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RESOCONTO
14 gennaio 2009 Strasburgo
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Dibattito sulle priorità della presidenza ceca | |
Hans-Gert PÖTTERING, presentando il Primo ministro Topolànek, ha ricordato come la Repubblica ceca sia passata da paese comunista a membro dell'Unione europeo. Ha inoltre sottolineato che, dall'ampliamento del 2004, la Repubblica ceca è stato il secondo Stato membro (dopo la Slovenia) ad assumere la Presidenza UE del Consiglio e ha ribadito il pieno sostegno del Parlamento europeo.
Dichiarazione della Presidenza
«La questione ceca è una questione europea», ha esordito Mirek TOPOLÁNEK sostenendo di credere in un'Europa delle libertà, dei diritti, delle idee e delle regole. Le priorità della presidenza ceca, ha spiegato, si possono ricapitolare con le tre E: economia, energia e Europa nel mondo. Alle quali si aggiungono due G portate dall'attualità: Gas e Gaza. Il motto della Presidenza, ha ricordato, è «un'Europa senza barriere» ma anche «un'Europa di regole». Per quanto riguarda l'economia, ha spiegato, la Presidenza spingerà per una piena attuazione delle conclusioni della Dichiarazione del Vertice G20 dello scorso novembre nonché delle conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2008. Si impegnerà inoltre nella piena affermazione e nell'esercizio delle quattro libertà basilari, alle quali bisognerebbe aggiungerne una quinta: la libertà di movimento della conoscenza.
La Presidenza ceca, ha detto, continuerà a promuovere un'energia sicura, competitiva e sostenibile per l'Europa, diversificandone le forniture e le vie di trasporto ma anche prendendo in seria considerazione lo sviluppo di un'energia nucleare sicura. La priorità energetica è «legata inscindibilmente alla politica della protezione ambientale» e, in tale ambito, la Presidenza cercherà di raggiungere un accordo globalmente accettabile in merito agli impegni per il dopo 2012, e ciò significa «coinvolgere gli Stati Uniti, la Cina e l'India».
Per quanto riguarda l'Europa nel mondo, il Primo Ministro ha sottolineato che la nuova recrudescenza delle tensioni tra Israele e Hamas richiede, a suo parere, un approccio attivo dall'Unione europea ma anche un coordinamento con gli attori globali e regionali. Fra le priorità, ha poi fatto riferimento agli accordi di associazione con i paesi orientali, alle relazioni transatlantiche, agli accordi di associazione con la Russia, all'ampliamento verso i paesi dei Balcani occidentali e Turchia, alla dimensione meridionale della politica di vicinato europea nonché alla sicurezza interna dell'Unione, inclusi ulteriori progressi nell'area Schengen. Ha successivamente osservato che nei prossimi sei mesi ci saranno altri temi importanti che dovranno essere affrontati dall'Unione: le elezioni europee, l'avvio delle discussioni sulla nuova composizione della Commissione europea e la posizione irlandese in merito al trattato di Lisbona. A quest'ultimo riguardo si è detto convinto della necessità di «procedere sensibilmente nelle discussioni e rispettando la sovranità dei cittadini irlandesi». Se nella Repubblica ceca dovesse aver luogo un referendum sul trattato di Lisbona, ha detto, questo non avrebbe esito positivo. Bisogna quindi trovare una soluzione che la maggioranza degli irlandesi sia in grado di accettare.
Dichiarazione della Commissione
Facendo riferimento ai due nuovi temi cui si è dovuta confrontare la Presidenza ceca, la crisi nella fornitura del gas e Gaza, il Presidente della Commissione José Manuel BARROSO ha sostenuto la necessità di «dimostrare che l'Unione può far fronte a tali crisi» e, per quanto riguarda le elezioni europee del 2009, «dobbiamo dimostrare agli europei che spetta a loro coprire un ruolo nell'elezione del prossimo Parlamento».
