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RESOCONTO

 

20 novembre 2008

Strasburgo

 

 

 


Congo: punire i colpevoli di violenze e rafforzare la missione ONU


Nell'esprimere sdegno per i massacri, i crimini contro l'umanità e le violenze sessuali perpetrati in Congo, il Parlamento chiede di punire i responsabili, incluse le milizie ruandesi, e di fornire i necessari aiuti umanitari. Nell'auspicare una conferenza di pace, sollecita un rafforzamento della missione ONU, compresa la facoltà di ricorrere alle armi per proteggere chi è minacciato. Va anche affrontato il problema dello sfruttamento illegale delle risorse naturali da parte dei gruppi armati.

 

Approvando con 486 voti favorevoli, 30 contrari e 17 astensioni una risoluzione da tutti i gruppi politici (eccetto GUE/NGL e IND/DEM), il Parlamento si dichiara profondamente preoccupato per l'intensificarsi degli scontri nel Nord Kivu e per le conseguenze per la popolazione della parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e di tutta la regione, «in particolare per le ripercussioni umanitarie della recente offensiva» dei ribelli guidati dal generale Laurent Nkunda (CNDP) «che ha provocato un gran numero di sfollati e morti nel Nord Kivu».

 

Il Parlamento esprime «il suo profondo sdegno» per i massacri, i crimini contro l'umanità e le violenze sessuali contro donne e ragazze nelle province orientali del Congo e chiede a tutte le autorità nazionali e internazionali competenti «di perseguire penalmente i loro autori in modo sistematico». Invita inoltre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ad adottare con urgenza tutte le misure atte ad evitare concretamente qualsiasi ulteriore attacco contro la popolazione civile delle province orientali del paese. Sollecita poi tutte le parti interessate a ripristinare lo Stato di diritto e a combattere l'impunità, «in particolare per quanto riguarda gli stupri di massa ai danni di donne e ragazze e il reclutamento di bambini soldati». E chiede alle autorità congolesi di porre immediatamente fine ai saccheggi e alle violenze da parte di soldati governativi e di fare tutto il possibile per identificare i responsabili dei crimini di guerra commessi nella regione e tradurli in giudizio.

 

Accogliendo positivamente le decisioni della Commissione e degli Stati membri di aumentare l'assistenza umanitaria alla popolazione civile colpita dalla crisi, il Parlamento invita tutte le parti interessate a garantire l'accesso alle popolazioni vulnerabili e la sicurezza degli operatori umanitari. Chiede poi al Consiglio e alla Commissione di predisporre con effetto immediato un'assistenza medica e umanitaria su vasta scala nonché programmi di reinserimento per la popolazione civile, prestando particolare attenzione all'assistenza alle donne e ragazze vittime di violenza sessuale. Invita inoltre il governo congolese a sviluppare un piano assieme al Ruanda e alla MONUC (missione delle Nazioni Unite in Congo) «per isolare e catturare i leader delle FDLR responsabili di genocidio» e ad offrire il reinserimento nella RDC o il rimpatrio in Ruanda a quanti non vi hanno preso parte e desiderano essere smobilitati.

 

Nell'esortare Laurent Nkunda a rispettare la propria dichiarazione a sostegno del processo di pace, il Parlamento ribadisce il proprio appoggio alle autorità congolesi nella ricerca di una soluzione politica alla crisi. Al riguardo valuta positivamente il piano presentato dai parlamentari congolesi, che sollecita una mobilitazione generale a favore del dialogo militare, politico e diplomatico. D'altro canto, ritiene che dovrebbe essere convocata una conferenza internazionale sui Grandi Laghi «per dare al conflitto una soluzione politica praticabile e promuovere una sana integrazione economica regionale, che andrà a beneficio di tutti i paesi della regione». Sottolinea inoltre la necessità di impegnarsi ulteriormente per porre fine all'attività di gruppi armati stranieri e chiede di esercitare pressioni sul Ruanda e l'Uganda affinché si impegnino a porre fine alla libera circolazione e alle operazioni delle truppe di Nkunda sul loro territorio.

 

Nel ribadire il suo appoggio alla MONUC in queste drammatiche circostanze «in cui la sua presenza resta indispensabile, malgrado le debolezze che essa presenta», il Parlamento chiede che sia fatto tutto il possibile per consentirle di svolgere pienamente il proprio mandato e di «ricorrere alla forza delle armi per proteggere le persone minacciate». A questo proposito invita il Consiglio, e più in particolare Belgio, Francia, Italia e Regno Unito, a svolgere un ruolo di primo piano nel garantire che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite «sostenga la MONUC rafforzandone le capacità operative in termini di effettivi ed equipaggiamento adeguati». Insiste peraltro sulla necessità che, qualora si proceda al dispiegamento di forze militari supplementari, il loro mandato riguardi prioritariamente la protezione della popolazione civile.

 

Il Parlamento chiede all'UE di sollecitare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a dotare la MONUC del mandato e dei mezzi necessari per affrontare il problema dello sfruttamento delle risorse minerarie da parte dei gruppi armati, anche attraverso il monitoraggio e il controllo dei principali posti di frontiera, delle piste di atterraggio, di determinate zone minerarie e delle vie di approvvigionamento. Invita poi gli Stati membri dell'UE a prevedere sanzioni contro le persone fisiche e le società la cui partecipazione al saccheggio illegale delle risorse naturali sia stata comprovata. Chiede poi alla Commissione e al Consiglio di promuovere sistemi efficaci di tracciabilità e prova delle origini delle risorse naturali - in particolare oro, cassiterite (minerale di stagno), coltan, cobalto, diamanti, pirocloro e legname. Questi sistemi, per i deputati, dovrebbero comprendere anche l'accettazione della presenza sul territorio di controllori con mandato ONU incaricati di vigilare sulle importazioni di risorse naturali provenienti dalla RDC. Occorre inoltre garantire che le imprese europee non commercino, trattino o importino prodotti derivati da minerali «il cui ottenimento torna a vantaggio di gruppi armati della RDC e a ritenere responsabili quanti persistono in tali prassi».

 

 

Link utili

 

Conclusioni del Consiglio dell'Unione europea dell'11 novembre 2008 sulla situazione nella Repubblica Democratica del Congo (in francese)
Risoluzione del Parlamento europeo del 23 ottobre 2008 sulla Repubblica democratica del Congo: scontri al confine orientale della RDC
Risoluzione del Parlamento europeo del 17 gennaio 2008 sulla situazione nella Repubblica democratica del Congo e sullo stupro come crimine di guerra


 

Riferimenti

 

Dichiarazioni del Consiglio e della Commissione - Risposta UE al deterioramento della situazione nell'Est della Repubblica democratica del Congo

Dibattito: 19.11.2008

Votazione: 20.11.2008

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Una "carta blu" per i migranti altamente qualificati


Il Parlamento accoglie con favore le due proposte legislative sul rilascio della "carta blu", un permesso di soggiorno per lavoratori extra-UE altamente qualificati, e sui relativi diritti sociali. Tuttavia, chiede che la priorità sia data ai lavoratori comunitari. Insiste poi sulla necessità di garantire ai migranti un salario pari a quello percepito dai cittadini UE per lo stesso lavoro e chiede di evitare la fuga di cervelli dai paesi terzi in settori quali la sanità e l'istruzione.

 

Una prima proposta di direttiva mira a stabilire condizioni d'ingresso e di soggiorno per periodi superiori a tre mesi di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati e dei loro familiari nonché a garantire lo status giuridico dei lavoratori provenienti da paesi terzi già ammessi e semplificare le procedure di domanda. L'idea è di rendere l’UE più capace di attrarre e, laddove necessario, trattenere lavoratori altamente qualificati provenienti da paesi terzi, in modo che l’immigrazione legale contribuisca maggiormente alla competitività dell’economia comunitaria.

