni di lavoro». Nel ringraziare il relatore ha concluso sostenendo che «una legislazione perfettibile è meglio di una non legislazione» e si è detto convinto che «l'Europa bene fa a curare tutti ma soprattutto bene fa, in questo fenomeno complesso e grave che stiamo vivendo, a curare intanto i suoi cittadini».
Link utili
Testo del compromesso con il Consiglio
Riferimenti
Manfred WEBER (PPE/DE, DE) Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente Procedura: Codecisione, prima lettura Dibattito: 17.6.2008 Votazione: 18.6.2008 |
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Il Parlamento chiede di separare la proprietà delle attività di produzione e di trasmissione dell'energia elettrica, respingendo le alternative per consentire una separazione funzionale corredata di garanzie d'indipendenza di gestione. Propone poi di vietare il possesso della rete di trasmissione da parte di società non UE e insiste sull'integrazione dei mercati regionali e sull'efficienza energetica. Propone inoltre di rafforzare i diritti dei consumatori, specie di quelli più vulnerabili, anche attraverso una carta dei diritti e un mediatore indipendente.
Approvando con 449 voti favorevoli, 204 contrari e 19 astensioni la relazione di Eluned MORGAN (PSE, UK), il Parlamento sottolinea anzitutto che gli obiettivi principali della direttiva dovrebbero essere «la garanzia di norme comuni per il mercato interno realmente europeo» dell'energia elettrica, «lo sviluppo di una rete comune» ed «un'ampia offerta di energia accessibile a tutti». Rileva poi che il buon funzionamento del mercato interno dell'energia elettrica dovrebbe offrire ai produttori incentivi adeguati per investire in nuove centrali elettriche e ai consumatori misure idonee per promuovere un impiego più efficiente dell'energia. Allo stesso tempo avanza una serie di proposte volte a proteggere i consumatori e a tutelare i loro diritti, nonché a definire gli obblighi di servizio universale e chiarire i requisiti in materia di concorrenza.
Disaggregazione della proprietà per produzione e trasmissione (unbundling)
La legislazione vigente impone la disaggregazione giuridica e funzionale delle operazioni di rete dalle attività di approvvigionamento e generazione o di produzione. Gli Stati membri hanno rispettato tale obbligo applicando strutture organizzative diverse. Alcuni di essi hanno creato imprese completamente separate per la gestione della rete, mentre altri hanno costituito un’entità giuridica all’interno di un’impresa integrata. In Italia, dopo una transizione caratterizzata da un organismo interno all'azienda ex monopolista, si è giunti nel 2005 alla separazione totale della proprietà, le cui maggioranze azionarie sono rimaste in mano pubblica (si veda il Background in calce).
Il Parlamento ha accolto, con talune precisazioni, la proposta della Commissione di imporre la disaggregazione completa della proprietà (full ownership unbundling): un soggetto non può esercitare il controllo su un’impresa di approvvigionamento e, allo stesso tempo, detenere una qualsiasi forma di interesse in un operatore di sistemi di trasmissione (intesa come il trasporto di energia ad alta tensione, non come distribuzione/fornitura ai clienti finali), e viceversa.
Più in particolare, dopo un anno dalla data di attuazione della direttiva, gli Stati membri dovranno garantire che la stessa persona o le stesse persone non siano autorizzate, «individualmente o congiuntamente», ad esercitare, direttamente o indirettamente, un controllo su un'impresa che esercita l'attività di generazione o l'attività di fornitura e a esercitare direttamente o indirettamente un controllo o detenere partecipazioni o esercitare diritti su un gestore di sistemi di trasmissione. Oppure ad esercitare, direttamente o indirettamente, un controllo su un gestore di sistemi di trasmissione e a esercitare direttamente o indirettamente un controllo o detenere partecipazioni o esercitare diritti su un'impresa che esercita l'attività di generazione o l'attività di fornitura.
Queste stesse persone non dovranno essere autorizzate a nominare membri dei vari organi di governo delle imprese suddette né esserne membri loro stesse. I deputati precisano inoltre che tali persone non potranno gestire il sistema di trasmissione attraverso un contratto di gestione o esercitare un'influenza «in qualsiasi altro modo diverso dalla proprietà», o esercitare un controllo o detenere partecipazioni o esercitare diritti su un'impresa che esercita l'attività di generazione o di fornitura. Queste "incompatibilità", precisa un emendamento, non valgono se il soggetto in questione è lo Stato membro o un ente pubblico. Con 569 voti favorevoli, 58 contrari e 10 astensioni, il Parlamento ha peraltro respinto l'alternativa proposta dalla Commissione che prevedeva la possibilità di affidare a società indipendenti designate dagli Stati membri - i Gestori di sistema indipendenti (ISO - Indipendent system operator) - la concessione e la gestione dell'accesso ai servizi, nonché del funzionamento, del mantenimento e dello sviluppo del sistema di trasmissione e della capacità a lungo termine. Questa soluzione prevedeva il mantenimento della proprietà della rete da parte dei produttori.
Ha inoltre respinto (con 261 sì, 381 no e 31 astensioni) un emendamento che intendeva riprendere il compromesso raggiunto dal Consiglio dei Ministri che, pur esplicitando la preferenza per il "full unbundling" e non escludendo il ricorso all'ISO, prevedeva anche la possibilità per le aziende integrate verticalmente di non vendere la proprietà della rete e di ricorrere a un Gestore di trasmissione indipendente (ITO, Indipendent Transmission Operator) interno all'azienda stessa ma totalmente separato a livello contabile e societario. L'indipendenza, con questo approccio, sarebbe stata garantita da una serie di norme e sistemi di controllo, nonché dal rafforzamento del ruolo dei regolatori nazionali dell'energia. Per il Consiglio, peraltro, questo sistema andrebbe applicato sia al mercato dell'elettricità sia a quello del gas. Va notato che per il gas i deputati della commissione per l'industria e l'energia avevano già proposto una soluzione simile a questa (il voto in Plenaria è previsto a luglio).
I deputati, inoltre, accolgono la regola generale proposta dalla Commissione secondo cui i sistemi di trasmissione o i gestori di sistemi di trasmissione non possono essere oggetto di controllo ad opera di una o più persone di paesi terzi. Anche se sono ammesse delle deroghe in virtù di un accordo concluso con uno o più paesi terzi, del quale la Comunità sia parte.
Più diritti per gli utenti e tutela dei più vulnerabili
L'attuale normativa prevede già talune garanzie riguardo all'obbligo di servizio pubblico e tutele per i consumatori. Il Parlamento precisa la portata di alcune di queste e chiede l'integrazione di nuovi diritti. Ritiene infatti che gli interessi dei consumatori «dovrebbero essere al centro» della direttiva, mentre i cittadini dell'UE e le piccole e medie imprese devono poter godere del servizio universale, «cioè del diritto alla fornitura di energia elettrica di una qualità specifica a prezzi basati sui costi e facilmente comparabili, trasparenti e non discriminatori». Un emendamento chiede poi di imporre agli Stati membri di provvedere affinché tutti i clienti abbiano il diritto di essere riforniti di elettricità da un fornitore - ove questi accetti - «a prescindere dallo Stato membro in cui il fornitore sia registrato».
Le autorità nazionali di regolamentazione, d'altra parte, dovrebbero far rispettare i diritti degli utenti «predisponendo incentivi e imponendo sanzioni alle imprese che non rispettano le norme in materia di protezione dei consumatori e di concorrenza». Il Parlamento chiede inoltre agli Stati membri di istituire sportelli unici che mettano a disposizione dei consumatori tutte le informazioni necessarie concernenti i loro diritti, la legislazione in vigore e le modalità di ricorso a loro disposizione in caso di controversia. Più in generale, accogliendo una proposta del PSE, l'Aula chiede alla Commissione di elaborare - consultando tutte le parti interessate - una carta che elenchi i diritti dei consumatori di energia sanciti dalla normativa UE. Carta che i fornitori dovrebbero trasmettere ai loro clienti.
Tra questi diritti figura l'obbligo del fornitore del servizio di energia elettrica di specificare i diritti dei consumatori «mediante la loro chiara indicazione sulla fattura e nei siti web delle imprese elettriche». Dovrà inoltre precisare l'esistenza di eventuali diritti di recesso «senza alcuna penalizzazione», nonché l'indennizzo e le modalità di rimborso applicabili se i livelli di qualità del servizio stipulati non sono raggiunti, «anche in caso di fatturazione imprecisa e tardiva». Gli utenti dovranno poter «facilmente cambiare fornitore» e, in tale eventualità, dovranno poterlo fare «entro due settimane» e avranno il diritto di ricevere «un conguaglio definitivo ... non oltre un mese dopo la notifica al fornitore interessato».
Quest'ultimo, peraltro, dovrà fornire all'utente le coordinate dell'autorità di ricorso competente nonché le informazioni dettagliate riguardanti la procedura da seguire in caso di controversia, la cui composizione dovrà essere rapida e efficace. In proposito, facendo proprio un emendamento del PSE, l'Aula chiede inoltre alle autorità nazionali di regolamentazione di predisporre "servizi reclami" indipendenti e sistemi alternativi di ricorso quali un mediatore indipendente dell'energia o un organismo dei consumatori.
I consumatori dovrebbero avere inoltre il diritto di essere adeguatamente informati, «quanto meno con cadenza trimestrale», del loro consumo effettivo di energia elettrica e dei costi relativi, ma anche di ricevere adeguata comunicazione dell'intenzione di modificare le condizioni contrattuali e di essere informati del loro diritto di recesso al momento della notifica. Dovrebbero in particolare essere avvisati direttamente - «in modo trasparente e comprensibile» e in tempo utile - di eventuali aumenti delle tariffe. Inoltre, i deputati chiedono agli Stati membri di completare l'installazione dei contatori intelligenti «con un disagio minimo per i consumatori entro 10 anni dall'entrata in vigore della direttiva».
La povertà energetica - ossia la situazione in cui un cittadino «non può permettersi di riscaldare la propria abitazione in modo accettabile» - costituisce, per i deputati, un problema crescente all'interno dell'UE. Un emendamento chiede quindi agli Stati membri di elaborare piani d'azione nazionali per affrontare il problema e «garantire il necessario approvvigionamento energetico per i clienti vulnerabili». A tal fine, precisano, è necessario un approccio integrato ed è opportuno che le misure comprendano politiche sociali, politiche tariffarie e miglioramenti dell'efficienza energetica per le abitazioni. La direttiva, pertanto, dovrebbe quanto meno «ammettere politiche nazionali di discriminazione positiva, in termini di modelli di tariffazione, per i clienti vulnerabili». Il Parlamento chiama poi gli Stati membri a garantire i clienti finali vulnerabili dalle interruzioni del servizio in inverno, soprattutto ai pensionati e ai disabili.
Reti transfrontaliere e cooperazione regionale
Secondo i deputati il mercato interno dovrebbe rafforzare gli scambi e i flussi di elettricità a livello transfrontaliero, al fine di «assicurare l'uso ottimale della capacità disponibile di generazione elettrica e i prezzi più bassi possibili». Ciò tuttavia «non deve costituire un pretesto per gli Stati membri e i produttori per non investire nelle nuove tecnologie per la generazione di energia elettrica». Su questa materia, il Parlamento ha approvato la relazione di Alejo VIDAL-QUADRAS ROCA (PPE/DE, ES) relativa al regolamento che mira a facilitare lo sviluppo di un mercato all’ingrosso trasparente ed efficiente con un elevato livello di sicurezza dell'approvvigionamento e che, a tal fine, prevede i meccanismi per l’armonizzazione.
Per il Parlamento, una maggiore cooperazione regionale dovrebbe essere il primo passo nello sviluppo di una rete elettrica europea pienamente integrata, che alla fine incorpori le isole energetiche attualmente presenti nell'Unione europea. Gli Stati membri devono pertanto promuovere, a livello europeo, e anche a livello regionale ove possibile, l'integrazione dei loro mercati nazionali e la cooperazione dei gestori delle reti a livello europeo e nazionale. Un emendamento, d'altra parte, chiede agli Stati membri di provvedere affinché i piccoli impianti di generazione decentrata e/o distribuita che generano meno di 50 MW e tutti i generatori integrati «beneficino di procedure di autorizzazione semplificate».
Inoltre, approvando la relazione di Giles
CHICHESTER (PPE/DE, UK), il Parlamento si è pronunciato sul
regolamento che istituisce l'Agenzia per la cooperazione fra
regolatori nazionali dell'energia, che dovrebbe essere competente
per tutte le questioni transfronatliere, allo scopo di integrare a
livello europeo le funzioni di regolamentazione svolte dalle
autorità nazionali. Efficienza energetica e cambiamenti cimatici
Gli Stati membri dovranno incoraggiare la modernizzazione delle reti di distribuzione, che devono essere costruite in modo da favorire la generazione decentrata e assicurare l'efficienza energetica. Un emendamento precisa che essi dovrebbero in particolare incoraggiare maggiormente la produzione combinata di calore ed elettricità. Per promuovere l'efficienza energetica, i deputati ritengono che occorre imporre alle imprese elettriche l'introduzione di formule tariffarie «basate su prezzi crescenti in caso di livelli di consumo elevati». Attribuiscono inoltre agli Stati membri la possibilità di imporre che gli introiti derivanti dalla fornitura di elettricità ai clienti civili vadano ad alimentare programmi di efficienza energetica.
Un altro emendamento chiede agli Stati membri di provvedere affinché i fornitori di energia elettrica specifichino nelle fatture e in tutto il materiale promozionale inviato ai clienti finali la quota di ciascuna fonte energetica nel mix complessivo di combustibili utilizzato «in modo armonizzato e comprensibile» al fine di agevolare il raffronto. L'Aula ha peraltro respinto la proposta di imporre ai fornitori di fornire informazioni sull'impatto ambientale, «in termini almeno delle emissioni di CO2 e dei rifiuti radioattivi derivanti dall'elettricità prodotta dalla miscela complessiva di carburante utilizzata». Inoltre, i deputati chiedono di inserire «il contributo al raggiungimento dell'obiettivo del 20% di energie rinnovabili entro il 2020» tra i criteri per il rilascio delle autorizzazioni alla costruzione di impianti di generazione.