Nel 2008, l'Europa ha dimostrato di essere in grado di prendere decisioni difficili, sul cambiamento climatico e in risposta alla crisi finanziaria. Ha contribuito alla soluzione del conflitto tra Russia e Georgia e si è occupata di molte altre tematiche. Ha quindi proseguito ribadendo che «non bisogna perdere l'impeto nel 2009» e l'Europa «deve dar prova di leadership» nel prossimo incontro del G20. Altri temi in agenda comprendono la giustizia e le libertà civili, il cambiamento climatico, una revisione dei bilanci, misure per la crisi finanziaria, il mercato interno dell'energia, le telecomunicazioni e il trasporto su strada e, ha sottolineato, «queste sono aree dove l'Unione può veramente fare la differenza».
Ritornando poi ai problemi tra la Russia e l'Ucraina sulla fornitura di gas, Barroso ha definito la situazione «inaccettabile ed incredibile», poiché le forniture non sono riprese il giorno dopo della firma dell'accordo. Ha quindi aggiunto che «la Commissione intende inviare un chiaro messaggio a Mosca e a Kiev. Se l'accordo non sarà onorato, la Commissione suggerirà alle società di adire le vie legali e agli Stati membri di cercare fornitori alternativi. Vedremo presto se si tratta di un semplice disguido tecnico oppure di una mancanza di volontà politica». In gioco è la questione se Russia e Ucraina possono essere considerati «partner affidabili». Ha infine concluso ribadendo che, comunque, la Commissione avanzerà misure per dare una spinta al mercato interno delle forniture energetiche.
Interventi in nome dei gruppi politici
Per Joseph
DAUL (PPE/DE, FR) i problemi principali cui deve far fronte la
nuova presidenza ceca - la recessione economica, la crisi nella
fornitura di gas e il Medio Oriente - dimostrano che «un fronte
unito è l'unico atteggiamento che possiamo adottare». Per quanto
riguarda la fornitura di gas ha spiegato che «non possiamo accettare
che gli Stati membri dell'Unione siano ostaggi in una disputa»,
sottolineando la necessità «di una politica energetica per ridurre
la nostra dipendenza». In merito alla crisi israelo-palestinese, ha
proseguito, l'Europa necessita di «un impegno strategico» per questa
parte del mondo. Si è poi domandato se siamo pronti a dispiegare
mezzi militari - per la pace, non per la guerra - come pure risorse
finanziarie. Infine, sulla crisi finanziaria, ha invitato la
presidenza ceca insieme alla Commissione, a «definire regole per gli
operatori economici» e sottolineato la necessità di «una
supervisione mondiale del sistema per i mercati».
Martin SCHULZ (PSE, DE) ha ricordato che «quello che faremo nei prossimi sei mesi sarà decisivo per le elezioni europee». Dicendo di aver avuto dubbi su alcune dichiarazioni rese dalla presidenza ceca, come ad esempio quella in cui si affermava che «Israele ha il diritto di difendersi» e, per quanto riguarda la disputa per il gas, che «non possiamo agire da intermediari», si è compiaciuto che tali errori siano stati corretti. Riconoscendo che la crisi economica non è «una sconfitta del capitalismo», il deputato socialista ha però affermato che si tratta di «una sconfitta per i capitalisti». In proposito, ha osservato che in passato vi è chi ha affermato che non c'era necessità di regole ma, fortunatamente, «il Primo Ministro ceco si è ora ricreduto su tale questione». In conclusione, ricordando che «siamo forti solo se non siamo divisi» e dichiarandosi rammaricato dei diversi punti di vista espressi dai leader europei sulla crisi tra Israele e Palestina e sulla disputa per il gas, ha ribadito che «ci vuole un fronte unito» le cui base potrebbero essere fornite dal trattato di Lisbona.