 

Approvando con 388 voti favorevoli, 56 contrari e 124 astensioni la relazione di Ewa KLAMT (PPE/DE, DE), il Parlamento ricorda anzitutto che l'Unione europea deve garantire «l'equo trattamento» dei cittadini dei paesi terzi che vi soggiornano legalmente e che una politica d'integrazione «più incisiva» dovrebbe mirare a garantire loro «diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell'Unione europea».

 

La direttiva si applica ai cittadini di paesi terzi che chiedono di essere ammessi nel territorio di uno Stato membro per svolgere un lavoro altamente qualificato. Un emendamento ne estende la portata ai cittadini di paesi terzi che già soggiornano legalmente in uno Stato membro dell'UE in virtù di altri regimi. Non possono invece fare domanda i cittadini richiedenti protezione internazionale o lo status di rifugiati, i ricercatori, quelli che beneficiano dello status di soggiornante di lungo periodo in uno Stato membro, né coloro che entrano nell'UE in base a un accordo internazionale - come i lavoratori oggetto di un trasferimento nell'ambito di una società multinazionale. Neanche i familiari di cittadini dell'UE che hanno esercitato o esercitano il loro diritto alla libera circolazione nella Comunità possono beneficare di questo sistema. I deputati escludono inoltre le persone ammesse in uno Stato membro in qualità di lavoratori stagionali.

 

La "Carta blu UE" è l'autorizzazione che consente al suo titolare di soggiornare e lavorare legalmente nel territorio di uno Stato membro e di spostarsi in un altro Stato membro per svolgervi un lavoro altamente qualificato. La sua validità, per i deputati, deve essere inizialmente di tre anni (contro i due proposti dalla Commissione) e deve poter essere rinnovata per almeno due anni. Se il contratto di lavoro copre un periodo inferiore, può essere rilasciata per la durata del contratto più sei mesi (contro i tre della proposta). Durante il periodo di validità, la Carta blu autorizza il titolare ad entrare, rientrare e soggiornare nel territorio dello Stato membro che l'ha rilasciata e a passare attraverso il territorio di altri Stati membri.

Con "lavoro altamente qualificato", s'intende l'esercizio di un «lavoro reale ed effettivo», sotto la direzione di un'altra persona, per il quale un individuo è retribuito e per il quale sono richiesti titoli di istruzione superiore.  I deputati precisano che si deve trattare di un lavoro «in qualità di dipendente» oppure, sopprimendo la proposta della Commissione di includere in questa definizione anche coloro che hanno un'esperienza professionale equivalente almeno triennale, per il quale è richiesta una «qualifica professionale superiore». Diversi emendamenti specificano altre definizioni, come quella di "titolo di istruzione superiore", indicando che la laurea o il diploma ottenuto in un paese terzo deve essere riconosciuto dall'autorità competente dello Stato membro. Un altro aumenta da tre a cinque anni il periodo di esperienza oggetto della "qualifica professionale superiore". E' anche inserita la definizione di "attività professionale regolamentata".

 

Priorità ai lavoratori comunitari

 

Prima di decidere in merito a una domanda di Carta blu, gli Stati membri possono esaminare la situazione del loro mercato del lavoro e applicare procedure relative ai requisiti per la copertura di posti vacanti. Il Parlamento precisa che tali procedure dovrebbero essere comunitarie, oltre che nazionali, e aggiunge che, nel contesto delle rispettive facoltà discrezionali, «gli Stati membri possono tenere in conto il fabbisogno di manodopera a livello nazionale e regionale». Approvando un emendamento del PPE/DE, inoltre, l'Aula sostiene che, per ragioni di politica del mercato del lavoro, gli Stati membri «devono considerare in via prioritaria i cittadini dell'Unione europea» e possono dare la preferenza a cittadini di paesi terzi nei casi previsti dalla legislazione comunitaria. Precisa inoltre che gli Stati membri devono rifiutare la Carta blu in quei settori del mercato del lavoro per i quali l'accesso ai lavoratori provenienti dai nuovi membri dell'UE è soggetto a restrizioni in base alle disposizioni transitorie sancite dagli atti di adesione.

 

Pari salario per pari lavoro

 

Il cittadino di un paese terzo che chiede di essere ammesso deve presentare un contratto di lavoro valido o un'offerta vincolante di lavoro - altamente qualificato, precisano i deputati - nello Stato membro interessato, avente durata di almeno un anno. Deve rispettare i requisiti nazionali per l’esercizio, da parte dei cittadini dell’UE, di una professione regolamentata. deve inoltre esibire un documento di viaggio valido e dimostrare di disporre di un'assicurazione contro le malattie che copra il richiedente stesso e i suoi familiari. Non deve invece rappresentare - per motivi oggettivamente comprovati, chiede un emendamento - «una minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sanità pubblica».

 

La proposta pone anche la condizione che la retribuzione del lavoratore non deve essere inferiore a una "soglia salariale nazionale" e deve corrispondere ad almeno tre volte il salario minimo fissato dalla legislazione nazionale. Per il Parlamento, invece, occorre applicare il principio della "parità di retribuzione per pari lavoro" al fine di garantire ai cittadini di paesi terzi lo stesso trattamento di cui godono i cittadini nazionali.  Chiedono quindi che il salario non debba essere inferiore a quello «che percepisce o che percepirebbe un lavoratore comparabile nel paese ospitante». Inoltre, ritiene che il salario deve corrispondere ad almeno 1,7 volte il salario medio nello Stato membro in questione. Ai governi è lasciata la facoltà di determinare quote di ammissione.

 

Evitare la "fuga di cervelli" dai paesi terzi

 

Un emendamento chiede agli Stati membri di non cercare in modo attivo di attirare i lavoratori altamente qualificati in settori che sono già, o si prevede che saranno, soggetti a una carenza di personale nei paesi terzi, con particolare riferimento al settore sanitario e al settore dell'istruzione. I deputati, inoltre, inseriscono tra i motivi che possono giustificare il rifiuto di concedere la Carta blu quello di evitare una fuga di cervelli dai settori che risentono di una carenza di personale qualificato nei paesi d'origine. A loro parere, poi, gli Stati membri dovrebbero offrire un sostegno concreto alla formazione di figure professionale in settori chiave indeboliti dalla fuga di cervelli. E occorre definire meccanismi, orientamenti e altri strumenti destinati ad agevolare la migrazione circolare, «che consentano ai lavoratori altamente qualificati di tornare nel proprio paese d'origine».

 

La direttiva prevede anche i casi in cui è possibile revocare o rifiutare il rinnovo della Carta blu, in particolare se questa è stata ottenuta in maniera fraudolenta, o è stata falsificata o manomessa. I deputati precisano inoltre che tale decisione può essere presa «unicamente se sussiste una minaccia oggettivamente comprovata per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sanità pubblica». D'altro canto, «la disoccupazione non costituisce di per sé un motivo per revocare o non rinnovare una Carta blu UE, a meno che il periodo di disoccupazione superi i sei mesi consecutivi» (contro tre mesi proposti dalla Commissione). Inoltre, i deputati ritengono che Il titolare della Carta blu debba avere il diritto di rimanere nell'UE «fintanto che partecipa ad attività di formazione finalizzate all'accrescimento delle sue competenze professionali o alla sua riqualificazione professionale».