Background - Il mercato italiano: Enel, Terna e gli altri
Secondo i dati dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, nel 2006, più dell'80% dell'energia elettrica italiana era prodotta dal gas naturale, da combustibili solidi e da prodotti petroliferi. Tra le fonti rinnovabili, il 70% della produzione traeva origine dagli impianti idroelettrici. In testa ai principali produttori figurava il Gruppo Enel seguito, con meno della metà della generazione, dal Gruppo Edison. Venivano poi Edipower, Endesa Italia, Gruppo ENI e Tirreno Power. Le importazioni di energia elettrica da altri paesi ammontavano a circa il 15%. I maggiori fornitori, in ordine decrescente, erano: Svizzera, Francia, Slovenia, Austria e Grecia.
ENEL è la più grande azienda elettrica d’Italia e la seconda utility (azienda di servizi pubblici) quotata d’Europa per capacità installata. Enel produce, distribuisce e vende elettricità e gas in tutta Europa (Bulgaria, Francia, Grecia, Portogallo, Romania, Slovacchia e Spagna), in Russia, Nord America e America Latina. A seguito dell’acquisizione della compagnia elettrica spagnola Endesa è ora presente in 21 paesi, con una potenza di 75,5 GW (al 31 dicembre 2007) e serve più di 50 milioni di clienti nell’elettricità e nel gas. Quotata dal 1999 in Borsa, Enel è la società italiana con il più alto numero di azionisti, circa 1,7 milioni tra privati (retail) e istituzionali. Il Ministero dell’Economia detiene direttamente il 21,1% del capitale e indirettamente un ulteriore 10,1% attraverso la Cassa depositi e Prestiti. Il capitale flottante è pari a circa 68,8%.
Sin dal maggio 1999, il Decreto Legislativo n.79/99
(Decreto Bersani) ha sancito la separazione tra la proprietà e la
gestione della rete di trasmissione introducendo, in una prima
fase, il modello ISO e, successivamente, la separazione
proprietaria. Ciò ha portato alla costituzione dell'impresa di
trasmissione Terna all'interno del Gruppo Enel, che è si è poi
trasformata in "TERNA - Rete Elettrica Nazionale SpA" nel
novembre 2005 quando è diventata operativa l'unificazione tra
proprietà e gestione della "Rete di Trasmissione Nazionale" (RTN).
Il Gruppo Terna ha acquisito nel 2006 Edison Rete e AEM Trasmissione
e, l'anno successivo, AEM Trasporto Energia s.r.l. Torino,
diventando così proprietaria di oltre il 98% della RTN. Ha inoltre
il controllo di quattro società che operano nel settore della
trasmissione di energia in Brasile. L’azionista di maggioranza
relativa è la Cassa Depositi e Prestiti, che detiene il 29,99% del
pacchetto azionario. Il 64% del capitale sociale è in mani italiane,
mentre il 36% è detenuto da fondi esteri. Gli altri Stati membri che hanno proceduto alla "ownership unbundling" sono il Regno Unito, la Spagna, il Portogallo, la Svezia, la Danimarca, la Finlandia, la Lituania, la repubblica ceca e la Slovacchia. Da dati elaborati dall'Enel, nel 2005, risulta che il 19% della generazione elettrica nell'UE25 proveniva dal gruppo pubblico francese EDF, seguito da E-on e RWE con il 7% ciascuno, da Vattenfall con il 6%, da Enel e Endesa con entrambe il 5%, da Electrabel con il 4% e da Iberdrola con il 2%. Il restante 45% era prodotto da altre imprese minori.
Dal 1° luglio 2007 in Italia, come nel resto d’Europa, è scattata la completa liberalizzazione della domanda di energia, in attuazione delle Direttive UE del 2003. Quasi 30 milioni di famiglie hanno quindi la possibilità di rivolgersi a venditori di energia elettrica anche diversi da quello da cui sono state rifornite sino ad allora, scegliendo l’offerta ritenuta più interessante. Fino ad allora poteva cambiare fornitore di elettricità solo chi aveva una partita Iva.
Da prime stime, sembra che la percentuale di utenti privati che hanno optato per il mercato libero sia relativamente bassa e che, tra questi, la maggior parte abbia scelto l'ex monopolista come fornitore. L'Enel rimane il principale fornitore di elettricità nelle case degli italiani con circa un quarto del mercato. Le imprese concorrenti sono, essenzialmente, Edison, ENI, ASM Energy, Sorgenia, EGL ed ACEA.
Link utili
Proposta della Commissione
Riferimenti
Eluned MORGAN (PSE, UK) Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/54/CE relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica & Alejo VIDAL-QUADRAS ROCA (PPE/DE, ES) Relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1228/2003 relativo alle condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica & Giles CHICHESTER (PPE/DE, UK) Relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1228/2003 relativo alle condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica Procedura: Codecisione, prima lettura Dibattito: 17.6.2008 Votazione: 18.6.2008 |
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Energia: bollette chiare e trasparenti, e prezzi ragionevoli
Rilevando come spesso i diritti dei consumatori non siano rispettati, il Parlamento esorta la creazione di un mercato energetico unico e concorrenziale, nonché tariffe ragionevoli, trasparenti e facilmente comparabili. Chiede poi fatture tipo, sportelli unici d'informazione e per i reclami, e di agevolare la possibilità di cambiare fornitore senza spese. Sollecitando un'adeguata tutela degli utenti vulnerabili, auspica più poteri per le Authority nazionali, tra cui quello di imporre sanzioni.
Parallelamente all'approvazione della direttiva in materia di elettricità contenuta nel terzo pacchetto energetico, il Parlamento ha approvato - con 543 voti favorevoli, 18 contrari e e14 astensioni - la relazione di Mia DE VITS (PSE, BE) sulla Carta europea dei diritti dei consumatori di energia. Questa è intesa ad invitare e incitare i governi, le autorità di regolamentazione e l'industria a «contribuire in modo concreto nel garantire che gli interessi dei consumatori di energia ricevano la debita considerazione nell'ambito di un mercato energetico comunitario competitivo e attento alle problematiche sociali e ambientali».
Il Parlamento sottolinea «l'assoluta necessità» di rafforzare la protezione dei consumatori in materia energetica e di utilizzare la Carta come strumento di orientamento per le autorità europee nazionali, nonché per gli enti privati, così da «garantire e far rispettare efficacemente i diritti dei consumatori». Considera infatti la Carta uno strumento di informazione «che consente di raccogliere, chiarire e consolidare i diritti dei consumatori in materia di energia» ed è favorevole a mettere a punto uno strumento internet dedicato a tali diritti.
I deputati ricordano infatti che i diritti dei consumatori, pur essendo già protetti dalla normativa comunitaria in vigore, «spesso non sono rispettati». Sarebbe quindi necessario migliorare l'applicazione a livello nazionale della legislazione comunitaria in via di modifica con il "terzo pacchetto" energetico, promuovendo anche un'azione congiunta dell'UE e degli Stati membri. Inoltre, l'adozione del terzo pacchetto di proposte concernenti i mercati dell'elettricità e del gas naturale, a loro parere, rafforzerebbe ulteriormente il quadro giuridico per la protezione dei consumatori di energia.
Il Parlamento ricorda che il mercato europeo dell'energia continua ad essere caratterizzato da un gran numero di monopoli, «il che restringe la libertà di scelta e la possibilità di cambiare fornitore rapidamente e gratuitamente, aumenta la mancanza di informazione e, come risultato, accentua la vulnerabilità dei consumatori». Sarebbe quindi importante garantire che si compiano sforzi per creare un mercato unico e concorrenziale dell'energia e per tutelare, in particolare, i consumatori vulnerabili.
Tariffe energetiche ragionevoli e trasparenti
I consumatori europei di energia elettrica e gas, secondo il Parlamento, hanno il diritto di accedere alla connessione alle reti e all'erogazione di energia elettrica e gas a prezzi e tariffe «ragionevoli, trasparenti, non discriminatori e facilmente comparabili e basati «sul consumo energetico effettivo». Più in particolare, le tariffe, i meccanismi di indicizzazione e le condizioni, devono essere facilmente accessibili al consumatore attraverso una serie completa di strumenti d'informazione facilmente comprensibili.
Al fine di garantire la trasparenza, i
deputati rilevano la necessità di mettere a punto un modello di
fatture tipo e informazioni precontrattuali e contrattuali
standard, che comprendano informazioni sui diritti del consumatore
in virtù della Carta. Gli Stati membri dovrebbero creare uno
sportello unico per qualsiasi richiesta di informazioni da
parte dei consumatori e dovrebbero consentire loro di poter passare
con facilità ad un nuovo fornitore, «entro un lasso di tempo
che non superi il mese, senza sostenere spese».
Andrebbero inoltre definiti criteri qualitativi da applicarsi ai servizi ai consumatori, compresi i call center, mentre nei siti internet dei fornitori e delle autorità nazionali di regolamentazione indipendenti dovrebbero essere disponibili dispositivi di simulazione delle tariffe.
Il Parlamento sottolinea anche la necessità di introdurre salvaguardie per evitare l'interruzione dell'approvvigionamento energetico. Una decisione in tal senso dovrebbe essere presa in considerazione solo come «soluzione estrema» in caso di arretrati di pagamento da parte dei consumatori, «sopratutto qualora si tratti di consumatori vulnerabili e di periodi di vacanza». Gli Stati membri, mediante un provvedimento legislativo nazionale, dovrebbero poi designare un fornitore di ultima istanza dandone debita comunicazione ai consumatori.
I deputati deplorano i gravi problemi incontrati dai consumatori vulnerabili e ritengono che debbano essere affrontati nell'ambito dei sistemi nazionali di sicurezza sociale o di altre misure equivalenti. Invitano poi la Commissione a fornire orientamenti su una definizione comune degli obblighi di servizio pubblico e a vigilare sull'adempimento, da parte degli Stati membri, degli obblighi stabiliti dalle direttive comunitarie. Chiedono inoltre una valutazione della misura in cui i singoli regimi nazionali di sicurezza sociale o fiscali tengono conto dei rischi connessi alla povertà energetica.
Rilevando che «i consumatori non sanno a chi rivolgersi» in caso di controversie, il Parlamento invita gli Stati membri a istituire uno sportello unico quanto più vicino possibile ai consumatori per trattare tutti i reclami e ad incoraggiare il ricorso a metodi alternativi di composizione delle controversie. Raccomanda inoltre che gli Stati membri forniscano alle organizzazioni dei consumatori un sostegno finanziario che consenta loro di formare il proprio personale ed essere quindi in grado di fornire assistenza nell'ambito del processo legislativo, informando e educando i consumatori e contribuendo alla risoluzione delle controversie.
Tutelare l'ambiente
I fornitori e gli operatori di rete dovrebbero agire in modo responsabile dal punto di vista ambientale, adoperandosi al massimo per mantenere le emissioni di CO2 e la produzione di rifiuti radioattivi ai livelli più bassi possibile, secondo la normativa in vigore. Si dovrebbe poi dare la priorità alle fonti energetiche rinnovabili, alla cogenerazione di energia termica ed elettrica e ad altri tipi di produzione integrata e fornire informazioni affidabili ai consumatori sul mix di combustibili utilizzato dall'impresa fornitrice di elettricità e sull'impatto ambientale.
Il Parlamento, inoltre, invita gli Stati membri a promuovere i "contatori intelligenti", che danno ai consumatori chiare informazioni sul consumo energetico effettivo, contribuendo così a una migliore efficienza energetica. Lo sviluppo di questi contatori andrebbe completato entro 10 anni.
Autorità nazionali di regolamentazione
I deputati sottolineano che i regolatori nazionali dovrebbero svolgere un ruolo centrale nella difesa del consumatore e sostengono le proposte intese a rafforzare i loro poteri e la loro indipendenza, incluso il diritto di imporre sanzioni ai fornitori che non ottemperano alla normativa comunitaria in materia. Deplorano quindi i loro limitati poteri attuali e esortano a fornire loro adeguati poteri legali e risorse sufficienti. In particolare, tali autorità dovrebbero approvare i principi di determinazione degli oneri di rete o delle tariffe effettive, monitorare i prezzi e tutte le loro componenti (inclusi i meccanismi di indicizzazione), e verificare, controllare e far rispettare l'informazione dei consumatori da parte dei fornitori. Infine, dovrebbero proteggere i consumatori dalle pratiche commerciali sleali e cooperare in tale ambito con le competenti autorità nazionali responsabili della concorrenza. Link utili
Comunicazione della Commissione "Verso una Carta europea dei diritti dei consumatori di energia" (COM(2007)0386)
Riferimenti
Mia DE VITS (PSE, BE) Relazione sul tema "Verso una Carta europea dei diritti dei consumatori di energia" Procedura: Iniziativa Dibattito: 17.6.2008 Votazione: 19.6.2008 |
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Caro petrolio: cause strutturali, speculazione e tasse nel dibattito parlamentare
L'aumento del prezzo del petrolio è il principale risultato dei cambiamenti economici mondiali a lungo termine o è da imputare alla speculazione? La fiscalità sull'energia va rivista per aiutare i consumatori e l'economia, oppure deve sostenere la popolazione più colpita? Sono questi alcuni dei temi affrontati nel corso del dibattito in Aula sull'impatto dei prezzi elevati di petrolio e energia. Si è anche parlato di efficienza energetica, fonti rinnovabili e energia nucleare.
Dichiarazione della Presidenza
Janez LENARCIC, Ministro sloveno per gli affari europei, ha auspicato una soluzione a lungo termine che comprenda «una migliore competitività, una maggiore trasparenza dei mercati finanziari, una diversificazione dell'approvvigionamento e una più grande efficienza energetica». Ha poi ricordato l'obiettivo del Consiglio di ridurre del 20% il consumo energetico dell'UE entro il 2020 e l'accordo di Manchester del settembre 2005 che precisa come gli interventi pubblici di natura fiscale debbano essere evitati, in quanto impediscono i necessari aggiustamenti per gli agenti economici. Ha quindi concluso ricordando che sono necessarie delle misure a livello internazionale.