Graham WATSON (ALDE/ADLE, UK), facendo riferimento al programma della presidenza ceca, ha sottolineato che «questi sono tempi duri per i cittadini europei ... e la vostra ricetta sarà contestata». Ha poi chiesto la fine della «dipendenza energetica ombelicale» dell'Unione e ha fatto riferimento alle implicazioni dello scaricabarile tra Russia e Ucraina, aggiungendo che la riapertura dei reattori nucleari nell'Europa dell'Est sono come «la trama di un film dei fratelli Marx». Rivolgendosi al Primo Ministro ceco ha chiesto perché il suo paese avesse «ritardato ancora una volta la ratifica del trattato di Lisbona» e perché stesse costruendo «un sistema di missili balistici sul territorio europeo». Infine, per quanto riguarda Gaza, ha sottolineato che il Parlamento europeo non sarà mai unito in una posizione comune se si cerca di ripartire la colpa.
Per Brian CROWLEY (UEN, IE) bisogna instaurare migliori relazioni politiche tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America e si è augurato che la Presidenza ceca se ne occuperà nei prossimi sei mesi. Si è quindi congratulato con la Presidenza e con la Commissione per l'azione «decisiva» intrapresa nella disputa per il gas. Ha infine sottolineato l'importanza dell'idea di un accordo di cooperazione ad Est, vista la nostra interdipendenza sia a livello energetico sia a livello economico.
Monica FRASSONI (Verdi/ALE, IT) ha esordito sottolineando che «la priorità massima» dell'UE «debba essere quella di fermare le bombe sulla gente di Gaza», aldilà delle diverse interpretazioni sulle responsabilità. Ha poi rilevato che il programma della Presidenza sembra fortemente marcato «da un approccio conformista, liberista ad oltranza, tutto business e tutto mercato» che, ormai, «è fuori moda». A suo giudizio, il programma è anche «un po' indifferente rispetto alla necessità di politiche, leggi e strumenti in materia sociale che rispondono alle reali necessità dei cittadini». E' anche «fuori strada nella sua concezione della politica ambientale della lotta ai cambiamenti climatici come un costo, un ostacolo, e non una grande opportunità di innovazione e di crescita sostenibile». Inoltre, ha aggiunto, il programma è pure «un po' machista», quando propone di rivedere gli obiettivi di Barcellona sulle strutture di sostegno alla cura dei bambini, «allo scopo naturalmente di mandare le donne a casa di nuovo».
Un programma, ha proseguito, «che vede i migranti solamente come una questione di sicurezza, che spinge sulla NATO piuttosto che sul multilateralismo, che ancora giocherella con questa storia dei missili e non mette veramente l'accento su quello che per noi è veramente importante in politica estera: la coesione della nostra Unione». La leader dei Verdi non ha poi apprezzato il fatto che il programma non menzioni «un settore molto importante come quello dell'antidiscriminazione» e, in proposito, ha chiesto quali sono le intenzioni circa l'adozione della direttiva in questa materia. Insomma, a suo parere, si tratta di «un programma da cui traspare un mondo con troppi pericoli e con poche opportunità». Facendo riferimento alla mediazione della Presidenza nel conflitto russo-ucraino sul gas, la deputata ha affermato che dal programma emerge chiaramente come non sarà durante questo semestre «che uscirà un'azione chiara nei confronti di quei paesi, come la Slovacchia e anche la Bulgaria, che approfittano della crisi del gas per riaprire impianti nucleari pericolosi e obsoleti». Ha inoltre esclamato che oggi «non esiste il nucleare sicuro» e quindi «è inutile parlarne» poiché si tratta di «un miraggio molto costoso» che distrae dalle reali priorità. La sicurezza energetica e la solidarietà, ha aggiunto, «passano attraverso un'azione forte e senza distrazione a favore dell'efficienza e del risparmio energetico, che è un gigantesco cantiere di innovazione, di occupazione, di riduzione dei consumi». Ha quindi chiesto di convincere i governi UE a mettere al centro del Consiglio europeo di primavera il fatto di rendere vincolante l'obiettivo del 20% di risparmio energetico entro il 2020 - «la Cenerentola del pacchetto energia» - e di valorizzare le decisioni prese a dicembre in materia di energia rinnovabile.