 

Il Parlamento è anche consultato su una proposta di direttiva relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e che prevede anche un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente nell'UE. Approvando con 442 voti favorevoli, 77 contrari e 42 astensioni la relazione di Patrick GAUBERT (PPE/DE, FR), il Parlamento chiede che il periodo di validità di tali permessi sia stabilito da ciascuno Stato membro ed esclude dal campo di applicazione della direttiva i lavoratori stagionali, che dovranno essere oggetto di un provvedimento specifico. Per i deputati, inoltre, i lavoratori dei paesi terzi devono poter beneficiare di servizi d'informazione e consulenza offerti dai centri per l'impiego. Infine, accolgono la proposta della Commissione che dà la possibilità di esigere una prova del possesso di adeguate conoscenze linguistiche per l'accesso all'istruzione e alla formazione.

 

 

Link utili

 

Proposta della Commissione sulla "carta blu"
Documento di lavoro della Commissione sulla "carta blu"
Proposta della Commissione sulla procedura unica di domanda di rilascio del permesso di soggiorno

 

Riferimenti

 

Ewa KLAMT (PPE/DE, DE)

Relazione sulla proposta di direttiva del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendono svolgere lavori altamente qualificati

&

Patrick GAUBERT (PPE/DE, FR)

Relazione sulla proposta di direttiva del Consiglio relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro

Procedura: Consultazione

Dibattito: 19.11.2008

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Gravi riserve del Parlamento sul sistema PNR europeo


Il Parlamento ritiene che il trattamento dei dati può risultare molto utile nelle attività di contrasto, ma mantiene gravi riserve sulla necessità e sul valore aggiunto della proposta di un sistema PNR dell’UE e sulle salvaguardie in esso contenute. Chiede che la futura normativa garantisca un'effettiva tutela della privacy e sia soggetta a una valutazione periodica. Le compagnie aeree non dovrebbero aver l'obbligo di raccogliere dati aggiuntivi rispetto a quanto già fanno per fini commerciali.

 

Approvando con 512 voti favorevoli, 5 contrari e 19 astensioni una risoluzione sulla proposta di decisione quadro sull'uso dei dati dei passeggeri aerei nell'attività di contrasto, il Parlamento riconosce la necessità di una cooperazione rafforzata a livello europeo e internazionale nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, come pure che la raccolta e il trattamento di dati «possono rappresentare uno strumento prezioso ai fini delle attività di contrasto». E' anche del parere che le autorità di polizia debbano poter disporre «di tutti gli strumenti necessari per espletare in modo adeguato le loro funzioni, ivi compreso l’accesso ai dati».

 

Il Parlamento sottolinea tuttavia che, dal momento che tali misure hanno un notevole impatto sulla sfera della vita privata dei cittadini europei, la loro giustificazione in termini di necessità, proporzionalità ed unità ai fini del raggiungimento dei loro obiettivi dichiarati «deve essere motivata in maniera convincente». Rileva inoltre che occorre mettere in atto «un'effettiva tutela della privacy e una protezione giuridica», come prerequisito «per poter conferire la necessaria legittimità politica ad una misura che i cittadini possono percepire come un’intrusione indebita nella loro sfera privata». I deputati si rammaricano pertanto che la formulazione e la motivazione della proposta «lascino spazio a numerose incertezze giuridiche» in relazione alla tutela dei diritti fondamentali.

 

Deplorano inoltre che al Parlamento europeo non sia conferito un «ruolo appropriato nel processo legislativo» e, in proposito, ricordano che la Corte di giustizia UE ha già contestato l'accordo PNR con gli USA a motivo della base giuridica errata. In tali condizioni, ritengono che il Parlamento europeo si possa riservare di esprimere un parere ufficiale conformemente alla procedura di consultazione, «fintantoché le preoccupazioni sollevate nella presente risoluzione non siano state opportunamente affrontate e non sia pervenuto il numero minimo di informazioni necessarie».

 

Anche perché il Parlamento mantiene «gravi riserve» sulla necessità e sul valore aggiunto della proposta per l'istituzione di un sistema PNR dell’UE e le salvaguardie in esso contenute. Visto che «si possano ottenere risultati identici o migliori rafforzando l’assistenza giuridica reciproca tra le autorità di contrasto». Ritiene inoltre che, al momento di presentare nuovi atti legislativi, i parlamenti nazionali debbano essere pienamente coinvolti e sottolinea che un’eventuale futura legislazione volta ad istituire un PNR dell’UE dovrebbe includere disposizioni relative ad una valutazione periodica «dell’attuazione, applicazione e utilità, e alle violazioni delle salvaguardie».

Il Parlamento sottolinea poi che non vi sono tuttora prove che sostengano l'utilità della raccolta dati, dal momento che ogni informazione finora fornita dagli USA «è aneddotica e gli USA non hanno mai dimostrato in modo concludente che il ricorso massiccio e sistematico ai dati PNR è necessario ai fini della lotta contro il terrorismo e la grande criminalità». Mentre le conclusioni preliminari del sistema britannico di utilizzo dei dati PNR non riguardano l'antiterrorismo.  Pur riconoscendo che i dati PNR possono risultare molto utili come elementi di prova ausiliari e supplementari in un’indagine specifica su sospettati di terrorismo noti, rileva tuttavia che «non vi sono prove del fatto che i dati PNR siano utili ai fini di ricerche e analisi automatizzate su vasta scala sulla base di criteri o modelli di rischio ... nella caccia a potenziali terroristi».

 

Nel sottolineare poi che le norme europee in materia di protezione dei dati impongono restrizioni per quanto riguarda l’elaborazione di profili sulla base di dati personali, il Parlamento rammenta che qualsiasi elaborazione di profili basata sull’origine etnica, la nazionalità, il credo religioso, l’orientamento sessuale, il sesso, l’età o le condizioni di salute «dovrebbe essere esplicitamente vietata in quanto incompatibile con le disposizioni in materia di discriminazione contenute nei trattati dell'UE e nella Carta europea dei diritti fondamentali».

 

Il Parlamento, inoltre, ritiene che l'accesso ai dati PNR scambiati tra gli Stati membri debba essere rigorosamente riservato alle autorità preposte alla lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, e che gli altri organi di polizia possano avervi accesso «solamente previa autorizzazione da parte delle autorità giudiziarie». Esprime quindi preoccupazione per il fatto che essenzialmente la proposta concede alle autorità di contrasto di accedere senza mandato a tutti i dati. In tale contesto, sottolinea che l’adozione di un quadro adeguato di protezione dei dati nel terzo pilastro «costituisce una condizione preliminare imprescindibile per qualsiasi sistema PNR dell’UE». Chiede poi che vengano stabilite condizioni rigorose relative al trattamento di tali dati da parte delle Unità d'informazione sui passeggeri.

 

Il Parlamento insiste sul fatto che le compagnie aeree «non dovrebbero avere l’obbligo di raccogliere dati aggiuntivi rispetto a quelli che esse raccolgono a fini commerciali», né essere ritenute responsabili della verifica della completezza e accuratezza delle informazioni e ritiene che non vadano applicate sanzioni per dati incompleti e incorretti. Infine, chiede una chiara valutazione dei costi di un sistema PNR dell’UE e sostiene che eventuali costi aggiuntivi «debbano essere sostenuti dalle parti richiedenti»;

 

 

Link utili

Proposta di decisione quadro del Consiglio sull'uso dei dati del codice di prenotazione (Passenger Name Record, PNR) nelle attività di contrasto

 

Riferimenti

Risoluzione sull'Unione europea e dati PNR

Procedura: Risoluzione

Dibattito: 20.10.2008

Votazione: 20.11.2008

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AIDS/HIV: promuovere la diagnosi precoce e il tempestivo trattamento


Il Parlamento chiede una strategia volta a promuovere la diagnosi precoce e il tempestivo trattamento dell'HIV, garantendo l'accesso ai test e un accurato monitoraggio. Sollecita inoltre una strategia di riduzione dell'infezione e campagne d'informazione e di educazione sulla prevenzione. Auspica poi raccomandazioni sull'attuazione delle sperimentazioni e chiede ai governi di dichiarare illegale le discriminazioni contro le persone affette dal virus, come le restrizioni alla libera circolazione.