Dichiarazione della Commissione
Per Andris PIEBALGS, commissario per l'energia, mentre l'aumento delle importazioni accresce la dipendenza europea al petrolio, la Commissione si era impegnata su un piano di efficienza energetica e di utilizzo di fondi di energia rinnovabili. A suo parere bisogna raddoppiare gli sforzi per applicare appieno le misure già concordate a livello nazionale. Ha poi insistito sulla necessità di trovare soluzioni a lungo termine al problema. Spiegando che «l'aumento dei pezzi dei combustibili e dei carburanti ha innalzato il prezzo al consumo ed i prezzi dei trasporti», ha sottolineato la necessità di agire a tutti i livelli e, a breve termine, «addolcire l'effetto del rincaro del prezzo del petrolio sui gruppi vulnerabili».
Ricordando infine gli impegni presi dal Consiglio, si è detto sicuro che l'Unione europea è in grado di produrre biocarburanti senza intaccare il livello mondiale della produzione alimentare, utilizzando ad esempio, le terre messe a maggese nell'UE oppure lavorando con i paesi in via di sviluppo. I biocarburanti, per il commissario, devono essere complementari alla produzione alimentare e non rimpiazzarla.
Interventi in nome dei gruppi politici
Per Jean-Pierre AUDY (PPE/DE, FR), per
evitare che i bilanci pubblici, delle imprese e dei cittadini
subscano la pressione quotidiana delle variazioni brutali del prezzo
del petrolio legata ai corsi mondiali, alla speculazione e alla
parità euro/dollaro, è necessario creare di uno strumento
comunitario il cui obiettivo sia di garantire il prezzo del barile
di petrolio greggio secondo un ritmo di bilancio annuale. Questo
strumento potrebbe ricorrere a tecniche finanziarie di
acquisti/vendite di opzioni sul mercato mondiale ed essere utile per
combattere la speculazione. Uno strumento di sorta, ha ricordato il
deputato, è stato già proposto nel 2005, quando il barile costava 50
dollari. Un tale strumento, ha spiegato, avrebbe il vantaggio di non
necessitare di alcun finanziamento e di garantire un migliore
impatto degli aumento dei corsi sulla catena dei prezzi dei settori
implicati, come quello della pesca. Per Hannes SWOBODA (PSE, AT) «queste proposte arrivano troppo tardi e sono troppo lassiste, non fanno neanche menzione dell'aspetto speculativo e dei guadagni esorbitanti delle società energetiche». Ha poi criticato le proposte della Commissione e del Consiglio in materia di protezione dei consumatori e di efficienza energetica, giudicandole «troppo deboli». Inoltre, ha fatto appello a misure sociali e, sottolineando che «niente arriva da Bruxelles sul piano sociale per ridurre le difficoltà dei pescatori e dei consumatori», ha auspicato «un segnale chiaro da parte del Consiglio e della Commissione» in questo campo.
Marco CAPPATO (ALDE/ADLE, IT) si è anzitutto detto in disaccordo sulla proposta del collega Audy: «non credo che sia il nostro compito quello di creare delle misure sul controllo dei prezzi. Credo che il Commissario abbia tracciato la linea di cui si può seriamente occupare l'Unione europea, cioè quella del nostro modello di sviluppo, delle energie rinnovabili e quindi semmai della necessità e dell'urgenza di rivedere gli obiettivi che sono stati fissati – del 20% sull'energia, del 10% sui trasporti – per farli ancora più ambiziosi, per occuparsene in tempi ancora più stretti».
Purtroppo, ha osservato, «sono gli Stati nazionali a opporsi a una vera politica europea di concorrenza e di mix delle fonti energetiche». A suo parere, inoltre, esiste evidentemente una questione di speculazione «che può essere affrontata», anche se, pure in questa materia, «gli Stati nazionali si rifiutano di consegnare all'Unione europea un vero potere di regole sui mercati finanziari». Di conseguenza non si deve chiedere all'Europa «di trovare delle scorciatoie per risolvere i guai che le politiche nazionali hanno creato». Occorre invece chiedere, ha concluso, «energie rinnovabili, piani strategici a lungo termine» in tempi più rapidi di quanto programmato.
Per Claude TURMES (Verdi/ALE, LU) si dovrebbero tassare gli speculatori «che non hanno mai avuto profitti così elevati». A suo parere, Jean Claude Junker, in questa prospettiva, dovrebbe assicurare un coordinamento a livello europeo delle tasse nazionali. Ogni paese, ha aggiunto, dovrebbe creare un fondo per compensare le riduzioni del potere d'acquisto di alcune categorie colpite, come gli autotrasportatori o i pescatori. Dovrebbe inoltre essere realizzato un legame con l'efficienza energetica: non si tratta di una piccola crisi, «bensì di un problema strutturale». Il problema, ha sottolineato, è «che il nostro modello di sviluppo, costruito intorno alle classi medie, è estrapolato in Cina e in India o in altri paesi emergenti, senza integrare le dimensioni ambientale e di efficienza energetica. Spetta alla Commissione, ha concluso, lanciare un'iniziativa europea di ampio respiro in settembre.
Gintaras DIDŽIOKAS (UEN, LT) ha ricordato che la politica energetica dell'UE è nata nel 1999, in un momento in cui il prezzo del barile di petrolio era di 69 dollari, mentre oggi è arrivato a 140. Ha quindi chiesto una revisione della politica fiscale in questo settore e criticato l'inazione europea. «I prezzi non cessano di crescere nell'UE, e questa situazione rischia di minare la fiducia dei cittadini nella costruzione europea», ha concluso, chiedendo «più misure e decisioni».
Dimitrios PAPADIMOULIS (GUE/NGL, EL) si è detto deluso dell'inazione del Consiglio e della Commissione ed ha quindi chiesto «misure concrete». Considerando che le misure fiscali non siano efficaci, ha proposto di investire nel settore delle energie rinnovabili. Ha inoltre rivolto un appello agli Stati membri affinché prendano delle misure per migliorare la situazione dei gruppi vulnerabili, «i più colpiti dall'aumento del prezzo del petrolio». A suo parere, «una parte del denaro che entra nelle casse dello Stato dovrebbe essere utilizzata per limitare gli effetti» su queste persone. Ha quindi concluso affermando che «il liberismo non è la direzione da prendere».
Replica del Consiglio
«Il periodo dell'energia a buon mercato è finita, o almeno lo è quella prodotta a partire dai fonti fossili», ha detto il Ministro. Ecco perché l'Unione deve adottare delle strategie a lungo termine orientate verso due direzioni: occorre aumentare l'efficienza energetica per ridurre la dipendenza dell'economia europea dalle importazioni di energie fossili e bisogna concentrarsi sulle energie rinnovabili, «nelle quali dovremmo investire di più». Ha anche ricordato la necessità di trovare una risposta ai problemi a breve termine. Replica della Commissione
Definendo il dibattito «affascinante», Andris Piebalgs ha sottolineato che «non vi è una soluzione magica al problema». Il commissario ha poi minimizzato l'impatto della speculazione sui prezzi, osservando che è fisicamente impossibile per le imprese conservare stock di petrolio importanti. I prezzi elevati, ha spiegato, corrispondono a un segnale del mercato che attesta la necessità di investimenti. La buona soluzione è «di fare dell'efficienza energetica la priorità numero uno e di prendere misure per rafforzare le energie rinnovabili e alternative, come l'energia nucleare».
Link utili
Sito della Commissione europea sul petrolio
Riferimenti
Dichiarazioni del Consiglio e della Commissione - Misure contro l'aumento del prezzo del petrolio Dibattito: 18.6.2008 |
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Pesca: subito misure contro il caro-gasolio
A fronte della crisi del settore della pesca provocata dall'aumento del prezzo del gasolio, il Parlamento chiede l'aumento fino a 100.000 euro degli aiuti de minimis per peschereccio e l'introduzione di sgravi fiscali. Sollecita inoltre un rafforzamento dei controlli sulle importazioni a basso costo e una migliore informazione sull'origine dei prodotti. Occorre poi rivedere il regime di mercato, attuare piani di adeguamento della flotta e promuovere misure per ridurre i consumi di carburante.
Adottando con 454 voti favorevoli, 84 contrari e 24 astensioni una risoluzione sostenuta da PPE/DE, PSE, ALDE e UEN, il Parlamento esprime anzitutto la sua solidarietà ai pescatori dell'UE ed invita la Commissione e il Consiglio a prevedere misure per risolvere la crisi nel settore della pesca. Una crisi dovuta «al costante aumento del prezzo del carburante che, negli ultimi cinque anni, ha subito un incremento superiore al 300% e dal gennaio 2008, superiore al 40%», e che sta avendo ripercussioni dirette e indirette sui redditi degli equipaggi.
Il Parlamento invita quindi gli Stati membri ad accelerare le procedure per consentire il pagamento di aiuti previsti dal regolamento sugli aiuti de minimis per il settore della pesca (n. 875/2007). In tale contesto, ribadisce la sua richiesta alla Commissione di rivedere detto regolamento così da aumentare gli aiuti fino a 100.000 euro per peschereccio invece che per impresa, «in modo che il livello di aiuto si ravvicini a quello concesso ad altri settori economici». Rileva inoltre che i nuovi orientamenti comunitari sugli aiuti statali nel settore della pesca e dell'acquacoltura prevedono sgravi fiscali e riduzioni dei costi sociali per i pescherecci comunitari che operino al di fuori delle acque comunitarie e chiede che tali misure siano applicate ai pescherecci che ne facciano richiesta.
Oltre all'aumento del prezzo del petrolio, i deputati sottolineano il crollo dei prezzi dei prodotti della pesca a causa delle «massicce importazioni di prodotti ittici acquistati a basso prezzo provenienti dalla pesca illegale». Sollecitano quindi il Consiglio a adottare una direttiva volta a rafforzare e migliorare i controlli sulle importazioni provenienti dalla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. Dovrebbe inoltre intensificare e migliorare i controlli per garantire il rispetto delle norme comunitarie, nonché migliorare e aumentare le informazioni sull'origine dei prodotti della pesca.
Il Parlamento ribadisce la richiesta alla Commissione di presentare «al più presto» una proposta per la revisione dell'Organizzazione comune dei mercati dei prodotti ittici, «al fine di consentire ai pescatori di partecipare maggiormente alla fissazione dei prezzi, garantendo così i redditi nel settore, assicurando la stabilità del mercato, migliorando la commercializzazione dei prodotti ittici ed aumentando il valore aggiunto generato».
Chiede inoltre che vengano messi in atto i piani di adeguamento della flotta di pesca in tutti gli Stati membri e che vengano messe a disposizione le necessarie risorse finanziarie per ristrutturare su base volontaria le flotte. A tal fine, la Commissione dovrebbe definire criteri prioritari per i segmenti della flotta che più hanno subito gli effetti di questa crisi e vanno riveduti i programmi operativi nazionali del Fondo europeo per la pesca «per prevedere una spesa più mirata». Occorre poi fornire assistenza per un cambiamento una tantum delle attrezzature di pesca per conseguire un metodo di pesca che preveda un minor uso di carburante e incoraggiare l'acquisto di attrezzature volte a migliorare l'efficienza del carburante.
Il Parlamento invita poi la Commissione a sottoporre proposte relative a un regime di compensazione settennale per la riduzione di CO2 nel settore della pesca, basato sull'attuale prezzo di 25 euro per tonnellata di CO2. La invita inoltre a sostenere la messa a punto di un fondo per la ricerca e lo sviluppo specificamente orientato sulla pesca, nel quadro dell'attuale Settimo programma quadro per la R&S, per contribuire a finanziare progetti intesi a studiare fonti alternative di energia e a migliorare l'efficienza energetica nel settore della pesca.
Il Parlamento chiede poi l'attuazione di un dialogo tripartito a livello europeo tra tutti gli attori (amministrazioni pubbliche, sindacati e pescatori) per trattare i problemi strutturali del settore, che non sono semplicemente un riflesso della crisi dei prezzi del petrolio, accordando priorità alle condizioni di lavoro dei pescatori. Infine, chiama il prossimo Consiglio dei ministri per la pesca che si terrà a giugno a discutere di tale questione «in via prioritaria» e a adottare le necessarie misure per risolvere la crisi.
Link utili
Regolamento (CE) N. 875/2007 relativo all’applicazione degli
articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti de minimis nel settore
della pesca
Riferimenti
Risoluzione comune sulla crisi del settore della pesca in seguito all'aumento del prezzo del gasolio Procedura: Risoluzione comune Dibattito: 18.6.2008 Votazione: 19.6.2008 |
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Il Parlamento ha adottato definitivamente una direttiva che, per proteggere l’ambiente e la salute umana, fissa misure per ridurre la produzione di rifiuti, anche incentivando l'eco-design, e impone il ricorso a regimi di raccolta differenziata entro il 2015 per aumentare di almeno il 50% il riutilizzo e il riciclaggio nel 2020. Prevede poi la definizione di programmi di gestione e prevenzione dei rifiuti e norme in materia di autorizzazioni, responsabilità, sanzioni e ispezione degli impianti.
Approvando una serie di emendamenti di compromesso negoziati dalla relatrice Caroline JACKSON (PPE/DE, UK) con il Consiglio, il Parlamento ha adottato definitivamente una direttiva «che stabilisce misure volte a proteggere l’ambiente e la salute umana prevenendo o riducendo gli impatti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti, riducendo gli impatti complessivi dell’uso delle risorse e migliorandone l’efficacia». La direttiva sottolinea inoltre che la politica in materia di rifiuti dovrebbe mirare anche a ridurre l'uso di risorse e, ricordando che la prevenzione dei rifiuti dovrebbe essere una priorità, rileva che «il riutilizzo e il riciclaggio dovrebbero preferirsi alla valorizzazione energetica dei rifiuti», in quanto rappresentano la migliore opzione ecologica. Gli Stati membri dovranno attuare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro 24 mesi dalla sua entrata in vigore.
Nella misura in cui sono contemplati da altra normativa comunitaria, sono esclusi dall'ambito di applicazione una serie di rifiuti quali le acque di scarico, taluni sottoprodotti di origine animale e le carcasse di animali morti per cause diverse dalla macellazione nonché i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento e dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave. Sono inoltre esclusi gli effluenti gassosi emessi in atmosfera, il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, i rifiuti radioattivi, i materiali esplosivi in disuso e la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati nell’attività agricola.