Ha poi concluso chiedendo al Ministro la ragione per la quale la Repubblica ceca non ha ancora ratificato il trattato di Lisbona.
Miloslav RANSDORF (GUE/NGL, CZ) ha dichiarato che la Presidenza ceca dovrebbe aspirare ad un'economia sociale, incentrata sull'innovazione, che permetterebbe all'Unione di trovare una via di uscita alla crisi economica. Il futuro, ha aggiunto, appartiene a coloro i quali sono capaci di cambiamenti. Sottolineando come sia importante costruire un'Europa che non debba più soffrire di un complesso di inferiorità nei confronti degli Stati Uniti, si è congratulato per i traguardi ambiziosi della presidenza ceca.
Per Vladimír ŽELEZNÝ (IND/DEM, CZ) la Presidenza ceca si è posta «scopi e priorità ragionevoli e sarà un successo». Ha poi aggiunto che i cechi «hanno un Presidente famoso e competente che si oppone al trattato di Lisbona».
Interventi dei deputati italiani
Mario BORGHEZIO (UEN, IT) ha auspicato che la Presidenza ceca «faccia passare l'Europa dal bla bla inutile di Bruxelles ai fatti in tema di lotta alla vergogna del traffico di carne umana dei clandestini che avviene nel Mediterraneo». In proposito, ha ricordato che il ministro Maroni, in una recente riunione dei ministri degli Interni di Cipro, Grecia, Italia e Malta, «ha dato finalmente una sveglia all'Europa». A suo parere, infatti, «è ora che l'Europa prenda atto della gravità della situazione del Mediterraneo: traffici clandestini e di droga dall'Africa e dall'Asia». La Presidenza ceca deve quindi considerare l'urgenza indispensabile per accordi di riammissione con i paesi terzi di provenienza dei clandestini.
Occorre inoltre rinforzare l'azione di Frontex e collegarla a politiche di riammissione dei clandestini e fondi per i paesi, come l'Italia, che devono accogliere i clandestini. Ha quindi invitato il Presidente a recarsi a Lampedusa «per rendersi conto della gravità del problema», proponendo di installarvi «la sede del centro della lotta ai traffici di droga nel Mediterraneo», «una vergogna che dobbiamo estirpare». «Vada a Lampedusa - ha concluso - come politico e poi magari ci torni come turista, la più bella isola del Mediterraneo!».
Secondo Stefano ZAPPALÀ (PPE/DE, IT) i problemi sul tappeto, cui la Presidenza dovrà trovare una soluzione, «sono tanti e rilevanti». Per il trattato di Lisbona, che necessita di una definitiva approvazione, «la via è già stata tracciata, ma serve un ulteriore colpo d'ala affinché non si protragga oltre il corrente anno». La grave crisi economica mondiale, ha aggiunto, non ha ancora espresso tutti gli effetti «che certamente si dispiegheranno in modo notevole nel corso del corrente anno ed è quindi auspicabile «che si continui sulla via già intrapresa dalla Presidenza francese in maniera che i prossimi G8, peraltro con la Presidenza italiana, raccolgano risultati adeguati alle esigenze europee».
L'Europa, ha proseguito, sta affrontando un grave problema sul fronte dell'approvvigionamento energetico al quale occorre trovare una soluzione. La situazione della Striscia di Gaza, poi, «non può essere ulteriormente tollerata». A suo avviso, «non si deve trattare con i terroristi, ma, una volta per tutte, devono cessare gli attacchi al popolo israeliano e non si deve più tollerare che civili non colpevoli periscano sul fronte di una guerra assurda e purtroppo permanente». Il deputato ha poi sostenuto che l'immigrazione va risolta in chiave europea «e per questo va posta molta attenzione anche alla situazione di alcuni Stati, tra cui l'Italia e Malta, che hanno su questo argomento molte difficoltà». Occorre poi affrontare il problema di Cipro «per risolvere una volta per tutte il rapporto tra Grecia e Turchia, tra l'Europa e la Turchia, che peraltro continua ad essere in perenne attesa dell'adesione».