 

Approvando con 480 voti favorevoli, 4 contrari e 10 astensioni una risoluzione comune sostenuta da tutti i gruppi politici (eccetto IND/DEM), il Parlamento europeo invita il Consiglio e la Commissione a formulare una strategia sull'HIV al fine di promuovere la diagnosi precoce e la riduzione degli ostacoli alla sperimentazione nonché di garantire un tempestivo trattamento e la comunicazione dei relativi benefici.

 

Sottolineando che l'HIV/AIDS è una malattia trasmissibile «e vi è quindi un rischio di contagio provocato dalle persone infette non diagnosticate» i deputati invitano la Commissione e gli Stati membri a garantire l’accesso al test, «che deve restare libero e anonimo». Chiedono inoltre alla Commissione di garantire un accurato monitoraggio e una stretta sorveglianza da parte del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, tra cui stime più precise (quantità, caratteristiche, ecc) della popolazione non diagnosticata, «rispettando la riservatezza e la protezione dei dati personali». Dovrebbe anche impegnare «sostanziali risorse politiche, umane e finanziarie per sostenere l'attuazione di tale strategia».

 

Osservando che l'infettività dell'HIV «aumenta notevolmente in presenza di altre malattie a trasmissione sessuale (ad esempio gonorrea, clamidia, herpes e sifilide)» e che l'epidemia tra i consumatori di droghe iniettive «è una delle cause della rapida diffusione dell'infezione da HIV in numerosi paesi dell'Europa orientale», il Parlamento invita poi la Commissione ad elaborare una strategia di riduzione del rischio dell'HIV/AIDS incentrata sui gruppi vulnerabili e ad alto rischio. Sollecita poi gli Stati membri a rafforzare le campagne d'informazione e di educazione sulla prevenzione, la sperimentazione e il trattamento del virus HIV/AIDS.

 

Il Consiglio, inoltre dovrebbe incaricare la Commissione di elaborare raccomandazioni sull'attuazione di sperimentazioni ed orientamenti in materia di trattamento fondati su dati comprovati in ciascuno Stato membro, nonché di garantire che, in futuro, il monitoraggio dei progressi nella lotta contro l'HIV/AIDS in Europa e nei paesi vicini comprenda indicatori che riguardano e misurano direttamente le questioni legate ai diritti umani nel contesto dell'HIV/AIDS.

 

Infine, il Parlamento invita gli Stati membri a porre in essere disposizioni in virtù delle quali la discriminazione contro le persone che vivono con l'HIV/AIDS, comprese eventuali restrizioni alla loro libertà di circolazione, «sia effettivamente dichiarata illegale nelle loro giurisdizioni».

 

L'AIDS e l'HIV nel mondo e in Europa

 

Secondo i dati forniti dall'UNAIDS, dall'inizio dell'epidemia, nel 1990, nel mondo sono morte circa 27 milioni di persone a causa dell'AIDS. Nel 2007, 33 milioni di persone vivevano con l'HIV (di cui 2 milioni di bambini), sono state rilevate 2,7 milioni di nuove infezioni, mentre circa 2 milioni di persone sono decedute a causa dell'AIDS. Il tasso di nuove infezioni si è ridotto in molti paesi ma, su scala mondiale, questa tendenza è stata parzialmente compensata con l'aumento registrato in altri paesi. L'HIV colpisce «in maniera sproporzionata» i consumatori di droghe iniettabili, gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini e i/le professionisti/e del sesso.


Con 22 milioni di persone, nel 2007, l'Africa sub-sahariana ospita il 67% di tutte le persone che nel mondo vivono affette da virus dell'HIV e il 90% dei bambini che vivono con l'infezione; sono state rilevate circa 2 milioni di nuove infezioni e 1,5 milioni di persone sono decedute a causa dell'AIDS. In Asia e nel Sudest asiatico vivono più di 4 milioni di persone infettate, 330.000 persone hanno contratto il virus nel 2007 e altrettante sono morte di AIDS.

 

In Europa occidentale e centrale, le persone che vivono con l'HIV sono stimate in 730.000, le nuove infezioni registrate nel 2007 ammontano a 27.000 e i decessi a causa dell'AIDS sono stati circa 8.000. Le relazioni dell'EuroHIV e dell'UNAIDS confermano che il numero di nuovi contagi HIV continua a crescere «ad un tasso preoccupante» nell'Unione europea e nei paesi vicini e che in alcuni paesi il numero di persone che si stima siano contagiate dall'HIV «è di quasi tre volte superiore alle cifre ufficiali». D'altro canto, nonostante l'aumento del numero di infezioni da virus dell'HIV, si registra una costante diminuzione del numero di casi di AIDS, con un calo nell'Unione europea, del 40% nel 2006 rispetto al 1999.

 

L'AIDS e l'HIV in Italia (fonte: Ministero della salute/ISS)

 

Nel nostro Paese, dall’inizio dell’epidemia ad oggi, si sono registrati 59.500 casi di Aids, tra questi i decessi sono stati 35.300. Dal 1995, anno del picco dell’epidemia, ad oggi si è passati dai 5.600 casi di malattia conclamata ai circa 1.200 attuali. Ciò ha portato ad un aumento della prevalenza di persone che vivono con una diagnosi di AIDS: ad oggi se ne stimano circa 24.000. Stessa situazione si rileva per i sieropositivi, nei quali sono comprese anche le persone affette da AIDS, che si stima siano oltre 120 mila. Questo numero tende ad aumentare lievemente, in quanto ogni anno si verificano circa 3.500-4.000 nuove infezioni che si vanno a sommare alla gran parte di quelle acquisite negli anni precedenti: l’aumento della sopravvivenza delle persone sieropositive comporta, anche in questo caso, un aumento del numero di infetti a livello del territorio nazionale.

 

I dati evidenziano anche un cambiamento delle caratteristiche delle persone infette o con AIDS: diminuiscono i tossicodipendenti mentre aumentano le persone che hanno acquisito l’infezione per via sessuale (sia etero che omo/bisessuale) e gli stranieri. Nel 1997 la percentuale dei casi di Aids era infatti costituita per il 58,1% da tossicodipendenti e per il 20,7% da contatti eterosessuali e per il 15% omo/bisessuali. Nel 2007 i casi tra i tossicodipendenti sono diminuiti al 27,4% mentre i contatti eterosessuali sono passati al 43,7% e quelli omo/bisessuali al 22%. Aumenta anche l’età delle persone colpite, che, per i casi di AIDS, ormai supera i 40 anni in media.

 

Per quanto riguarda l’andamento della mortalità si conferma il picco del 1995 con 4.581 morti per AIDS mentre a partire dal 1997 si inizia a registrare un progressivo decremento delle morti fino all’attuale stima per l’anno 2007 di circa 200 decessi.

 

Link utili

 

Sito della Commissione europea sull'AIDS
Sito dell'UNAIDS
Sito della campagna mondiale

 

 

Riferimenti

 

Risoluzione del Parlamento europeo sull'HIV/AIDS: diagnosi e trattamento precoce

Procedura: Risoluzione comune

Dibattito: 19.11.2008

Votazione: 20.11.2008 

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Aiutare l'apicoltura europea


Aiuto finanziario alle aziende, indicazione del paese d'origine in etichetta e controlli sanitari sul miele importato. E' quanto chiede il Parlamento per far fronte alla crisi dell'apicoltura europea. Sollecita anche l'intensificazione della ricerca sui parassiti e sulle malattie che stanno decimando le api e sulle altre cause potenziali come le colture geneticamente modificate, nonché sul nesso tra la moria e l'uso di pesticidi, e misure per limitare i rischi di un'impollinazione insufficiente.