Gerarchia dei rifiuti: prima di tutto la prevenzione e la riduzione
La direttiva stabilisce una "gerarchia dei rifiuti" che stabilisce in generale un «ordine di priorità» di ciò che costituisce «la migliore opzione ambientale nella normativa e nella politica dei rifiuti». In testa alla gerarchia figura la prevenzione, ossia misure - prese prima che una sostanza, un materiale o un prodotto sia diventato un rifiuto - che riducono la quantità di rifiuti, anche attraverso il riutilizzo dei prodotti o l'estensione del loro ciclo di vita, gli impatti negativi dei rifiuti prodotti sull'ambiente e la salute umana oppure il contenuto di sostanze pericolose in materiali e prodotti. Segue poi la preparazione per il riutilizzo, ovvero le operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento.
Viene poi il riciclaggio, ossia qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i materiali di rifiuto sono ritrattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini. Esso include il ritrattamento di materiale organico ma non il recupero di energia né il ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o in operazioni di riempimento. Segue poi il recupero diverso dal riciclaggio, come il recupero di energia o altre operazioni il cui principale risultato sia di «permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali». A questo proposito, la direttiva precisa che gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani possono essere intesi come attività di recupero unicamente se rispondono a determinati requisiti di "efficienza energetica" fissati dalla direttiva stessa.
Vi è, da ultimo, lo smaltimento che consiste in qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando l'operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia, come il deposito in discarica, la biodegradazione di rifiuti liquidi o fanghi nei suoli, l’iniezione dei rifiuti pompabili in pozzi, in cupole saline o in faglie geologiche naturali, l'incenerimento o il deposito permanente (ad es. sistemazione di contenitori in una miniera). Al riguardo, la direttiva sottolinea che gli Stati membri «non dovrebbero promuovere, laddove possibile, lo smaltimento in discarica o l'incenerimento di materiali riciclati». Nell'applicare questa gerarchia dei rifiuti, precisa la direttiva, gli Stati membri devono adottare misure volte a incoraggiare le opzioni «che danno il miglior risultato ambientale complessivo». Devono anche tenere conto dei principi generali di precauzione e sostenibilità in materia di protezione dell'ambiente, della fattibilità tecnica e praticabilità economica, della protezione delle risorse nonché degli impatti complessivi sociali, economici, sanitari e ambientali.
Raccolta differenziata per aumentare di almeno il 50% il riutilizzo e il riciclaggio
Accogliendo quanto richiesto dai deputati, il compromesso chiede agli Stati membri di adottare le misure necessarie per promuovere il riutilizzo dei prodotti e le attività di preparazione al riutilizzo. Si tratta, in particolare, di incoraggiare la costituzione e il sostegno di reti di riutilizzo e di riparazione, di ricorrere a strumenti economici e a criteri per l'aggiudicazione degli appalti e di fissare obiettivi quantitativi. Gli Stati membri sono chiamati inoltre a prendere misure per promuovere il riciclaggio di alta qualità e, a tal fine, dovranno predisporre regimi di raccolta differenziata dei rifiuti, praticabili dal punto di vista ambientale ed economico, volti a garantire il rispetto dei necessari criteri qualitativi per i pertinenti settori di riciclaggio.
Entro il 2015, come chiesto dai deputati, gli Stati membri dovranno quindi istituire regimi di raccolta differenziata «almeno» per la carta, il metallo, la plastica e il vetro. Dovranno pertanto adottare le misure necessarie affinché, entro il 2020, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti domestici di carta, metallo, plastica e vetro (e, possibilmente, di altra origine) sia aumentata complessivamente almeno del 50% in termini di peso. Entro lo stesso anno, inoltre, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di altri materiali di recupero, incluse le operazioni di colmatazione che utilizzano i rifiuti in sostituzione di altri materiali, di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi, dovranno essere aumentati di almeno il 70% in termini di peso.
Spetterà alla Commissione stabilire le norme dettagliate di attuazione e di calcolo per verificare il raggiungimento di tali obiettivi e, entro il 2014, dovrà esaminare le misure e gli obiettivi per eventualmente proporne il rafforzamento e l'introduzione di obiettivi per altri flussi di rifiuti. Ogni tre anni, invece, gli Stati membri dovranno stilare una relazione in merito ai risultati ottenuti e, qualora gli obiettivi non fossero raggiunti, spiegarne le ragioni, illustrando le misure che intendono prendere per porvi rimedio.
Prevenzione, eco-design e responsabilità estesa dei produttori
A cinque anni dall'entrata in vigore della direttiva, gli Stati membri dovranno predisporre dei programmi di prevenzione dei rifiuti in cui sono tenuti a fissare «gli obiettivi di prevenzione», descrivere le misure di prevenzione esistenti e valutare l'utilità degli esempi di misure indicate dalla direttiva. Lo scopo di tali obiettivi e misure, è precisato, è «di dissociare la crescita economica dagli impatti ambientali connessi alla produzione dei rifiuti». La Commissione dovrà inoltre presentare una serie di relazioni accompagnate, se necessario, da proposte di misure a sostegno delle attività di prevenzione e di attuazione dei programmi.
Così, entro il 2014, dovrà fissare obiettivi di prevenzione e dissociazione dei rifiuti da raggiungere nel 2020, fondati sulle migliori prassi disponibili. Inoltre, entro il 2011, dovrà formulare un piano d'azione per ulteriori misure di sostegno a livello europeo volte, in particolare, «a modificare gli attuali modelli di consumo» e definire una politica di progettazione ecologica (eco-design) dei prodotti che riduca al contempo la produzione di rifiuti e la presenza in essi di sostanze nocive, favorendo tecnologie incentrate su prodotti sostenibili, riutilizzabili e riciclabili. Più in particolare, per rafforzare la prevenzione, il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti, gli Stati membri potranno adottare misure legislative o non legislative volte ad assicurare che qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi e tratti, venda o importi prodotti (produttore del prodotto) sia soggetto ad una responsabilità estesa. Tali misure, è precisato, potranno includere l'accettazione dei prodotti restituiti e dei rifiuti che restano dopo l'utilizzo di tali prodotti, nonché la successiva gestione dei rifiuti e la responsabilità finanziaria per tali attività. Potranno anche contemplare, come richiesto dai deputati, l’obbligo di mettere a disposizione del pubblico informazioni relative alla misura in cui il prodotto è riutilizzabile e riciclabile.
Gli Stati membri, inoltre, potranno adottare misure appropriate per incoraggiare una progettazione dei prodotti «volta a ridurre i loro impatti ambientali e la produzione di rifiuti durante la produzione e il successivo utilizzo dei prodotti e ad assicurare che il recupero e lo smaltimento dei prodotti che sono diventati rifiuti avvengano in conformità alle disposizioni della direttiva. Tali misure possono incoraggiare, tra l'altro, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti adatti all'uso multiplo, tecnicamente durevoli e che, dopo essere diventati rifiuti, sono adatti a un recupero adeguato e sicuro e a uno smaltimento compatibile con l'ambiente. Nell'applicare la responsabilità estesa del produttore, d’altra parte, gli Stati membri dovranno tenere conto «della fattibilità tecnica e della praticabilità economica» nonché «degli impatti complessivi sociali, sanitari e ambientali», rispettando l'esigenza di assicurare il corretto funzionamento del mercato interno.
Una gestione dei rifiuti che non danneggi la salute e l'ambiente
Come principio generale, gli Stati membri devono pendere le misure necessarie per garantire che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana, senza recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare, «senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, la flora o la fauna, senza causare inconvenienti da rumori od odori e senza danneggiare il paesaggio o i siti di particolare interesse». Devono inoltre garantire che, all'interno del loro territorio, gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale «conferiscano i rifiuti raccolti e trasportati agli appositi impianti di trattamento».
In forza alla direttiva, secondo il principio "chi inquina paga", i costi della gestione dei rifiuti devono essere sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti. Gli Stati membri, tuttavia, possono decidere che i costi della gestione dei rifiuti siano sostenuti parzialmente o interamente dal produttore del prodotto causa dei rifiuti e che i distributori di tale prodotto possano contribuire alla copertura di tali costi.
Gli Stati membri provvedono affinché le rispettive autorità competenti predispongano uno o più piani di gestione dei rifiuti che coprano, singolarmente o in combinazione tra loro, la totalità del loro territorio. Questi dovranno comprendere un’analisi della situazione della gestione dei rifiuti esistente nonché le misure da adottare per migliorare una preparazione per il riutilizzo, un riciclaggio, un recupero e uno smaltimento dei rifiuti corretti dal punto vista ambientale. Più in particolare, dovranno includere almeno il tipo, quantità e fonte dei rifiuti prodotti all'interno del territorio, i sistemi di raccolta dei rifiuti e grandi impianti di smaltimento e recupero esistenti, una valutazione della necessità di nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli impianti per i rifiuti esistenti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti e, se necessario, degli investimenti correlati, nonché le informazioni sufficienti sui criteri di riferimento per l’individuazione dei siti e la capacità dei futuri impianti di smaltimento o dei grandi impianti di recupero.
Autorizzazioni, responsabilità e sanzioni
La direttiva chiede agli Stati membri di imporre a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti di ottenere l’autorizzazione dell'autorità competente. Tale autorizzazione, che può essere concessa per un periodo determinato ed essere rinnovata, dovrà precisare almeno i tipi e i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati, i requisiti tecnici e di altro tipo applicabili al sito interessato, le misure precauzionali e di sicurezza da prendere, il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione, le operazioni di monitoraggio e di controllo che si rivelano necessarie e, infine, le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelano necessarie. L’autorizzazione dovrà essere negata qualora l'autorità competente ritenga che il metodo di trattamento previsto «sia inaccettabile dal punto di vista della protezione dell’ambiente». E' poi precisato che le autorizzazioni concernenti l'incenerimento o il coincenerimento con recupero di energia «sono subordinate alla condizione che il recupero avvenga con un livello elevato di efficienza energetica».
Gli enti o le imprese che effettuano operazioni di trattamento dei rifiuti, gli enti o le imprese che raccolgono o trasportano rifiuti a titolo professionale, gli intermediari e i commercianti nonché gli enti o le imprese che producono rifiuti pericolosi dovranno essere soggetti a adeguate ispezioni periodiche da parte delle autorità competenti. Le ispezioni relative alle operazioni di raccolta e di trasporto dei rifiuti dovranno riguardare «l’origine, la natura, la quantità e la destinazione dei rifiuti raccolti e trasportati».
Gli Stati membri potranno precisare le condizioni della responsabilità e decidere in quali casi il produttore originario conserva la responsabilità per l'intera catena di trattamento o in quali casi la responsabilità del produttore e del detentore può essere condivisa o delegata tra i diversi soggetti della catena di trattamento. Possono anche decidere che la responsabilità di provvedere alla gestione dei rifiuti sia sostenuta parzialmente o interamente dal produttore del prodotto causa dei rifiuti e che i distributori di tale prodotto possano condividere tale responsabilità. Gli Stati membri saranno inoltre tenuti a adottare le misure necessarie per vietare l'abbandono, lo scarico e la gestione incontrollata dei rifiuti e dovranno emanare le misure relative alle sanzioni da infliggere in caso di violazione delle disposizioni della direttiva e assicurarne l'applicazione. Le sanzioni dovranno essere «efficaci, proporzionate e dissuasive».
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Posizione comune del Consiglio
Riferimenti
Caroline JACKSON (PPE/DE, UK) Relazione sulla posizione comune del Consiglio in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive Procedura: Codecisione, seconda lettura Dibattito: 16.6.2008 Votazione: 17.6.2008 |
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Standard di qualità per le acque di superficie europee
Il Parlamento ha approvato definitivamente una direttiva che fissa standard di qualità ambientale per le acque di superficie dell'UE. Entro il 2018, gli Stati membri dovranno avvicinarsi ai limiti di concentrazione massima ammissibile nell'acqua per un elenco di 33 sostanze inquinanti, che possono anche essere pericolose, come il cadmio o il mercurio. Dovranno poi tenere un inventario delle emissioni, degli scarichi e delle perdite di tali inquinanti per ciascun bacino idrografico.
L’inquinamento chimico delle acque di superficie rappresenta una minaccia per l’ambiente acquatico, con effetti quali la tossicità acuta e cronica per gli organismi acquatici, l’accumulo negli ecosistemi e la perdita di habitat e di biodiversità, e una minaccia per la salute umana.
Approvando con 673 voti favorevoli, 10 contrari e 5 astensioni un pacchetto di emendamenti di compromesso negoziati con il Consiglio dalla relatrice Anne LAPERROUZE (ALDE/ADLE, FR), il Parlamento ha adottato definitivamente una direttiva volta a istituire, come previsto dalla "direttiva quadro sulle acque", standard di qualità ambientale (SQA) per gli inquinanti o gruppi di inquinanti che presentano un rischio significativo per l'ambiente acquatico, ossia le "sostanze prioritarie" e, all'interno di questa categoria, le sostanze "prioritarie pericolose". Gli Stati membri dovranno attuare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro 18 mesi dalla sua entrata in vigore.
Più in particolare, gli standard di qualità ambientale rappresentano «la concentrazione di un particolare inquinante o gruppo di inquinanti nelle acque, nei sedimenti e nel biota che non deve essere superata, per tutelare la salute umana e l'ambiente». Essi sono differenziati a seconda che si tratti di acque interne (fiumi e laghi) o di altra acque di superficie (di transizione, costiere e territoriali). Accogliendo la richiesta del Parlamento, la direttiva ricorda che la politica comunitaria in materia ambientale si basa sui principi di precauzione e d'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio "chi inquina paga". La Commissione dovrà verificare, entro il 2018, se gli Stati membri avranno fatto progressi verso l'osservanza degli obiettivi di riduzione graduale dell'inquinamento causato dalle "sostanze prioritarie" e di arresto o eliminazione graduale di emissioni, scarichi e perdite di "sostanze prioritarie pericolose". La data del 2018 rappresenta un compromesso tra la proposta del Consiglio di fissarla al 2025 e quella del Parlamento di anticiparla al 2015.