Facendo riferimento alla partnership orientale menzionata dal Primo ministro, Marco CAPPATO (ALDE/ADLE, IT) ha rilevato che «la partnership è un'invenzione abbastanza recente di questa Unione europea» che «non esisteva nell'Europa che volevano i padri fondatori» nei primi lustri dopo la guerra mondiale. Era l'Europa, ha spiegato, «che dava ai suoi confini la prospettiva dell'adesione anche nei confronti dell'Europa orientale», osservando come l'Europa sia stata un fattore di pace «non perché offriva prospettiva di partnership ai suoi confini, ma perché offriva la prospettiva della membership». In proposito, ha ricordato che la Presidenza francese «è stata molto chiara nel voler definire i confini dell'Europa, sbattendo le porte in faccia innanzitutto alla Turchia e rendendo chiaro che l'Unione europea vuole chiudere i suoi confini». Come "Partito radicale non violento", ha quindi concluso invitando la Presidenza a prendere in considerazione l'urgenza, di nuovo, degli Stati Uniti d'Europa, che si aprono alla membership e non ai rapporti confusi della partnership che nega l'integrazione di ciò che è più importante: i diritti civili e politici per i cittadini europei e ai confini dell'Europa».
Link utili
Programma di lavoro della Presidenza (versione inglese e francese)
Riferimenti
Dichiarazione del Consiglio - Illustrazione del programma della Presidenza ceca Dibattito:14.1.2009 |
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La situazione di Gaza dibattuta in Aula | |
Dichiarazione della Presidenza
Aprendo il dibattito, il Ministro degli esteri ceco, Karel SCHWARZENBERG, ha descritto la «drammatica situazione in Medio Oriente», soffermandosi sulla crisi umanitaria e sottolineando che «il 4 novembre dello scorso anno al personale delle ONG straniere non è stato garantito l'accesso a Gaza per consegnare e monitorare correttamente l'aiuto umanitario».A suo parere, «si comincia a delineare una soluzione alla crisi». Innanzitutto, ci deve essere «un incondizionato arresto degli attacchi missilistici da parte di Hamas verso Israele e la fine dell'azione militare di Israele per permettere la consegna degli aiuti umanitari, il ripristino dei servizi pubblici e le indispensabili cure mediche».
Ha anche sostenuto che «lo spiegamento di una missione internazionale per monitorare l'attuazione del cessate il fuoco ed agire da tramite per le due parti, potrebbe essere d'aiuto», sottolineando che «l'Unione europea è pronta a far ritornare i suoi osservatori». Il ministro ha anche ribadito che l'Unione è pronta a «aiutare qualsiasi governo palestinese che segua politiche e misure che riflettono i principi del Quartetto», ma «sono necessari ed urgenti sforzi maggiori delle parti per raggiungere una completa pace, basata sulla visione di una regione dove due Stati democratici, Israele e Palestina, vivano in pace, fianco a fianco, entro confini sicuri e riconosciuti».
Dichiarazione della Commissione
Benita FERRERO-WALDNER, commissario per le relazioni esterne, ha rilevato che «il conflitto di Gaza, entrato nella sua terza settimana, peggiora di giorno in giorno», causando immense sofferenze umane sia per colpa dei missili di Hamas sia per l'azione militare israeliana. Oltre a questo impatto immediato, il conflitto «fa slittare le prospettive di pace ancora più lontano» e «produce un impatto negativo sulla stabilità dell'intera regione». E' quindi imperativo un cessate il fuoco immediato, ha aggiunto, per permettere agli aiuti umanitari di accedere alla Striscia di Gaza, e occorre un «arresto incondizionato» dei lanci di missili da parte di Hamas e dell'azione militare israeliana.