 

A fronte delle «gravissime difficoltà» che, in tutto il mondo, e in particolare in Europa, sta incontrando il settore dell’apicoltura, il Parlamento ha adottato - con 458 voti favorevoli, 13 contrari e 5 astensioni - una risoluzione in cui sollecita di reagire «senza indugio alla crisi sanitaria apicola in modo appropriato e con strumenti efficaci». Più in particolare, il parlamento esorta la Commissione a proporre un meccanismo di aiuto finanziario per le aziende del settore, in difficoltà a seguito della moria del loro patrimonio apicolo e a invitare tutti gli Stati membri ad assegnare aiuti immediati al settore. Anche perché il 76% della produzione alimentare destinata al consumo umano dipende da esso.

 

Inoltre, è del parere che occorra far fronte alla concorrenza sleale dei prodotti dell'apicoltura provenienti da paesi terzi che, per effetto di costi di produzione inferiori (in particolare per quanto riguarda i prezzi dello zucchero e della manodopera) penalizza il settore comunitario. Ritiene i «fondamentale» rendere obbligatoria l’indicazione del paese d’origine del miele d’api sull’etichetta. Mentre è «indispensabile» introdurre l'obbligo di analizzare il miele importato «per rilevare l'eventuale presenza di bacilli della peste americana».

 

Nel notare poi che tra i fattori all'origine della crisi sanitaria apicola sono da annoverare la presenza continua nelle arnie del parassita Varroa, la sindrome dello spopolamento degli alveari e la diffusione del Nosema ceranae, il Parlamento invita la Commissione ad intensificare quanto prima la ricerca sui parassiti e sulle malattie che stanno decimando le api, mettendo a disposizione ulteriori risorse di bilancio a tale fine. Accogliendo due emendamenti dei Verdi, l'Aula chiede maggiori ricerche anche sulle altre cause potenziali di questa moria: «l'erosione della diversità genetica e le colture geneticamente modificate». Invita poi Commissione e Consiglio a prendere in debita considerazione la salute delle api, le possibilità di commercializzazione dei loro prodotti e l'impatto economico sul settore «in tutte le discussioni e le future misure legislative concernenti la coltivazione nell'Unione europea di colture geneticamente modificate».

 

Il Parlamento auspica inoltre l'avvio di una ricerca sul nesso tra la moria delle api e l'utilizzo di pesticidi - quali tiametoxame, imidaclopride, clotianidin e fipronil - «per adottare le misure del caso quanto all'autorizzazione di tali prodotti». La Commissione dovrebbe anche integrare la ricerca e la lotta contro le malattie delle api nella sua politica veterinaria.

Osservando che l’84% delle specie vegetali coltivate in Europa dipende dall’impollinazione, il Parlamento chiede alla Commissione di promuovere le misure necessarie per limitare i rischi di un'impollinazione insufficiente, tanto per gli apicoltori quanto per gli agricoltori, la cui produzione potrebbe aumentare considerevolmente. Invita infine la Commissione ad introdurre, nell’ambito della "valutazione dello stato di salute" della PAC, misure volte a creare zone di compensazione ecologica (quali i "maggesi apicoli") e chiede che queste aree siano situate nelle parti più difficili da coltivare, «dove piante quali la phacelia, la borragine, la senape selvatica o il trifoglio bianco potrebbero svilupparsi e rappresentare importanti fonti nettarifere nella zona di raccolta delle api».

 

Background - l'apicoltura in Italia e in Europa

 

Nel mese di luglio, l'organizzazione delle imprese agricole Coldiretti, ha denunciato che la moria delle api non si traduce soltanto in un forte decremento della produzione di miele, ma mette a rischio la produzione di mele, pere, mandorle, agrumi, pesche, kiwi, castagne, ciliegie, albicocche, susine, meloni, cocomeri, pomodori, zucchine, soia, girasole e colza. Rilevava inoltre che le api sono utili anche per la produzione di carne con l'azione impollinatrice che svolgono nei confronti delle colture foraggiere da seme come l'erba medica ed il trifoglio, mentre la grande maggioranza delle colture orticole da seme si possono riprodurre grazie alle api come l'aglio, la carota, i cavoli e la cipolla. Ricordava, peraltro, che Albert Einstein aveva affermato: “se l'ape scomparisse dalla faccia della terra, all'uomo non resterebbero che quattro anni di vita”. Coldiretti forniva poi i seguenti dati:

 

           Le api concorrono per l'80% al lavoro di impollinazione;

           L'alimentazione dipende per un terzo da coltivazioni impollinate attraverso il lavoro degli insetti;

           In Italia ci sono oltre 1,1 milioni di alveari per un business di 60 milioni di euro;

           L'impollinazione delle colture in Italia ha un valore di 2,5 miliardi di euro/anno;

           Sono 50.000 gli apicoltori di cui 7.500 quelli “professionisti” che totalizzano un fatturato stimato in circa 25 milioni di euro;

 

Secondo i dati trasmessi dagli Stati membri relativi al 2005, il numero complessivo di apicoltori nella Comunità è di 593.000, di cui 17.986 sono considerati professionali (almeno 150 alveari). Per quanto riguarda la percentuale di apicoltori professionali, al primo posto si trova la Spagna con il 76% ed al secondo la Grecia. In assoluto, gli apicoltori professionali si concentrano in cinque Stati membri: la Grecia, la Spagna, la Francia, l'Italia e l'Ungheria. Il numero totale di alveari è di 11.631.300, di cui 4.321.901 appartenenti ad apicoltori professionali. In altre parole, il 3% degli apicoltori possiede all'incirca il 40% degli alveari. Gli Stati membri che hanno il maggior numero di alveari sono la Spagna, la Grecia, la Francia e l'Italia. Fra gli Stati membri che hanno aderito all'UE nel 2004, il numero di alveari più elevato è stato registrato in Polonia ed Ungheria.

 

Nel 2005/2006 la produzione totale di miele dell'UE, secondo Eurostat, era pari a 201.000 tonnellate, sufficiente a garantire un auto-approvvigionamento di poco superiore al 60%. Le maggiori produzioni si sono registrate in Spagna (32.000 t.), Germania e Ungheria (20.000 t.), Romania (18.000 t.), Grecia, Francia e Polonia (16.000 t.), e Italia (13.000 t.). A livello mondiale, il maggiore produttore è la Cina, mentre gli altri principali produttori sono gli Stati Uniti e l'Argentina, che raggiungono entrambi 85.000 t di miele.
 

 

Riferimenti

 

Risoluzione sulla situazione nel settore dell’apicoltura  

Procedura: Risoluzione

Dibattito: 19.11.2008

Votazione: 20.11.2008

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Vietare l'uso e la produzione di munizioni a grappolo


Il Parlamento invita tutti gli Stati a firmare, ratificare e applicare al più presto la Convenzione che vieterà l'uso, la produzione, lo stoccaggio e il trasferimento di munizioni a grappolo. Chiede inoltre ai membri dell'UE che hanno fatto ricorso a queste armi di fornire assistenza alle popolazioni colpite e all'eliminazione dei residuati, con il concorso della Commissione. Invita poi gli Stati membri a non aggirare le disposizioni della Convenzione.