In totale sono 33 le sostanze considerate prioritarie e, tra queste, tredici sono identificate come pericolose, ad esempio il cadmio e il mercurio e gli idrocarburi policiclici aromatici. I deputati avrebbero auspicato introdurre altre 14 sostanze, tra le quali le diossine e i PCB, in un elenco di quelle da dover esaminare per valutare il loro inserimento tra le sostanze "prioritarie" o "pericolose prioritarie". Il compromesso raggiunto, fatto salvo per l'ETBE, prevede che la Commissione, entro due anni dall'entrata in vigore della direttiva, dovrà considerare questa possibilità e renderne conto al Parlamento europeo e al Consiglio, avanzando eventualmente proposte per identificare nuove sostanze prioritarie e nuove sostanze prioritarie pericolose, e fissare, degli Standard di qualità ambientale per le acque di superficie, i sedimenti o il biota, se necessario.
In una prima fase si è ritenuto opportuno, per la maggior parte delle sostanze, limitare la definizione di SQA a livello comunitario alle sole acque di superficie. Tuttavia, per garantire una protezione contro gli effetti indiretti e l’avvelenamento secondario provocato da esaclorobenzene, esaclorobutadiene e mercurio, gli Stati membri possono decidere di applicare gli SQA per i sedimenti e/o il biota (pesci, molluschi, crostacei e altro biota).
In prossimità degli scarichi da fonti puntuali le concentrazioni degli inquinanti sono di solito più elevate delle concentrazioni ambiente nelle acque. Pertanto, gli Stati membri dovrebbero poter avvalersi di "zone di mescolamento" adiacenti ai punti di scarico, in cui le concentrazioni di uno o più inquinanti possano superare gli SQA applicabili a condizione, però, che «tale superamento non abbia conseguenze sulla conformità del resto del corpo idrico superficiale ai suddetti standard». Gli Stati membri che ricorrono a questa possibilità, dovranno descrivere nei piani di gestione dei bacini idrografici elaborati a norma della direttiva quadro sulle acque gli approcci e le metodologie applicati per ottenere tali zone. Come richiesto dai deputati, dovranno anche descrivere le misure adottate al fine di ridurre in futuro le dimensioni delle zone di mescolamento.
Gli Stati membri dovranno inoltre assicurare che l'estensione di ciascuna di tali zone sia limitata alle vicinanze del punto di scarico e sia proporzionata, «conformemente all'applicazione delle migliori tecniche disponibili». Come richiesto dai deputati, la Commissione dovrà definire, secondo la procedura di regolamentazione, il metodo che gli Stati membri devono applicare per individuare le zone di mescolamento.
In base alle informazioni raccolte o ad altri dati disponibili, gli Stati membri dovranno istituire un inventario, corredato di eventuale mappatura, delle emissioni, degli scarichi, delle perdite di sostanze prioritarie e degli inquinanti indicati dalla direttiva per ciascun bacino idrografico o parte di esso all’interno del loro territorio specificandone, se necessario, le concentrazioni per i sedimenti e il biota. Spetterà alla Commissione stabilire le specifiche tecniche per le analisi nonché il metodo che gli Stati membri dovranno utilizzare per istituire gli inventari.
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Posizione comune del Consiglio
Riferimenti
Anne LAPERROUZE (ALDE/ADLE, FR) Relazione relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque e recante modifica delle direttive 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/CEE, 86/280/CEE e 2000/60/CE Procedura: Codecisione, seconda lettura Dibattito: 16.6.2008 Votazione: 17.6.2008 |
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Il Parlamento ha approvato definitivamente un regolamento volto a migliorare la sicurezza di pedoni e ciclisti in caso d'urto con veicoli a motore attraverso il rafforzamento di alcune norme per l'omologazione di auto, SUV e veicoli commerciali leggeri. Si tratta, in particolare, di introdurre un dispositivo omologato di assistenza alla frenata (che rafforza l'efficacia dell'ABS) e di garantire minori danni in caso d'urto frontale. Dovranno inoltre essere esaminati i sistemi anticollisione.
Si stima che ogni anno, nell'UE25, vengono uccisi 8.000 utenti della strada vulnerabili, tra ciclisti e pedoni, mentre 300.000 riportano lesioni a causa degli incidenti. Obiettivo della proposta è rafforzare i requisiti comunitari volti ad accrescere la sicurezza dei pedoni e degli altri utenti della strada vulnerabili in caso di lesioni dovute all’urto con un veicolo a motore. Tali requisiti sono attualmente contenuti nella direttiva 2003/102/CE ma, da una valutazione di fattibilità, è emerso che alcuni di questi «non sono applicabili».
Approvando con 642 voti favorevoli, 8 contrari e 7 astensioni la relazione di Francesco FERRARI (ALDE/ADLE, IT), il Parlamento ha fatto proprio un maxi-emendamento di compromesso negoziato dal relatore con il Consiglio sul regolamento che stabilisce i requisiti per la costruzione e il funzionamento dei veicoli e dei sistemi di protezione frontale al fine di ridurre il numero e la gravità delle lesioni subite dai pedoni e dagli altri utenti della strada vulnerabili in caso di urto. Il nuovo regolamento, che accoglie gran parte delle richieste dei deputati, è direttamente applicabile e sarà il fondamento giuridico di tutta una serie di prove o test volti a garantire un livello adeguato di sicurezza in casi d'urto.
Il regolamento si applica ai veicoli progettati e costruiti per il trasporto di persone, aventi al massimo otto posti a sedere oltre al sedile del conducente (categoria M1), ai veicoli progettati e costruiti per il trasporto di merci, aventi massa massima non superiore a 3,5 t (categoria N1) e ai sistemi di protezione frontale montati come elementi originali su tali veicoli o commercializzati come entità tecniche separate da montare sugli stessi veicoli. Per i veicoli commerciali e le automobili private derivate dai veicoli commerciali (con una massa superiore a 2.500 kg) che hanno una specifica caratteristica nella posizione del conducente sono previste delle deroghe.
Sistema di assistenza alla frenata
In forza al regolamento, i costruttori dovranno garantire che i veicoli commercializzati saranno dotati di un dispositivo omologato di assistenza alla frenata conforme ai requisiti fissati dal provvedimento stesso. Si tratta del sistema BAS (Brake assistant system) che assiste il conducente nel caso in cui non imprima sul pedale del freno la forza necessaria per attivare l'ABS (Anti-lock braking system). In mancanza, si provoca infatti un allungamento della frenata comportando, perciò, un rischio. In altre parole, se in caso di emergenza il pedale del freno non fosse pigiato con la necessaria forza, il BAS applicherebbe la pressione massima possibile istantaneamente. Sarebbe l'ABS ad occuparsi del non bloccaggio delle ruote, senza il quale il BAS non potrebbe esistere.
Per quanto riguarda il calendario d'attuazione di questa norma, il compromesso accoglie la proposta della Commissione di imporre alle case automobilistiche l'obbligo di dotare di tale dispositivo i nuovi "tipi di veicoli" (ossia quelli non ancora sul mercato) entro 9 mesi, ma anticipa da 78 a 72 mesi il termine per quelli commerciali. Nel caso invece dei "nuovi veicoli", quelli già omologati in base alle attuali norme, tale termine è fissato a 24 mesi, anche per le auto di massa superiore al 2.500 kg (in pratica i grandi SUV) per le quali la Commissione aveva proposto 78 mesi. Per i veicoli commerciali è invece confermata la scadenza di 78 mesi.
Protezione frontale
Le autorità nazionali dovranno rifiutare di rilasciare l’omologazione CE o l’omologazione nazionale ad un nuovo tipo di veicolo dotato di un sistema di protezione frontale o ad un nuovo tipo di sistema di protezione frontale fornito come entità tecnica separata, che non risulti conforme ai requisiti del regolamento. Le autorità nazionali, per motivi inerenti alla protezione dei pedoni, dovranno quindi considerare i certificati di conformità non validi, rifiutare l’immatricolazione e vietare la vendita e la messa in circolazione dei veicoli nuovi che non rispettano le condizioni stabilite.
Questi requisiti riguardano una serie di crash test per valutare le conseguenze di un urto tra il sistema di protezione frontale e un pedone. Più in particolare, si tratta di testare l'urto dell’arto inferiore contro il paraurti, della coscia contro il bordo anteriore del cofano e della testa di bambino e di un adulto contro la superficie del cofano, della coscia contro il bordo anteriore del cofano e della testa di un adulto contro il parabrezza. Occorre anche realizzare delle prove volte ad individuare la soglia di funzionamento in cui si attiva il sistema antibloccaggio dei freni (ABS) e a verificare che il dispositivo di assistenza alla frenata si attivi correttamente in modo da assicurare la massima decelerazione del veicolo.
Per quanto riguarda i tempi d'attuazione di tale disposizione, distinta in due fasi, il compromesso anticipa la fine della prima fase per i nuovi veicoli al 31 dicembre 2012, rispetto alla proposta della Commissione che prevedeva 5 anni dall'adozione del provvedimento (ossia giugno 2013). Anche per la seconda fase - che va distinta tra nuovi tipi di veicoli e veicoli nuovi e, all'interno di queste categorie, in funzione della loro massa e della loro destinazione (commerciale o no) - il compromesso anticipa di 6-12 mesi (rispetto alla proposta della Commissione) il periodo entro cui si deve ottemperare ai requisiti fissati dal regolamento. Più in particolare, si va da 48 mesi (contro 56) per i nuovi tipi di auto con massa inferiore a 2.500 kg a 126 mesi (contro 138) per i nuovi veicoli di peso superiore (i SUV) e per i veicoli commerciali.
Sistemi anticollisione
Come richiesto dai deputati, sulla base di una valutazione della Commissione, i veicoli equipaggiati con sistemi anticollisione potranno non essere tenuti a soddisfare alcuni requisiti stabiliti dal regolamento relativi alle prove ai fini del rilascio di un’omologazione CE o nazionale riguardo alla protezione dei pedoni, oppure per l’immatricolazione e la messa in circolazione.
Attualmente, però, non esistono sul mercato sistemi anticollisione che siano effettivamente sempre in grado di identificare correttamente i pedoni o altri utenti vulnerabili e potrebbero essere necessari diversi anni prima che questo dispositivo di sicurezza attiva possa eventualmente sostituire le disposizioni di sicurezza passiva (progettazione dei veicoli). Pertanto, la Commissione, previa valutazione dell'utilizzazione di queste tecnologie, potrà proporre modifiche al regolamento, fermo restando che qualsiasi misura proposta garantisca livelli di protezione almeno equivalenti, in termini di efficacia effettiva, a quelli raggiunti con i requisiti indicati dal regolamento.
Valutazione e eventuali modifiche
In forza al regolamento, dopo cinque anni dalla sua entrata in vigore e in seguito ogni anno, le autorità nazionali saranno tenute a fornire alla Commissione i risultati del monitoraggio sulla prova d'urto della coscia contro il bordo anteriore del cofano ad una velocità d'urto di 40 km/h e sulla prova d'urto della testa di adulto contro il parabrezza a 35 km/h. In base ai risultati del monitoraggio la Commissione potrà adottare opportune misure di attuazione, intese modificare elementi non essenziali del regolamento.
Sulla base delle informazioni pertinenti comunicate dalle autorità di omologazione e dalle parti interessate e di studi indipendenti, dovrà inoltre seguire gli sviluppi tecnici del rafforzamento dei requisiti di sicurezza passiva, del servofreno e di altre tecnologie di sicurezza attiva che possano garantire una miglior protezione di utenti della strada vulnerabili. Entro cinque anni dall'entrata in vigore del regolamento, poi dovrà valutare la fattibilità e l'utilizzo di tali requisiti rafforzati di sicurezza passiva, e valutare il funzionamento del provvedimento, con riferimento all'impiego e all'efficacia del servo freno e di altre tecnologie. La Commissione dovrà presentare una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio accompagnata da opportune proposte in materia.
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Maxi-emendamento di compromesso
Riferimenti
Francesco FERRARI (ALDE/ADLE, IT) Relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla protezione dei pedoni e degli altri utenti della strada vulnerabili Procedura: Codecisione, prima lettura Dibattito: 16.6.2008 Votazione: 18.6.2008 |
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Più automobili "intelligenti" sulle strade europee
Il Parlamento sottolinea che i sistemi di automobili intelligenti possono contribuire a ridurre la congestione l'inquinamento e il numero e la gravità degli incidenti stradali. Chiede poi di promuovere l'iniziativa eSafety nonché di introdurre incentivi a favore di strumentazioni ecologiche e di sicurezza nonché un sistema di chiamate di emergenza a bordo. Dispositivi di controllo elettronico di stabilità e "strade intelligenti" possono poi agevolare la sicurezza stradale e ridurre le vittime della strada.
I sistemi di automobili intelligenti possono contribuire a ridurre «la congestione, l'inquinamento nonché il numero e la gravità degli incidenti stradali». E' quanto sostiene il Parlamento approvando - con 417 voti favorevoli, 6 contrari e 5 astensioni - la relazione di Zita GURMAI (PSE, HU) che si congratula dell'iniziativa per "l'Automobile intelligente" e dei progressi raggiunti nei suoi tre pilastri (coordinamento delle parti interessate, sviluppo tecnologico e della ricerca e sensibilizzazione del pubblico). Il Parlamento, tuttavia ritiene che il tasso di penetrazione sul mercato di tali veicoli «è ancora troppo ridotto».
Il Parlamento chiede agli Stati membri di promuovere le iniziative eSafety e di esservi associati più attivamente attraverso iniziative tecnologiche congiunte. Ritiene inoltre necessario prevedere altri incentivi per gli investimenti privati nel campo della ricerca e dello sviluppo e a favore di strumentazioni ecologiche e di sicurezza del veicolo. Invita quindi le parti interessate a prendere misure appropriate per garantire che questi nuovi dispositivi siano accessibili, incrementando così la domanda dei consumatori.