Ricordando che la richiesta di cessate il fuoco rappresenta un elemento chiave della risoluzione 1860 delle Nazioni Unite, la commissaria ha fatto notare che deve essere fermato il contrabbando di armi attraverso i tunnel tra Gaza e Egitto, va pattugliato il corridoio Filadelfia fra il confine fra Gaza e Egitto e devono essere aperte le frontiere per l'aiuto umanitario. L'Autorità palestinese aveva accettato queste richieste, ma Israele e Hamas stavano «ancora studiandole». Forse, ha proseguito, «tra qualche giorno avremo un vero cessate il fuoco». Sia Israele sia Hamas, ha ricordato, hanno respinto la risoluzione 1860 ma si è detta fiduciosa che, con l'aiuto dell'Egitto e della Turchia, una soluzione duratura possa presto essere trovata. Concludendo il suo intervento ha sottolineato la necessità di riprendere il dialogo per un accordo politico non appena terminino le ostilità.
Interventi in nome dei gruppi politici
Per José Ignacio SALAFRANCA SÁNCHEZ-NEYRA (PPE/DE, ES) i «diciassette giorni di combattimento hanno lasciato un deprimente bilancio di distruzione, caos, odio e vendetta», aggiungendo che «si possono vincere tutte le battaglie salvo quella più importante, per la pace».
Ha quindi chiesto un immediato cessate il fuoco, in linea con la risoluzione 1860 del Consiglio delle Nazioni Unite ed anche provvedimenti umanitari per alleviare la misure nella Striscia di Gaza. «Hamas rappresenta sia la causa sia la conseguenza di queste orrende circostanze», ha concluso.
Martin SCHULZ (PSE, DE) ha osservato che dibattiti di questo tipo sono difficili poiché «Israele è un nostro amico», ma con gli amici si deve parlare anche di cose controverse. Ha quindi spiegato che «Israele ha il diritto all'autodifesa contro coloro che vogliono distruggerlo; ma devono essere usati mezzi proporzionati, nel rispetto della legislazione internazionale» e, ha aggiunto, «sarete d'accordo con me che i mezzi utilizzati non sono proporzionati».
Riconoscendo che Hamas non condivide i nostri valori, il leader socialdemocratico ha insistito sulla possibilità di dialogare con essa, e se Israele non è in grado di farlo, dovremmo cercare altre vie attraverso il Quartetto. nell'auspicare una tregua immediata, ha infine ammonito che «né con il terrorismo né con le armi convenzionali si troverà una soluzione; questa deve venire da una mediazione internazionale».
Secondo Annemie NEYTS-UYTTEBROECK (ALDE/ADLE, BE) ci vuole una forza internazionale per porre fine a questo conflitto ed ha invitato l'Unione europea a prendervi parte. «L'Unione ha bisogno di agire e pronunciarsi in modo chiaro», e «anche gli Stati Uniti devono essere coinvolti, come pure la Lega araba ed i suoi membri».
Cristiana MUSCARDINI (UEN, IT), dicendosi sconvolta da questa situazione, ha sottolineato la necessità di «rinunciare a qualunque ipocrisia» spiegando che «il legittimo e sacrosanto diritto dei palestinesi di avere uno Stato libero passa dall'altrettanto sacrosanto diritto di Israele ad essere riconosciuto». In proposito, ha ricordato che Israele «è stato cancellato dalla carta geografica di molti paesi» e che molti Stati dell'UE «non avrebbero accettato di essere considerati come inesistenti». Ha poi sostenuto che «non è stato Israele a dare avvio a questa ennesima guerra e che il terrorismo è ancora uno dei problemi principali».