 

La Convenzione sulle munizioni a grappolo (CCM) - che vieterà l'uso, la produzione, lo stoccaggio e il trasferimento di munizioni a grappolo come intera categoria di armi - sarà aperta alla firma a partire dal 3 dicembre 2008 a Oslo e, successivamente, presso le Nazioni Unite a New York, ed entrerà in vigore dopo aver ottenuto 30 ratifiche. Il Parlamento ha adottato - con 471 voti favorevoli, 6 contrari e 21 astensioni - una risoluzione sostenuta da PPE/DE, PSE, UEN, Verdi/ALE e GUE/NGL che invita tutti gli Stati a firmare, ratificare e applicare al più presto la CCM. Li invita inoltre a adottare misure a livello nazionale per avviarne l'attuazione, «ancor prima che sia firmata e ratificata».

 

Il Parlamento, poi, invita tutti gli Stati «a non utilizzare, investire, stoccare, produrre, trasferire o esportare munizioni a grappolo», finché non sarà entrata in vigore la Convenzione. I membri dell'UE che hanno utilizzato munizioni a grappolo sono inoltre esortati «a fornire assistenza alle popolazioni colpite», nonché assistenza tecnica e finanziaria per «l'eliminazione e la distruzione dei residuati». La Commissione, d'altro canto, dovrebbe aumentare l'assistenza finanziaria per gli stessi scopi, «utilizzando tutti gli strumenti disponibili».

 

Infine, il Parlamento invita tutti gli Stati membri dell'UE a non intraprendere alcuna azione che possa aggirare o pregiudicare la Convenzione e le sue disposizioni e, in particolare, «a non adottare, approvare o successivamente ratificare un eventuale protocollo alla Convenzione sulle armi convenzionali (CCW) che consenta l'utilizzo di munizioni a grappolo».

 

Link utili

 

Articolo pubblicato in "Prima pagina" del sito Europarl
Risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2007 su "Verso un trattato internazionale per la messa al bando delle munizioni a grappolo"
Risoluzione del Parlamento europeo sulla Convenzione sull'interdizione delle armi biologiche e tossiniche (BTWC), le munizioni a grappolo e le armi convenzionali (16.11.2006)

 

Riferimenti

 

Risoluzione sulle munizioni a grappolo   

Procedura: Risoluzione

Dibattito: 19.11.2008

Votazione: 20.11.2008

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Innalzare l'età pensionabile e ridurre le imposte sul lavoro


A fronte dell'invecchiamento della popolazione, il Parlamento chiede di ammodernare i sistemi di protezione sociale e i regimi pensionistici per garantirne la sostenibilità nonché di mettere a punto un mercato UE in questo campo. Occorre inoltre innalzare l'età pensionabile, ricorrere maggiormente a schemi pensionistici complementari e professionali, limitare le imposte sul lavoro e garantire finanze pubbliche sane. Vanno poi riformati i sistemi di assistenza sanitaria.

 

Approvando con 480 voti favorevoli, 44 contrari e 10 astensioni la relazione di Gabriele STAUNER (PPE/DE, DE), il Parlamento rileva anzitutto che il concetto di previdenza sociale «non è inteso come rapporto costi-benefici», bensì come «contratto sociale da cui derivano diritti e doveri sia per il cittadino sia per lo Stato, e come tale dovrebbe essere trattato». Fermo restando che gli aspetti di bilancio della previdenza sociale «non devono in alcun caso essere trascurati». Anche perché la spesa dell’UE destinata alla protezione sociale ammonta al 27,2% del PIL (dati del 2008), la cui quota principale serve a finanziare le prestazioni di vecchiaia e le pensioni (46%). Mentre, secondo le proiezioni, il rapporto fra le persone con più di 65 anni e quelle in età lavorativa passerà da 1:4 del 2005 a 1:2 nel 2050.

 

Pertanto, il Parlamento invita gli Stati membri ad ammodernare i sistemi di protezione sociale - segnatamente tramite una maggiore differenziazione nelle formule delle prestazioni e nei meccanismi di finanziamento - nonché a incrementare gli investimenti nel capitale umano promuovendo la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione e mediante un’istruzione e una formazione di miglior livello nel contesto dell’apprendimento permanente per tutti. Nell'ambito delle attuali tendenze demografiche, economiche e sociali, i deputati evidenziano l’importanza di reperire nuovi metodi per una distribuzione efficace ed equa dei costi e dei benefici su una popolazione che sarà composta da un minor numero di persone economicamente attive e da un maggior numero di persone economicamente inattive.

 

Il Parlamento sottolinea quindi la necessità di discutere a livello nazionale un innalzamento dell’età pensionabile prevista dalla legge. A suo parere, infatti, è necessario che i lavoratori «siano incoraggiati a continuare a svolgere la propria attività su base volontaria e finché le condizioni lo permettano, fino all’età legale o anche oltre». Invita quindi gli Stati membri a creare incentivi finanziari e sociali «che stimolino i lavoratori a proseguire volontariamente l’attività lavorativa anche dopo il raggiungimento dell’età pensionabile prevista dalla legge». Le parti sociali, invece, sono esortate a negoziare misure ad hoc per ciascun settore in relazione sia all’invecchiamento dei lavoratori sia a una politica del personale attenta agli aspetti legati all’età.

 

Il Parlamento ritiene che i regimi pensionistici pubblici rafforzano la solidarietà sociale e rientrano nella responsabilità degli Stati membri e che la salvaguardia di questi sistemi pensionistici dovrebbe costituire una priorità politica. Invita tuttavia gli Stati membri a prendere in debita considerazione l’esigenza di procedere a un ripensamento degli schemi pensionistici tradizionali fondati su una valutazione sistematica del rischio. Una loro trasformazione è anche necessaria «per conseguire un mercato del lavoro flessibile». In tale contesto, suggerisce che le pensioni obbligatorie (primo pilastro) siano affiancate da sistemi pensionistici professionali a finanziamento collettivo (secondo pilastro) e da prodotti complementari individuali (terzo pilastro).

 

Per i deputati, d'altra parte, il maggior uso di alternative alle pensioni finanziate dallo Stato, come i regimi pensionistici complementari, «potrebbero costituire un’alternativa attuabile». In tale ambito, rilevano che le pensioni private potrebbero includere regimi pensionistici professionali gestiti dai datori di lavoro o da altre organizzazioni e associazioni collettive, oppure quelli finanziati personalmente dai lavoratori. Tuttavia, osservano che l’esistenza di pensioni private «aumenterebbe la necessità di un’adeguata regolamentazione dei fondi pensionistici privati, della trasferibilità di tali pensioni e della promozione e del continuo ammodernamento (fra cui, più flessibilità) di queste alternative». Rilevano inoltre la necessità di rafforzare i livelli di partecipazione e di contribuzione dei lavoratori ai regimi pensionistici esistenti al fine di assicurare un reddito adeguato agli interessati e sostengono la necessità da parte dei datori di lavoro di continuare a versare contributi sufficienti, in particolare ai regimi pensionistici contributivi.

 

Più in generale, il Parlamento sottolinea l’importanza di mettere a punto un mercato europeo dei sistemi pensionistici e di previdenza sociale  «trasparente e flessibile», riducendo le barriere fiscali e gli ostacoli alla trasferibilità dei diritti pensionistici da uno Stato membro all’altro. Invita quindi la Commissione a elaborare un quadro di regolamentazione e vigilanza dei prodotti pensionistici paneuropei che sia «adeguato e fattibile». La esorta inoltre a procedere urgentemente a una revisione della direttiva 2003/41/CE in modo da creare un solido regime di solvibilità adattato agli enti pensionistici professionali, estendendo ai fondi pensionistici alcuni aspetti della direttiva sull’accesso alle attività di assicurazione e di riassicurazione e al loro esercizio (“Solvibilità II”). Rileva peraltro che un mercato interno delle pensioni professionali e complementari «consentirebbe ai cittadini di usufruire della portabilità delle pensioni professionali, stimolerebbe la concorrenza e ridurrebbe il costo del risparmio per la pensione».