Ricordando che eCall, il sistema di chiamate di emergenza a bordo dei veicoli, «potrebbe salvare 2.500 vite ogni anno in Europa se fosse applicato pienamente», il Parlamento sottolinea che l'Istituto europeo per le norme di telecomunicazione (ETSI) dovrebbe definire una norma europea aperta per l'introduzione di tale servizio a livello europeo. Si compiace peraltro dei negoziati sull'accordo volontario per l'inclusione di tale misura quale un'opzione standard su tutti i nuovi veicoli dal 2010 in poi e sollecita gli Stati membri a firmare il Memorandum d'intesa «possibilmente entro il primo semestre 2008», per incoraggiare la rapida introduzione di questo dispositivo «potenzialmente salvavita». Invita poi la Commissione a sviluppare il quadro normativo ai fini di una piena armonizzazione delle normali chiamate di emergenza (112) a livello dell'UE.
I deputati, sottolineano inoltre che se tutte le autovetture disponessero di un controllo elettronico di stabilità, ogni anno, sulle strade europee, si potrebbero «salvare 4.000 vite ed evitare 100.000 feriti». Aggiungono peraltro che l'obiettivo dichiarato dalla Commissione è di giungere al 100% di installazioni in tutti i nuovi veicoli dal 2012 in poi ed accolgono con favore i negoziati per un accordo internazionale su un regolamento tecnico globale «che contenga anche le caratteristiche tecniche del sistema elettronico di controllo della stabilità (ESC)». Infrastrutture e strade "intelligenti"
Secondo i deputati, la sicurezza stradale può
trarre beneficio da una migliore interazione tra apparecchiature
intelligenti a bordo dei veicoli e dispositivi integrati nelle
infrastrutture. Sollecitano quindi le parti interessate a creare un
"ambiente intelligente" adeguato sulle strade e all'interno
dell'infrastruttura in modo che nuovi dispositivi intelligenti - tra
cui una migliore gestione della capacità stradale e sistemi di
monitoraggio stradale intelligenti (in tempo reale) - possano
funzionare adeguatamente ed essere utilizzati a pieno.
L'iniziativa "auto intelligente", a loro parere, non può infatti
essere portata a termine se separata dalle iniziative "strade
intelligenti". Accolgono pertanto con favore l'impegno ad
avviare, a partire dal 2008, «un programma per predisporre
l'integrazione di sistemi cooperativi all'interno delle
infrastrutture di trasporto». Incentivi, prevenzione e formazione
I deputati invitano gli Stati membri e la Commissione a portare avanti gli sforzi per elaborare incentivi fiscali all'acquisto di veicoli ecologici e dotati di dispositivi di sicurezza intelligenti, oltre agli incentivi esistenti per l'acquisto di auto meno inquinanti. Gli Stati membri, la Commissione e l'industria automobilistica, nonché le agenzie automobilistiche e le scuole guida dovrebbero inoltre fornire informazioni, brevi, chiare e comprensibili nel quadro delle campagne di sensibilizzazione per informare il più vasto pubblico possibile sui sistemi di automobili intelligenti.
Il Parlamento chiede di accompagnare gli incentivi introdotti con misure di prevenzione e di formazione per la sicurezza stradale a favore dei conducenti e sollecita gli Stati membri a sostenere tali misure con adeguate disposizioni volte a sanzionare gli eventuali trasgressori. A suo parere, infatti, i sistemi di sicurezza tecnologici contribuiscono spesso a «dare un maggior senso di sicurezza e possono comportare una guida meno responsabile da parte del conducente». Inoltre, ricorda che l'UE non è ancora riuscita a raggiungere l'obiettivo di dimezzare rispetto al 2001 il numero delle vittime della strada entro il 2010. E' pertanto di primaria importanza un'adeguata preparazione degli automobilisti che ne promuova una guida più intelligente.
Ritiene inoltre che gli organismi di formazione dovrebbero insegnare come reagire nelle situazioni di emergenza ed invita a sviluppare nuovi sistemi di prevenzione degli incidenti, come «nuovi materiali e interconnessioni automatiche attraverso sensori attivi, sia da veicolo a veicolo, che da veicolo a strada».
Riduzione delle emissioni
L'industria automobilistica dovrebbe tenere conto, al momento della concezione di nuove vetture, di nuovi dispositivi di sicurezza, ma prevedere anche dispositivi per misurare e visualizzare il consumo di energia e i dati ambientali, come le reali emissioni di CO2 e particolato. Il Parlamento ricorda infatti che sistemi basati sulla tecnologia dell'informazione e della comunicazione possono contribuire a ridurre le emissioni inquinanti mediante «una gestione più efficiente del traffico, una riduzione dei consumi di carburante e un'agevolazione della guida compatibile con l'ambiente». Sottolinea, tuttavia, che è anche possibile ridurre le emissioni attraverso «semplici misure note da tempo», come sedili o pneumatici dal peso ridotto, accumulatori di calore del motore o recupero dell'energia frenante, che tuttavia non sono ancora state integrate in molti veicoli.
Background
L’iniziativa “automobile intelligente” è uno dei progetti faro di i2010, il quadro d’azione strategica della Commissione europea per la società dell’informazione e i media, inteso a promuovere il contributo positivo che le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (TIC) possono apportare all’economia, alla società e alla qualità di vita, incluso il settore dei trasporti. La Commissione ha individuato tre pilastri o settori per la promozione dei sistemi per veicoli intelligenti: il forum eSafety, la ricerca e lo sviluppo, e la sensibilizzazione degli utenti.
Il forum eSafety è una piattaforma
comune che coinvolge le parti interessate alla sicurezza stradale e
ha l’obiettivo di promuovere e monitorare l’attuazione delle
raccomandazioni formulate dal suo gruppo di lavoro e sostenere lo
sviluppo, l’introduzione e l’utilizzo di sistemi di sicurezza
intelligenti nei veicoli. La comunicazione riferisce i progressi
compiuti nell’ambito delle 12 azioni individuate entro i tre
pilastri suddetti e specificate nella precedente comunicazione della
Commissione sull’iniziativa “automobile intelligente”:
“Sensibilizzazione all’uso delle TIC per dei veicoli più
intelligenti, più sicuri e più puliti”.
Il sistema eCall, invece, è un sistema paneuropeo di chiamate di emergenza a bordo dei veicoli che, in caso di incidente, chiama automaticamente i servizi di soccorso, fornendo l’esatta posizione del veicolo. Si stima che, se divenisse pienamente operativo in tutta l’Unione, tale sistema potrebbe salvare ogni anno fino a 2500 vite umane. La firma del Memorandum d’intesa su eCall è volontaria ed è intesa a riflettere l’impegno dei firmatari a sostenere l’attuazione tempestiva del sistema.
Link utili
Comunicazione della Commissione "i2010 – Relazione annuale 2007
sulla società dell'informazione" (COM(2007) 146) (30.3.2007)
Riferimenti
Zita GURMAI (PSE, HU) Relazione sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato per le regioni: Verso una mobilità più sicura, più pulita e più efficiente a livello europeo: prima relazione sull'iniziativa "automobile intelligente" Procedura: Iniziativa Dibattito: 19.6.2008 Votazione: 19.6.2008 |
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Verso una rete stradale europea più sicura
Il Parlamento ha adottato definitivamente una direttiva che impone valutazioni d’impatto e audit sulla sicurezza stradale nonché misure per la gestione e le ispezioni della sicurezza. Suggerisce anche una serie di misure per rendere le infrastrutture più sicure, specie se ad alto tasso di incidenti, come il miglioramento della segnaletica e del manto stradale o la costruzione di corsie di emergenza e di aree di sosta. L'obiettivo è di contribuire alla riduzione delle vittime della strada.
L’obiettivo della direttiva è assicurare che l’infrastruttura contribuisca a migliorare la sicurezza stradale ed a ridurre il tasso di mortalità nonché il numero di incidenti sulla rete stradale transeuropea dell’Unione. Nonostante l'ambizioso obiettivo di dimezzare il numero di morti sulle strade nel 2010, portandoli da 50.000 a 25.000, nel 2005 si sono contati infatti 41.500 decessi. D'altra parte, si potrebbero salvare molte vite ed evitare molti incidenti se l’infrastruttura stradale esistente fosse gestita secondo le migliori e più recenti pratiche in materia di ingegneria della sicurezza. Anche perché le condizioni del traffico si sono modificate da quando le strade sono state progettate e costruite.
Approvando con 498 voti favorevoli, 8 contrari e 6 astensioni la relazione di Helmuth MARKOV (GUE/NGL, DE), il Parlamento ha accolto un pacchetto di emendamenti di compromesso negoziati con il Consiglio che permette l'adozione definitiva di una direttiva che richiede la messa a punto e l'attuazione di procedure relative alle valutazioni d’impatto e agli audit sulla sicurezza stradale, alla gestione della sicurezza della rete stradale ed alle ispezioni di sicurezza da parte degli Stati membri. La direttiva potrà quindi entrare in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’UE, dopo di ché gli Stati membri avranno al massimo due anni per attuare le sue disposizioni.
La direttiva si applica alle strade che fanno parte della rete pubblica transeuropea, «siano esse in fase di progettazione, in costruzione o già funzionanti». Le tratte interessate sono indicate nell'allegato di una decisione del 1996 il cui testo è consultabile tramite il link in calce (quelle italiane sono indicate a pagina 28). Ma suggerisce agli Stati membri di applicare le sue disposizioni, «come codice di buone prassi», alle infrastrutture nazionali di trasporto stradale non comprese nella rete TEN-T e costruite con il finanziamento parziale o totale della Comunità.
Valutazione d’impatto sulla sicurezza stradale
Con “valutazione d’impatto sulla sicurezza stradale”, la direttiva intende «un’analisi comparativa strategica dell’impatto di una nuova strada o di una modifica sostanziale della rete esistente sul livello di sicurezza della rete stradale». Gli Stati membri dovranno assicurare che una tale valutazione sia effettuata per tutte le diverse varianti dei progetti d’infrastruttura, durante la fase di pianificazione iniziale, anteriormente all’approvazione del progetto d’infrastruttura, impegnandosi a rispettare i criteri stabiliti dalla direttiva stessa. La valutazione d’impatto dovrà anche esporre le considerazioni in materia di sicurezza stradale che hanno contribuito a scegliere la soluzione proposta. Dovrà inoltre fornire le informazioni necessarie all’analisi costi/benefici delle diverse opzioni valutate.
Audit della sicurezza stradale
Con "audit della sicurezza stradale", la direttiva intende un «controllo indipendente accurato, sistematico e tecnico delle caratteristiche di un progetto di costruzione di un’infrastruttura stradale dal punto di vista della sicurezza, nelle diverse fasi dalla pianificazione all’inizio del funzionamento». Gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie affinché siano effettuati tali audit «per tutti i progetti d’infrastruttura», adoperandosi per rispettare i criteri indicati nella direttiva stessa. Dovranno inoltre garantire che venga designato un revisore, dotato delle necessarie competenze, per effettuare l’audit delle caratteristiche di ideazione di un progetto d’infrastruttura. L’audit dovrà inoltre costituire parte integrante del processo di ideazione del progetto d’infrastruttura nelle fasi dello studio di fattibilità, degli studi preliminari, della progettazione particolareggiata, nella fase di ultimazione e nella prima fase di funzionamento. In una relazione, il revisore dovrà definire, per ciascuna fase del progetto, gli aspetti della progettazione «che possono rivelarsi critici per la sicurezza». Se, nonostante gli aspetti pericolosi messi in evidenza nel corso dell’audit, la progettazione non venisse rettificata, l’organo competente sarebbe tenuto a giustificare tale scelta. In ogni caso, gli Stati membri dovranno garantire che la relazione «si traduca in raccomandazioni rilevanti da un punto di vista della sicurezza stradale».
Classificazione delle rete stradale e misure per ridurre gli incidenti
La “classificazione delle sezioni ad alta concentrazione di incidenti" è definita come un metodo per identificare, analizzare e classificare sezioni della rete stradale aperta al traffico da oltre tre anni ed in cui è stato registrato un numero considerevole di incidenti mortali o gravi in rapporto al volume di traffico. Come richiesto dai deputati, gli Stati membri dovranno provvedere affinché la classificazione dei tratti stradali che presentano un alto tasso di incidenti e la classificazione della sicurezza sulla rete stradale siano effettuate sulla base di un esame del funzionamento della rete stradale con cadenza almeno triennale. In tale ambito dovranno adoperarsi per rispettare i criteri stabiliti dalla direttiva stessa.
Gli Stati membri dovranno inoltre provvedere affinché le sezioni che mostrano un alto livello di priorità siano valutate da pool di esperti mediante visite in loco ed è su queste tratte che dovranno concentrasi gli interventi correttivi. La priorità dovrà essere data a misure quali l'eliminazione degli ostacoli fissi al margine della strada, la limitazione della velocità, il miglioramento della visibilità, il miglioramento delle condizioni di sicurezza delle attrezzature al margine della strada come i sistemi di ritenuta stradale, il miglioramento della segnaletica orizzontale (inclusa l’applicazione di rallentatori sonori) e verticale, la protezione contro la caduta di sassi e il miglioramento dell’aderenza/ruvidità del fondo stradale.
Si potrà anche intervenire concependo nuovi sistemi di ritenuta stradale, inserendo barriere protettive al centro strada, riconcependo gli schemi di sorpasso, migliorando incroci, svincoli e passaggi a livello, modificando la larghezza stradale, aggiungendo una corsia d’emergenza, installando dispositivi di gestione e di controllo del traffico, eliminando i potenziali conflitti con gli utenti della strada più vulnerabili, migliorando o sostituendo il manto stradale. Nell'accogliere una richiesta dei deputati, tali misure potranno anche comprendere il ricorso a segnali stradali intelligenti nonché il miglioramento dei sistemi di trasporto intelligenti e dei servizi telematici ai fini dell'interoperabilità, dell'emergenza e della segnaletica.
Infine, facendo proprio un suggerimento dei deputati, il compromesso sottolinea che La creazione di un numero sufficiente di parcheggi e di aree di sosta lungo le strade «riveste enorme importanza per la sicurezza del traffico, oltre a costituire un deterrente per la criminalità». I parcheggi, infatti, «consentono ai conducenti dei veicoli di concedersi per tempo una sosta e di proseguire il viaggio con piena concentrazione». La creazione di un numero sufficiente di parcheggi e di aree di sosta sicure «deve pertanto costituire parte integrante della gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali».