Perciò, «non possiamo pensare che il dialogo con i terroristi sia giustificato dal fatto che sono morti tanti civili, perché questo crea la scusante per qualunque terrorista nel futuro per utilizzare la violenza, la forza e la morte per ottenere legittimità politica». L'Unione europea, d'altra parte, deve «trovare finalmente una maggiore coesione, la capacità di affrontare anche il nodo dei rapporti economici con i paesi che non riconoscono Israele» e «garantire i percorsi umanitari che consentano ai civili, palestinesi e israeliani, di essere messi in sicurezza». Ha anche affermato la necessità di rivedere la posizione sugli aiuti «che diamo e che non controlliamo».
Daniel COHN-BENDIT (Verdi/ALE, DE) ha dichiarato che la speranza per la pace e la sicurezza «sta evaporando rapidamente», aggiungendo inoltre che la sicurezza deve essere alimentata. Riferendosi alle parole del collega Schulz ha ricordato che si deve proteggere sia Israele da se stesso sia i palestinesi da Hamas. Per il copresidente dei Verdi, infine, il Consiglio dovrebbe smetterla di pensare a migliorare le sue relazioni con Israele, e i palestinesi hanno bisogno di aiuto per ribellarsi a Hamas.
Luisa MORGANTINI (GUE/NGL, IT) ha esordito citando un palestinese incontrato durante la sua recente visita di Gaza: «Hamas dirà che ha vinto quando sarà terminata questa aggressione, Israele dirà che ha vinto, in realtà siamo morti noi civili». A ciò la deputata ha aggiunto «che in realtà lì, con quei bambini e donne morti o che sono all'ospedale senza cure, muore il diritto, muore il sogno di un'Europa che vuole che i diritti umani siano diritti universali». E questo «è una tragedia». Chiedendo il cessate il fuoco, ha poi sostenuto che l'Europa è inefficace e che la guerra «non porta alla salvezza di Israele, ma alla sua fine anche morale».
Ha poi osservato che, oltre all'attività diplomatica, l'Europa deve utilizzare anche altri strumenti, come ad esempio non procedere all'upgrading delle relazioni con Israele. Riguardo alla protezione internazionale, la deputata ritiene un errore «pensare soltanto a Gaza e a Rafah», sostenendo che gli attacchi israeliani vengono da Herez. Oltre all'eliminazione dei tunnel e del traffico di armi, ha aggiunto, occorre riaprire i valichi ed esercitare pressioni su Hamas affinché smetta di colpire la popolazione israeliana. In conclusione, ricordando che la Cisgiordania è occupata militarmente, ha chiesto a Israele di non costruire insediamenti.
Per Bastiaan BELDER (IND/DEM, NL) la Palestina è inestricabilmente un territorio islamico e non vi è posto per uno stato di Israele in Medio Oriente e la causa di tale totalitarismo è questo sanguinoso conflitto. Il cessate ili fuoco, ha concluso, è semplicemente una pausa per Hamas e non sarà permanente.
Luca ROMAGNOLI (NI, IT), nel condividere gli auspici di pace e le preoccupazioni espressi da molti, ha convenuto con quanto affermato dal Consiglio, sostenendo che la Commissione abbia fin qui seguito un percorso che può essere utile al dialogo, ossia l'apertura dei varchi per scopi umanitari e il cessate il fuoco bilaterale, che «potrebbero essere il prodromo di un successivo impegno per l'organizzazione di una fascia di salvaguardia internazionale». E in proposito, ha sostenuto che tale fascia deve essere estesa a tutti i territori palestinesi.
Paragonando gli auspici e l'attività diplomatica della Commissaria Ferrero Waldner a quanto già fatto dal Santo Padre, ha quindi sostenuto di condividere quest'approccio: «si deve cercare ancora, dopo tanti anni, una soluzione per due popoli e due Stati e per affermare finalmente il diritto internazionale». Ha inoltre ribadito che «non c'è e non si sarà mai una soluzione bellica» e su questo ritiene che l'Unione europea abbia gli strumenti per sostenere ogni sforzo diplomatico utile.