 

I deputati ritengono che, a livello europeo e nazionale, si debba mantenere l’equilibrio fra l’attuabilità economica dei sistemi previdenziali e di sicurezza sociale, da un lato, e la copertura dei rischi sociali, dall’altro. Al riguardo, rilevano che la normativa UE sul lavoro dovrebbe potenziare i contratti di lavoro a tempo indeterminato come forma predominante di occupazione. Ma riconoscono che è anche necessario tutelare i diritti dei lavoratori con altre forme di occupazione. Il Parlamento sottolinea inoltre la necessità per gli Stati membri di mantenere livelli adeguati di finanziamento dei sistemi pensionistici e di protezione sociale, che individuino solide basi imponibili alternative. Enfatizza poi l’importanza di limitare il ricorso alle imposte sul lavoro al fine di aumentare la competitività delle economie degli Stati membri e di offrire ulteriori incentivi al lavoro. Suggerisce pertanto di prendere in considerazione nuovi metodi fiscali e/o alternative per migliorare la sostenibilità finanziaria della spesa sociale, che potrebbero ridurre la pressione fiscale sulle persone con redditi inferiori.

 

Gli Stati membri dovrebbero anche assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche in modo da far fronte alla crescente pressione esercitata dall’invecchiamento della popolazione e includere nei loro bilanci annuali un fondo per il pagamento delle pensioni future. Il Parlamento ritiene peraltro che i migranti possano contribuire a raggiungere un maggiore equilibrio nei regimi di previdenza sociale «purché siano assunti legalmente e contribuiscano pertanto al loro finanziamento». Evidenzia poi la necessità di prendere in esame «un graduale passaggio dai sistemi previdenziali a ripartizione ai sistemi previdenziali a capitalizzazione». Auspica inoltre che il Consiglio rifletta sull’opportunità di apportare ulteriori miglioramenti al Patto di stabilità, permettendo ad esempio che gli investimenti a più lungo termine siano contabilizzati su un periodo di tempo più dilazionato.

 

Il Parlamento fa poi notare che, al fine di garantire condizioni di vita adeguate per le persone disabili ed evitare la "trappola degli aiuti", è necessario introdurre misure compensative per il costo della vita più elevato sostenuto dai disabili a causa della loro condizione e coordinarle con regimi pensionistici e misure politiche di integrazione sociale. Sottolinea inoltre la necessità di prevedere misure compensative per le donne e le persone dedite all’assistenza, «che offrano loro scelte effettive nella decisione di avere figli e di prenderne cura, liberandole dai timori di possibili svantaggi finanziari o di ostacoli nell’avanzamento della carriera». In tale contesto, plaude alle iniziative di taluni Stati membri volte a abbonare il periodo consacrato ai figli o alla famiglia nel regime pensionistico obbligatorio. Al contempo chiede di migliorare i servizi di sostegno e di custodia dei bambini e di assistenza ai familiari non autosufficienti, «così da ridurre il numero delle persone che lavorano a tempo parziale su base volontaria».

 

Il Parlamento insiste poi sull’importanza di preservare i valori e i principi che costituiscono il fondamento della totalità dei sistemi di assistenza sanitaria dell’UE, ferma restando la necessità di un uso razionale di risorse limitate. Considerato l’aumento dei costi dell’assistenza sanitaria e delle cure continuative di lunga durata, reputa opportuno che gli Stati membri riflettano sui loro modelli di finanziamento. Riconosce poi «la crescente popolarità» sia di soluzioni fondate su criteri di mercato sia della privatizzazione nel finanziamento dei servizi sanitari. Ma rileva che la privatizzazione funzionale dei sistemi sanitari pubblici, l’orientamento al profitto e la concorrenza tra intermediari finanziari «rendono generalmente più onerosa la gestione dei sistemi sanitari», mentre i vantaggi in termini di contenimento dei costi, efficienza e qualità dei servizi di assistenza «restano discutibili». Raccomanda pertanto ai governi degli Stati membri con un sistema a pagatore unico di mantenere tale modello.

 

D'altra parte, il Parlamento esorta gli Stati membri a evitare un approccio puramente finanziario nell’adozione di riforme politiche volte a ridisegnare il quadro giuridico dei rispettivi sistemi sanitari nazionali. In tale ambito, dovrebbero prender in considerazione l’intero spettro delle funzioni e delle politiche di finanziamento del sistema sanitario, «anziché concentrarsi esclusivamente sui meccanismi contributivi».

 

Link utili

 

Comunicazione della Commissione - Ammodernare la protezione sociale per un rafforzamento della giustizia sociale e della coesione economica: portare avanti il coinvolgimento attivo delle persone più lontane dal mercato del lavoro
Comunicazione della Commissione - Promuovere la solidarietà fra le generazioni

 

Riferimenti

 

Gabriele STAUNER (PPE/DE, DE)

Relazione sul futuro dei regimi previdenziali e pensionistici

Procedura: Iniziativa

Votazione: 20.11.2008

 

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OLAF: maggiore rispetto dei diritti fondamentali


Il Parlamento si è pronunciato su una proposta legislativa volta a migliorare il funzionamento dell'Ufficio antifrode dell'UE. Chiede in particolare di garantire i diritti procedurali e fondamentali delle persone coinvolte, dotando l'OLAF di un codice di procedura delle indagini, creando la funzione di controllo di legittimità e prevedendo sanzioni disciplinari per chi divulga informazioni non autorizzate. Ma chiede anche di garantire a protezione delle fonti giornalistiche. 

 

La proposta della Commissione intende migliorare il funzionamento dell'OLAF all’interno del quadro esistente senza alterarne la struttura istituzionale. Approvando con 450 voti favorevoli, 8 contrari e 11 astensioni la relazione di Ingeborg GRÄSSLE (PPE/DE, DE), che propone ben 92 emendamenti alla proposta, il Parlamento sottolinea anzitutto la necessità di valutare il quadro giuridico, istituzionale e operativo della lotta contro la frode, la corruzione e qualsiasi altra attività a detrimento degli interessi finanziari della Comunità europea. A tal fine occorre invitare le istituzioni a concertare la loro azione e promuovere la riflessione sugli aspetti fondamentali della strategia antifrode europea ed è opportuno stabilire una procedura di concertazione fra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione.

 

Garanzie procedurali e diritti fondamentali

 

Un emendamento sottolinea la necessità di prevedere una base giuridica che permetta all'Ufficio di dotarsi di un codice di procedura delle indagini per assicurare «la massima trasparenza possibile» delle sue attività operative. Il codice, in particolare, dovrebbe riguardare i principi che disciplinano la procedura d'indagine, i diritti legittimi delle persone interessate e le garanzie procedurali, le disposizioni in materia di protezione dei dati, la politica di comunicazione dell'informazione relativa ad alcuni aspetti dell'attività operativa dell'Ufficio, il controllo di legittimità degli atti d'indagine e i mezzi di ricorso delle persone interessate.

 

Inoltre, al fine di assicurare il rispetto delle garanzie procedurali durante lo svolgimento delle indagini, il Parlamento ritiene che, in seno all'Ufficio, è necessario garantire una funzione di controllo di legittimità. Questo dovrebbe intervenire in particolare prima dell'apertura e della chiusura di un'indagine, e prima di ogni trasmissione di informazioni alle autorità competenti degli Stati membri. Esso dovrebbe inoltre essere effettuato da esperti di diritto che possono esercitare una funzione giudiziaria in uno Stato membro e che operano in seno all'Ufficio. Dovrebbe anche essere sollecitato il parere di tali esperti nel quadro del comitato esecutivo dell'Ufficio.
 