Ispezioni di sicurezza
In forza al compromesso, gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie affinché le strade aperte al traffico costituiscano l’oggetto di ispezioni di sicurezza destinate ad individuare i rischi connessi alla sicurezza stradale e di prevenire gli incidenti. Queste dovranno comprendere - con frequenza sufficiente a garantire la sicurezza - ispezioni periodiche delle rete stradale e il controllo del possibile impatto dei lavori in corso sulla sicurezza del flusso di traffico. Gli Stati membri dovranno anche adottare orientamenti relativi alle misure di sicurezza temporanee applicabili ai lavori stradali.
Link utili
Proposta della Commissione
Riferimenti
Helmuth MARKOV (GUE/NGL, DE) Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali Procedura: Codecisione, prima lettura Dibattito: 18.6.2008 Votazione: 19.6.2008 |
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Il Parlamento disapprova la proposta della Commissione volta a autorizzare il ricorso a antimicrobici per il trattamento di pollame destinato al consumo umano e chiede al Consiglio di respingerla. Per i deputati, tale pratica minaccia gli elevati standard comunitari e porrebbe problemi di competitività dei produttori europei. Il trattamento, inoltre, rischia di minare la fiducia dei consumatori europei nei prodotti alimentari venduti nell'Unione europea.
Approvando con 526 voti favorevoli, 27 contrari e 11 astensioni una risoluzione sostenuta da tutti i gruppi politici (eccetto l'IND/DEM), il Parlamento esprime la propria disapprovazione nei confronti della proposta della Commissione volta a autorizzare l'utilizzazione di quattro antimocrobici per il trattamento delle carcasse di pollame destinate al consumo umano nell'Unione europea, e in vita quindi il Consiglio a respingerla.
Il Parlamento ritiene infatti che l'autorizzazione di questi quattro trattamenti antimicrobici «rappresenta una grave minaccia per le norme e gli standard comunitari e va a contrastare gli sforzi e gli adeguamenti realizzati dai professionisti del settore del pollame per ridurre i tassi d'infezione batterica nell'UE». Sottolinea poi che una tale autorizzazione infliggerebbe «un duro colpo anche alla politica comunitaria in materia e alla sua credibilità quando si tratta di far valere standard elevati di sicurezza e igiene alimentari a livello internazionale».
D'altra parte, il Parlamento sottolinea i considerevoli investimenti effettuati in questo ambito dai professionisti europei del settore del pollame, in conformità della legislazione comunitaria, per ridurre la contaminazione da agenti patogeni applicando un approccio che include l'intera catena alimentare. Mentre gli USA «si limitano ad applicare una poco costosa soluzione a valle». E, al riguardo, ritenendo che l'approccio UE «sia più sostenibile ... rispetto alla ... decontaminazione con sostanze antimicrobiche», esprime la preoccupazione che l'autorizzazione d'importazione di tali carni possa portare a un indebolimento delle norme europee.
Inoltre, il Parlamento sottolinea che la proposta in questione «non corrisponde alle esigenze dei cittadini europei in materia di sicurezza e igiene alimentari né alla domanda di modelli di produzione, in Europa e altrove, che mantengano elevati standard igienici in tutto il processo di produzione e di distribuzione». E rischia di minare la fiducia dei consumatori europei nei prodotti alimentari venduti nell'Unione europea.
E' stato invece respinto l'emendamento - presentato dal PPE/DE - che chiedeva di avviare negoziati con il governo USA in vista della sospensione delle restrizioni alle importazioni legate ai metodi fitosanitari dell'UE con riferimento al pollame e ad altri prodotti agricoli.
Link utili
Regolamento (CE) n.2160/2003 sul controllo della salmonella e di altri agenti zoonotici specifici presenti negli alimenti (17.11.2003)
Riferimenti
Risoluzione comune sull'autorizzazione del pollo al cloro Procedura: Risoluzione comune Dibattito: 17.6.2008 Votazione: 19.6.2008 |
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Più sostegno al settore ovicaprino dell'UE
La produzione ovicaprina in Europa è in grave declino. Il Parlamento sollecita il rilancio del settore con una concreta riforma e un ulteriore sostegno finanziario, specie ai produttori tradizionali. Incoraggia poi la vendita diretta contro gli abusi di potere dei supermercati e l'indicazione in etichetta dell'origine dei prodotti. Suggerisce campagne promozionali per rilanciare i consumi di carni DOP e IGP, anche con l'aiuto di grandi chef, e chiede di migliorare la lotta alle epizoozie.
L'allevamento ovicaprino, compreso l'allevamento di razze tradizionali, svolge un ruolo ambientale fondamentale, tra cui la preservazione delle zone meno fertili e la salvaguardia del paesaggio e di ecosistemi sensibili, e contribuisce a proteggere la fauna selvatica e a ripulire gli spazi naturali dalla materia vegetale secca, «il che è essenziale, nei paesi mediterranei, ai fini della prevenzione degli incendi». E' quanto sostiene il Parlamento approvando - con 492 voti favorevoli, 30 contrari e 9 astensioni - la relazione di Liam AYLWARD (UEN, IE). Il Parlamento riconosce quindi l'urgente necessità di un intervento della Commissione e del Consiglio Agricoltura «per garantire un futuro redditizio e sostenibile della produzione di latte e di carni d'origine ovicaprina in Europa, per rilanciare il consumo dei prodotti in questione e per mantenere e attirare giovani allevatori ovicaprini verso tale settore».
Ricorda infatti che tale settore, che si concentra nelle zone svantaggiate, sta subendo un grave declino in termini di produzione e un esodo di produttori. La Commissione e la Presidenza del Consiglio dovrebbero poi istituire una task force, composta di funzionari di alto livello della Commissione e dei paesi delle quattro prossime presidenze dell'Unione, che coordini la riforma concreta del settore ovicaprino nell'UE.
Sollecita inoltre un ulteriore sostegno finanziario urgente per i produttori di latte e di carni di origine ovicaprina dell'UE al fine di sviluppare una produzione ovicaprina europea «dinamica, autosufficiente, orientata al mercato e al consumatore». Chiede poie stanziamenti di pagamento supplementari per gli allevatori tradizionali di razze ovicaprine rare e regionali delle zone di montagna e di altre aree con particolari difficoltà, «al fine di preservare gli ovini e la varietà biologica dell'agricoltura in determinate zone sensibili». Sottolinea inoltre la necessità di incoraggiare la produzione di latte ovicaprino «soprattutto per garantire l'esistenza dell'intera catena di trasformazione del latte e la produzione di formaggi la cui tipicità e qualità sono ampiamente riconosciute».
Trasparenza dei prezzi, vendita diretta e indicazione dell'origine
Sottolineando che gli utili dei produttori di carne ovina, in termini di percentuale del prezzo al dettaglio, «sono insufficienti», i deputati ribadiscono la richiesta alla Commissione «di esaminare e porre rimedio agli abusi di potere da parte dei grandi supermercati che operano nell'UE». Invitano poi la Commissione a prevedere sistemi di vendita diretta da parte dei produttori e delle organizzazioni di produttori per «limitare gli aumenti artificiosi di prezzo» ed a presentare proposte sulla trasparenza dei prezzi nel settore, per fornire informazioni ai consumatori e ai produttori sui prezzi dei prodotti. Inoltre, sollecitano le predisposizione di programmi che incoraggino i produttori a riunirsi in consorzi di produzione e commercializzazione diretta nonché a produrre e ad etichettare determinate qualità di carni e prodotti lattieri ovicaprini (ad esempio produzioni biologiche o specialità regionali).
Il Parlamento suggerisce di introdurre
un sistema di regolamentazione obbligatorio delle etichette, a
livello UE, per i prodotti a base di carne ovina. Tale sistema
dovrebbe prevedere, tra le altre cose, l'introduzione di una serie
di criteri, tra cui un sistema di qualità per gli allevatori e
l'indicazione del paese d’origine «per far sì che i consumatori
siano pienamente informati circa il luogo di origine del prodotto».
Ciò tuttavia non dovrà compromettere i sistemi di etichettatura
promozionale già esistenti.
D'altro canto, invita a studiare la possibilità d'introdurre un finanziamento comunitario per l'applicazione, in tutta l'Unione, del sistema elettronico di identificazione dei capi, prevista per il 31 dicembre 2009, in quanto, anche se migliorerà la tracciabilità, la gestione delle greggi e la lotta contro la frode, «il sistema comporterà nuovi oneri amministrativi e costi elevati per questo settore in crisi.
I deputati invitano poi a rivedere gli attuali regimi di gestione delle quote delle importazioni per garantire che la carne di agnello prodotta nell'UE non sia esposta a concorrenza sleale e chiedono all'UE di limitare in seno all'OMC le riduzioni tariffarie previste sulla carne ovina e garantire che l’UE possa far ricorso all'opzione “status di prodotto sensibile” per tali prodotti.
Campagne promozionali per rilanciare i consumi di DOP e IGP
Il Parlamento invita la Commissione a coordinare le campagne promozionali per i prodotti di carne ovina e caprina DOP (denominazione d'origine protetta) e IGP (indicazione geografica protetta) e ad identificare gli Stati membri destinatari di tali campagne per massimizzare i consumi. Chiede inoltre di condurre una campagna d'informazione a livello comunitario rivolta ai consumatori e basata su azioni innovative, che potrebbero andare dalla distribuzione, nei punti vendita, di varie preparazioni destinate al consumo fino a campagne che vedano protagonisti grandi chef europei, per sottolineare le qualità del prodotto e far conoscere le sue applicazioni culinarie. Sollecita poi la Commissione ad aumentare il bilancio annuale dell'UE per la promozione alimentare (45 milioni di euro nel 2008), a garantire i finanziamenti per la carne ovina europea e stanziamenti supplementari per le razze ovicaprine rare e regionali.
Una strategia veterinaria europea contro le gravi epizoozie
I deputati sollecitano la Commissione a migliorare la sua capacità di reazione alle epizoozie gravi come la febbre catarrale degli ovini, che attualmente imperversa, mediante una nuova strategia veterinaria per l'Unione, il finanziamento della ricerca e l'indennizzo delle perdite, nonché con gli anticipi sui pagamenti. Esortano poi, con specifico riguardo alla malattia della lingua blu, a condurre la ricerca delle cause e delle possibilità di lotta alle epizoozie e a mettere in atto un'efficace strategia, coordinando gli sforzi degli Stati membri, mettendo a punto un'efficace strategia di vaccinazione e sostenendo finanziariamente la vaccinazione dei capi di bestiame.
Riferimenti
Liam AYLWARD (UEN, IE) Relazione sul futuro del settore ovicaprino in Europa Procedura: Iniziativa Dibattito: 18.6.2008 Votazione: 19.6.2008 |
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Il Parlamento è favorevole all'adozione dell'euro da parte della Slovacchia il prossimo anno, ma chiede di sorvegliare il tasso di inflazione e di attuare riforme strutturali in taluni settori. Auspica poi campagne d'informazione per spiegare i vantaggi della moneta unica e per ridurre gli aumenti dei prezzi durante il periodo di transizione. Più in generale, ritiene necessario anteporre la conclusione di eventuali procedure di disavanzo al rispetto dei criteri di Maastricht.
Con 579 voti favorevoli, 17 contrari e 86 astensioni, il Parlamento ha approvato la relazione di David CASA (PPE/DE, MT) che esprime parere favorevole all’adozione dell’Euro da parte della Slovacchia il 1° gennaio 2009. L'Eurozona conterà quindi 16 Stati membri: Belgio, Germania, Irlanda, Spagna, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Portogallo, Finlandia, Grecia, Slovenia, Cipro, Malta e Slovacchia.
I deputati, tuttavia, osservano che il rapporto sulla convergenza 2008 della BCE individua alcuni rischi relativi alla sostenibilità del tasso di inflazione contenuto raggiunto e sollecita l’adozione delle misure necessarie ad evitarne l’insorgenza. Raccomandano pertanto al governo slovacco di istituire un osservatorio per controllare settimanalmente il prezzo di una serie selezionata di prodotti di base «per combattere le false percezioni sull'aumento dei prezzi». La Slovacchia dovrebbe poi garantire un ambiente stabile con un basso tasso di inflazione attraverso un ulteriore consolidamento fiscale ed una politica fiscale sufficientemente rigorosa «al fine di conseguire l'equilibrio del bilancio a medio termine». I deputati invitano quindi le parti sociali slovacche «a mantenere la crescita salariale in linea con la crescita della produttività nell'immediato futuro».
Il Parlamento invita il governo slovacco a garantire il proseguimento delle necessarie riforme strutturali nel mercato del lavoro, dei servizi e dei prodotti, garantendo, in particolare, un aumento della mobilità della manodopera e degli investimenti in capitale umano.
Lo invita inoltre a garantire la concorrenza, segnatamente in settori sensibili come quello energetico. Esprimendo preoccupazione «per lo scarso sostegno registrato nei confronti dell'euro tra i cittadini slovacchi», il Parlamento invita le autorità slovacche ad intensificare la campagna di informazione pubblica volta «a spiegare i vantaggi della moneta unica» e a adottare tutte le misure necessarie «per ridurre gli aumenti dei prezzi durante il periodo di transizione».
Più in generale, il Parlamento ribadisce poi la sua «ferma opinione» secondo cui sarebbe opportuno che la posizione del Consiglio e della Commissione prevedesse di «anteporre alla valutazione del rispetto dei criteri di Maastricht la conclusione obbligatoria di eventuali procedure di disavanzo eccessivo nei confronti di uno Stato membro». In proposito, «si rammarica che la Commissione abbia mancato nuovamente di applicare in modo corretto il trattato sotto questo aspetto» e invita gli Stati membri a consentire alla Commissione di valutare il rispetto dei criteri di Maastricht «sulla base di dati precisi, attuali, affidabili e di elevata qualità». Invita inoltre l'Eurogruppo a migliorare il coordinamento e a controllare l'attuazione effettiva degli impegni politici adottati dai membri della zona euro per assicurare la sostenibilità della convergenza.
Link utili
Sito della Commissione europea sull'Euro Riferimenti
David CASA (PPE/DE, MT) Relazione sulla proposta di decisione del Consiglio a norma dell’articolo 122, paragrafo 2, del trattato CE relativo all’adozione della moneta unica da parte della Slovacchia il 1° gennaio 2009 Procedura: Consultazione legislativa Dibattito: 17.6.2008 Votazione: 17.6.2008 |
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Nel quadro dei dibattiti organizzati per l'Anno europeo del dialogo interculturale, il Parlamento ha accolto in seduta solenne Asma Jahangir, relatrice dell'ONU sulla libertà di religione e di credo. Nel suo intervento ha insistito affinché il termine dialogo interculturale sia inteso in senso ampio, comprendendo le prospettive religiose e laiche e includendo un dialogo a tutti i livelli. Si è anche opposta a ogni incriminazione per "diffamazione delle religioni".
Nel presentare Asma Jahangir all'Aula, la Vicepresidente del Parlamento europeo Rodi KRATSA-TSAGAROPOULOU (PPE/DE, EL) ha sottolineato che il suo intervento «contribuirà a diffondere il messaggio del Parlamento in vista di favorire il libero dialogo e la comprensione universale». Ha poi citato l'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani, che sottintende il lavoro dell'ospite: «Ciascuno ha il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; questo diritto comprende la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà, da solo o in comunità, in pubblico e in privato, di manifestare la propria religione o credo nell'insegnamento, le pratiche, il culto e il compimento dei riti».
Dialogo interreligioso, ma anche con "non-deisti"e atei
«Il termine interculturale include anche quello interreligioso?» si è subito chiesta Asma Jahangir, aggiungendo che anche le tensioni intra-religiose dovrebbero essere prese in considerazione. «Cosa ne è poi del dialogo tra credenti, "non-deisti" e atei?», ha proseguito. Tutti i credenti, ha osservato, sono protetti in virtù delle leggi internazionali sui diritti dell'uomo così come dal diritto di professare la propria religione. Di conseguenza, «anche queste dimensioni dovrebbero essere incluse nel dialogo interculturale». A suo parere, inoltre, è molto importante che i governi e la società civile abbiano un ruolo da svolgere nella creazione di un ambiente in cui le persone di diverse religioni e diversi credo possano interagire senza sforzi.
Dialogare per prevenire i conflitti
«Sono convinta che il mantenimento di un dialogo interculturale è della massima importanza per superare gli atteggiamenti settari e intransigenti, e per rafforzare la tolleranza religiosa nel mondo intero», ha affermato Jahangir. Al di là dell'istruzione, ha aggiunto, il dialogo interreligioso «costituisce uno dei principali mezzi per prevenire i conflitti e le violazioni della libertà di religione e di credo».
Ha poi sottolineato che vi sono sempre persone che tentano di dimostrare che la loro cultura, la loro religione o la loro lingua «è superiore a quella dei loro vicini» e, in proposito, ha rilevato la possibilità che offrono le religioni di condividere dei valori morali che potrebbero consentire di pervenire a una comprensione comune e al rispetto. Citando qualche esempio di successi del dialogo interculturale in Israele, in Palestina e in Irlanda del Nord, ha tuttavia deplorato che «questi sforzi sono raramente evidenziati dai media, a differenza delle violenze interreligiose». Dialogare a tutti i livelli
Pur considerando essenziali le riunioni dei capi religiosi, Jahangir ha sostenuto che dovrebbe essere incoraggiato e ascoltato anche il dialogo interreligioso a livello della base. Tale dialogo dovrebbe poi includere dei credenti obiettivi sulla propria fede, atei e "non-deisti", così come le minoranze religiose. A suo parere, inoltre, occorre anche tenere conto del punto di vista delle donne, che sono tendenzialmente marginalizzate nei grandi eventi di dialogo interreligioso. Sarebbe poi utile riunire persone che, pur condividendo la stessa fede, hanno opinioni diverse, oppure degli artisti, i quali «hanno la capacità di creare ponti tra le diverse comunità».
Secondo la relatrice dell'ONU, esistono diversi livello di dialogo interreligioso: le organizzazioni internazionali e regionali, come anche le ONG, possono svolgere un ruolo nell'agevolare delle piattoforme per il dialogo. Parimenti, ha sottolineato l'utilità delle buone iniziative prese a livello mondiale, regionale, nazionale e anche locale. Si è poi rallegrata della «piattaforma perfetta per il dialogo interculturale e interreligioso» rappresentata dai programmi dell'UE per l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, come Comenius, Leonardo Da Vinci o Grundtvig. L'istruzione, ha sottolineato, è essenziale «poiché permette alla gente di familiarizzarsi con altre religioni e altri credo». Come lo è anche la famiglia, in seno alla quale l'apertura mentale può essere ostacolata o alimentata.
Meglio la "guerra di parole" che la guerra vera
«Il dialogo deve escludere la possibilità di criticare i principi delle altre religioni?», si è chiesta Jahangir. Rispondendo agli applausi dell'Aula, ha sottolineato che, in un vero dialogo, «gli interlocutori dovrebbero avere la possibilità di essere d'accordo o di non esserlo». Ha poi aggiunto: «credo fermamente che sarebbe sbagliato perseguire l'approccio della protezione delle religioni in quanto tali, piuttosto che gli individui o gruppi di credenti. In numerose occasioni, ho espresso preoccupazione sul fatto che incriminare la "diffamazione delle religioni" può essere contro-produttivo, poiché ciò può creare un'atmosfera di intolleranza e di paura, se non aumentare le possibilità di un ritorno al bastone. Inoltre, le accuse di "diffamazione delle religioni" potrebbero soffocare le critiche legittime o le ricerche relative alle pratiche e alle leggi che sembrano in violazione dei diritti dell'uomo, che sono sanzionate dalle religioni, o che sono percepite come doverlo essere».
In conclusione, Asma Jahangir ha dichiarato che i valori «dovrebbero servire da ponte tra le diverse religioni e i diversi credo» e ciò potrebbe, in fin dei conti, «condurre a un rafforzamento dei diritti universali dell'uomo ».
Giovedì 18, Asma Jahangir parteciperà a un dibattito con i deputati della sottocommissione dei diritti dell'uomo del Parlamento europeo.
Link utili
Sito dell'Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni
Unite
Riferimenti
Seduta solenne - 2008, Anno europeo del dialogo interculturale Allocuzione di Asma Jahangir, relatrice speciale sulla libertà di credo e di religione, Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite 18.6.2008 |
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Il Parlamento chiede una strategia e nuovi strumenti europei vincolanti per la prevenzione delle catastrofi naturali e lo sviluppo di una capacità UE di reazione. Sollecita una direttiva sulla prevenzione e la gestione degli incendi che preveda l'identificazione delle zone a rischio e la determinazione della responsabilità ambientale e delle relative sanzioni. Occorre poi riconoscere la specificità delle catastrofi naturali di tipo mediterraneo e rivedere il Fondo di solidarietà dell’UE.
Approvando una risoluzione con 523 voti favorevoli, 37 contrari e 20 astensioni, il Parlamento si compiace anzitutto della comunicazione della Commissione sul potenziamento delle capacità di reazione dell'Unione europea alle catastrofi nonché dell'obiettivo globale di una maggiore coerenza, efficacia e visibilità della reazione dell'Unione europea alle catastrofi, per raggiungere il quale «andrebbero mobilitati tutti gli strumenti». Sottolinea peraltro che il cambiamento climatico costituisce «un fattore chiave alla base dell’accresciuta frequenza e gravità delle catastrofi naturali» e che pertanto la politica ambientale e la legislazione sul cambiamento climatico «devono costituire i pilastri su cui poggia la capacità dell’Unione europea di reagire alle catastrofi».
Il Parlamento invita poi la Commissione a presentare urgentemente proposte, al più tardi entro la fine del 2008, per quanto concerne la prevenzione delle catastrofi nell'ambito dell'UE e una strategia UE per ridurre i rischi di catastrofi nei paesi in via di sviluppo. In proposito, deplora che la proposta dell'ex Commissario europeo Michel Barnier di creare una forza di protezione civile europea «sia rimasta lettera morta» e sottolinea la necessità di portare avanti lo sviluppo di una capacità di reazione rapida sulla base dei moduli di protezione civile degli Stati membri. Invita poi la Commissione a garantire l'efficienza del numero unico europeo di emergenza 112.
Il Parlamento sollecita la Commissione a presentare un pacchetto di strumenti giuridicamente vincolanti (ad esempio una direttiva quadro) volti a colmare le lacune esistenti a livello di normative, politiche e programmi UE per quanto concerne la prevenzione delle catastrofi e la reazione alle stesse. Raccomanda che un tale quadro globale comprenda tre pilastri: il rafforzamento della prevenzione nei meccanismi UE esistenti e negli approcci degli Stati membri, lo sviluppo di un nuovo approccio quadro alla prevenzione delle catastrofi e il sostegno a un ulteriore sviluppo delle conoscenze e delle tecnologie in materia di prevenzione attraverso programmi di ricerca e sviluppo dell'UE. Raccomanda inoltre che le proposte in materia di capacità di reazione generale dell'UE includano la costituzione di risorse chiave di cui venga garantita la disponibilità a partecipare in qualsiasi momento ad operazioni di protezione civile europea.
Prevenzione e reazione rapida agli incendi forestali
Il Parlamento ribadisce l'appello fatto alla Commissione affinché presenti una direttiva sulla prevenzione e la gestione degli incendi che preveda una regolare raccolta di dati, l'elaborazione di mappe e l'identificazione delle zone a rischio, la preparazione di piani di gestione del rischio di incendi e l'elaborazione di inventari, a cura degli Stati membri, con le risorse assegnate e i mezzi disponibili, il coordinamento delle varie amministrazioni, i requisiti minimi di formazione del personale e la determinazione della responsabilità in materia ambientale e delle relative sanzioni.
La Commissione è poi invitata a svolgere maggiori ricerche finalizzate al miglioramento della prevenzione degli incendi forestali e delle metodologie e dei materiali per contrastarli e a riesaminare la pianificazione e l'uso dei terreni. Dovrebbe inoltre fare il migliore uso possibile del progetto pilota del 2008 sugli incendi delle foreste e dell'azione preparatoria su una capacità di reazione rapida al fine di sperimentare gli accordi operativi con gli Stati membri e altre parti interessate che prevedono la messa a disposizione in qualsiasi momento di capacità di reazione per le operazioni della protezione civile europea. Gli Stati membri, inoltre, dovrebbero intervenire «fermamente» per migliorare e attuare il loro quadro legislativo di protezione forestale e «astenersi da attività di commercializzazione, riclassificazione e privatizzazione, limitando quindi le ingerenze e la speculazione». Il Parlamento chiede peraltro che «tutto il know how disponibile dell'UE, compresi i sistemi satellitari, sia utilizzato a tal fine».
Infine, il Parlamento chiede il riconoscimento, a livello comunitario, della specificità delle catastrofi naturali di tipo mediterraneo, come la siccità e gli incendi boschivi e il conseguente adattamento degli strumenti comunitari nei settori della prevenzione, della ricerca, della gestione dei rischi, della protezione civile e della solidarietà «in modo da migliorare la reazione a questo tipo di catastrofe a livello di ogni Stato membro».
Fondo di solidarietà dell'UE
Il Parlamento deplora che il Consiglio sembri essere pervenuto alla decisione di non procedere all’adozione del nuovo regolamento sul Fondo di solidarietà dell’Unione europea (FSUE) e ribadisce la convinzione che il nuovo regolamento - che prevede, tra l’altro, l’abbassamento della soglia di attivazione del Fondo - consentirà all’Unione di affrontare i danni causati dalle catastrofi «in modo più efficace, flessibile e tempestivo». Esorta quindi il Consiglio europeo a decidere di non respingere detto regolamento e a richiedere l'immediata revisione del FSUE.
Inoltre, il Parlamento sollecita la Commissione di attivare, se del caso, l'attuale Fondo di solidarietà dell’Unione europea «nel modo più flessibile possibile e senza indugi», anche perché, in caso di catastrofi naturali, è «di importanza cruciale» rendere immediatamente disponibili le risorse del FSUE «al fine di alleviare le sofferenze e rispondere ai bisogni delle vittime e dei loro familiari».
Link utili
Comunicazione della Commissione relativa al potenziamento delle
capacità di reazione dell'Unione europea alle catastrofi (5.3.2008)
Riferimenti
Risoluzione comune sul potenziamento delle capacità di reazione dell'Unione europea alle catastrofi Procedura: Risoluzione comune Dibattito: 16.6.2008 Votazione: 19.6.2008 |
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Dando inizio ai lavori, il Presidente ha illustrato all'Aula i contenuti della relazione stilata dalla delegazione parlamentare recatasi recentemente in Israele e Palestina, che chiede la revoca del blocco di Gaza e la sospensione degli insediamenti israeliani. Ha poi informato l'Aula di aver ricevuto una richiesta di revoca dell'immunità di Massimo D'Alema da parte del tribunale di Milano: tale questione è stata deferita alla commissione giuridica.
Il Presidente ha ricordato all'Aula che una delegazione di 14 deputati si è recata in Israele e Palestina dal 30 maggio al 2 giugno per discutere del grado di realizzazione degli obiettivi di Annapolis verso una soluzione a due Stati. A seguito di questa visita, ha aggiunto, è stata stilata una relazione - approvata all'unanimità dalla delegazione - che non lascia molto spazio all'ottimismo. La relazione, ha proseguito, chiede la revoca del blocco di Gaza e la libera circolazione delle persone, la sospensione degli insediamenti israeliani e sottolinea la grave situazione umanitaria dei palestinesi.
Il Presidente ha poi incoraggiato israeliani e palestinesi a proseguire i negoziati di pace ed ha assicurato il sostegno dell'UE in questo processo, sottolineando il potenziale contributo del partenariato euro-mediterraneo.
Immunità di Massimo D'Alema
Il Presidente ha informato l'Aula di aver ricevuto dalle autorità italiane la richiesta di revoca dell'immunità di Massimo D'Alema nell'ambito di un procedimento dinnanzi al tribunale di Milano per fatti accaduti all'epoca in cui era deputato europeo. La questione, ha aggiunto, è stata deferita alla commissione giuridica.
Altri documenti approvati
I testi di tutti i documenti approvati sono reperibili sul sito del Parlamento europeo. |
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Ordine del giorno 7 - 10 luglio 2008 Strasburgo
L'ordine del giorno, che può subire modifiche, è disponibile sul sito.
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