Per i deputati, inoltre, il rispetto dei diritti fondamentali delle persone che sono oggetto di indagini dovrebbe essere costantemente garantito, in particolare durante la comunicazione di informazioni. Occorre quindi chiarire i principi di base della politica di comunicazione dell'Ufficio. A loro parere, la comunicazione di informazioni relative alle indagini dell'Ufficio al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Commissione e alla Corte dei conti, in modo bilaterale o nel quadro della procedura di concertazione, «va effettuata nel rispetto della riservatezza delle indagini, dei diritti legittimi delle persone interessate e, se del caso, delle disposizioni nazionali applicabili alle procedure giudiziarie». Il codice di procedura d'indagine, inoltre, dovrebbe precisare le sanzioni disciplinari da applicarsi in caso di divulgazione non autorizzata di informazioni.

 

Allo stesso tempo, tuttavia, facendo riferimento al "caso Tillak", un emendamento afferma che tutti gli organi dell'Unione europea che prendono parte ai lavori investigativi «devono rispettare il principio della protezione delle fonti giornalistiche conformemente alla legislazione nazionale». Ciò, secondo i deputati deve consentire «un'informazione obiettiva dei contribuenti europei» e «garantire la libertà di stampa».

 

Nelle sue indagini l’Ufficio deve raccoglie elementi «a carico e a favore dell’interessato». Il Parlamento precisa che le indagini devono essere svolte «in modo obiettivo e imparziale, nel rispetto del principio della presunzione d'innocenza e delle garanzie procedurali, esposte nel codice di procedura». Diversi emendamenti sono volti a potenziare il ruolo e il mandato del comitato di vigilanza, il quale dovrebbe sorvegliare anche gli sviluppi relativi alle garanzie procedurali, senza però interferire nelle indagini.

 

Un lungo emendamento, inoltre, conferisce il diritto a qualsiasi persona coinvolta personalmente in un'indagine di presentare denuncia presso il comitato di vigilanza, allegando una violazione dei diritti procedurali o umani durante un'indagine. Ricevuta una denuncia, il comitato di vigilanza deve trasmetterla senza indugio al consigliere revisor incaricato del controllo del rispetto delle procedure. Quest'ultimo, dovrà esercitare le proprie funzioni nella più completa indipendenza, senza sollecitare né accettare istruzioni da chicchessia. Il consigliere revisore sarebbe inoltre competente per trattare le denunce degli informatori.

 

Nomina del Direttore generale

 

Per rafforzare la completa indipendenza nella gestione dell’Ufficio, la Commissione propone che il direttore generale sia designato per un periodo di sette anni non rinnovabili. Il Parlamento ritiene invece che esso debba essere nominato per cinque anni, rinnovabile una volta. Al momento della selezione, precisa un emendamento, i candidati dovrebbero esercitare o aver esercitato un'alta funzione giudiziaria o una funzione esecutiva di indagine e possedere un'esperienza professionale operativa di almeno 10 anni in un posto di elevata responsabilità gestionale. Una parte significativa di tale esperienza professionale, inoltre, deve essere acquisita nel settore della lotta antifrode a livello nazionale e/o comunitario. I deputati chiedono inoltre che il direttore generale sia designato di comune accordo fra il Parlamento europeo e il Consiglio e nominato poi dalla Commissione.

 

Link utili

 

Proposta della Commissione


 

Riferimenti

 

Ingeborg GRÄSSLE (PPE/DE, DE)

Relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1073/1999 relativo alle indagini svolte dall’Ufficio per la lotta antifrode (OLAF)

Procedura: Codecisione, prima lettura

Dibattito: 20.11.2008

Votazione: 20.11.2008

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Una direttiva sulle ispezioni ambientali


Il Parlamento chiede alla Commissione di proporre entro fine del 2009 una direttiva sulle ispezioni ambientali e di rafforzare la rete UE per l'attuazione e l'applicazione della legislazione ambientale, eventualmente con una forza ispettiva comunitaria. Ritiene infatti necessario garantire un'applicazione uniforme del diritto ambientale comunitario in tutti gli Stati membri. Propone inoltre di sostenere misure di educazione e informazione sulla protezione dell'ambiente.

 

Approvando con 390 voti favorevoli, 8 contrari e 11 astensioni una risoluzione proposta dalla sua commissione per l'ambiente, il Parlamento sollecita la Commissione a presentare invece entro la fine del 2009 una proposta di direttiva sulle ispezioni ambientali, «chiarendone le definizioni e i criteri e ampliandone il campo d'applicazione». Si dice infatti contrario all'intenzione della Commissione di affrontare la questione soltanto mediante una raccomandazione non vincolante e l'inserimento di specifici criteri giuridicamente vincolanti nella legislazione settoriale.

 

Per i deputati, è inoltre essenziale rafforzare la rete dell'Unione europea per l'attuazione e l'applicazione della legislazione ambientale (IMPEL) e sollecitano quindi la Commissione a riferire entro la fine del 2009 sulle possibili modalità, fra cui «la creazione di una forza ispettiva ambientale comunitaria».

 

Il Parlamento, infatti, esprime preoccupazione per la conclusione della Commissione secondo la quale la piena attuazione della legislazione ambientale della Comunità «non può essere garantita», poiché ciò porta «a un continuo danno all'ambiente» e «a distorsioni della concorrenza». In proposito, sottolinea che un'applicazione corretta e uniforme del diritto ambientale comunitario «è essenziale» e che qualsiasi mancanza in questo senso «verrebbe meno alle aspettative del pubblico e pregiudicherebbe la reputazione della Comunità quale efficace guardiano dell'ambiente».

 

Propone, infine, di concentrarsi maggiormente su un aiuto a misure di educazione e di informazione sulla protezione dell'ambiente, il cui contenuto preciso dovrebbe essere determinato su scala locale, regionale o nazionale in funzione dei bisogni e dei problemi osservati nel territorio in questione.

 

Antefatti

 

Nel 2001, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato la raccomandazione 2001/331/CE, contenente criteri non vincolanti per la programmazione, l'attuazione, le attività di seguito e di comunicazione sulle ispezioni ambientali, riconoscendo che esistevano marcate disparità tra i regimi ispettivi negli Stati membri. La raccomandazione aveva l'obiettivo di rafforzare il rispetto del diritto ambientale comunitario contribuendo ad una sua più coerente attuazione e applicazione in tutti gli Stati membri.

La Commissione europea, in una comunicazione del 2007, esprime la propria posizione su un ulteriore sviluppo della raccomandazione, basandosi tra l'altro sulle relazioni che gli Stati membri hanno presentato sulla propria attuazione della raccomandazione. La Commissione, inoltre, «riconosce che il campo di applicazione della raccomandazione non è adeguato e non include molte attività importanti, quali Natura 2000, il controllo dei trasporti illegali di rifiuti, la registrazione e l'autorizzazione di sostanze chimiche (REACH), la restrizione di talune sostanze pericolose nei prodotti (ad esempio la direttiva RoHS), il commercio delle specie minacciate d'estinzione nonché le attività relative agli organismi geneticamente modificati e i sistemi di responsabilizzazione dei produttori».

 

Link utili

 

Comunicazione della Commissione sul riesame della raccomandazione 2001/331/CE che stabilisce i criteri minimi per le ispezioni ambientali negli Stati membri
Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 aprile 2001, che stabilisce i criteri minimi per le ispezioni ambientali negli Stati membri

 

 

Riferimenti

 

Risoluzione sul riesame della raccomandazione 2001/331/CE che stabilisce i criteri minimi per le ispezioni ambientali negli Stati membri  

Procedura: Risoluzione

Dibattito: 20.11.2008

Votazione: 20.11.2008

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