Interventi dei deputati italiani
Per Pasqualina NAPOLETANO (PSE, IT), «di fronte a questa immensa tragedia le nostre parole rischiano di essere inadeguate». A suo parere, inoltre, «un esercito che uccide centinaia di civili, donne e bambini, si pone allo stesso livello del terrorismo che pretende di combattere». Ha poi osservato che, d'altra parte «nessuna operazione militare poteva essere concepita senza mettere in conto un massacro di civili». Si è quindi chiesta se «Israele può dirsi più sicuro dopo aver suscitato tanto odio e disperazione» e «con chi, se non con Hamas, direttamente o indirettamente, si dovrà cercare una via d'uscita alla violenza cieca».
Ricordando che la risoluzione posta in voto giovedì «rafforza la richiesta di cessate il fuoco già espressa dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite», ha quindi invocato le parti a rispettarla e chiesto all'Europa di adoperarsi per renderla possibile. Ha poi concluso paventando il rischio «che questo massacro, lungi dallo sconfiggere Hamas, indebolisca ancora di più proprio l'Autorità palestinese e quelli che nel mondo palestinese hanno puntato tutto sul negoziato con Israele». E in proposito ha sottolineato che costoro non hanno ottenuto nulla.
Roberta ANGELILLI (UEN, IT) ha anzitutto espresso apprezzamento per le parole del Presidente Pöttering «quando ha denunciato senza mezzi termini la grave responsabilità di Hamas nel porre fine alla tregua, ma con altrettanta chiarezza ha giudicato totalmente sproporzionata la reazione israeliana». Ma aldilà delle parole, ha aggiunto, «la crisi rimane e restano migliaia di persone, la popolazione civile e i bambini, che hanno bisogno disperatamente di aiuti umanitari». Ha poi sostenuto che la comunità internazionale «doveva fare di più» e pertanto «dobbiamo sentire tutto il peso delle nostre responsabilità». Non basta distribuire giudizi su Hamas, su Israele, sull'inizio delle responsabilità, di chi ha più colpa, ha aggiunto, «rimane l'inadeguatezza dell'Europa, un'insufficienza grave, un'incapacità di costruire un'autentica, strategica e duratura politica di pace».
Nel chiedere con forza il cessate il fuoco, ha sostenuto che ciò «non basta» e che occorre «porre le nostre condizioni con severità per accompagnare il processo di pace e di sviluppo del Medio Oriente». Ha quindi concluso affermando, come già fatto dal Papa, «che bisogna dare risposte concrete all'aspirazione diffusa che c'è in quei territori a vivere in pace, in sicurezza e in dignità». Anche perché «la violenza, l'odio, la sfiducia sono forme di povertà, forse le più tremende da combattere».
Giulietto CHIESA (PSE, IT) ha esordito ricordando che «un grande antifascista italiano, Piero Gobetti, disse che quando la verità è tutta da una parte, una posizione salomonica è completamente tendenziosa» e «così è per Gaza in questi giorni». Si è quindi augurato che il Parlamento «sappia dire parole adeguate per fermare Israele», anche perché «se non lo farà, si coprirà di vergogna di fronte alla storia, ai palestinesi, all'opinione pubblica europea e a quella araba».
«Israele sta bombardando e decimando un ghetto», ha aggiunto sostenendo che «i figli di coloro che furono sterminati sono diventati sterminatori». E per questo «non c'è scusante e non vale la tesi che Israele ha diritto alla propria sicurezza», anche perché «chiunque, se vuole, è in grado di vedere che nessuno è oggi in grado di minacciare la sicurezza di Israele e la sua esistenza». E ciò è dimostrato dallo «squilibrio delle forze in campo», dal «bilancio dei morti e dei feriti» e dall'appoggio «che l'Occidente continua ad elargire ad Israele». «Questo eccidio - ha concluso - non ha altro scopo che quello di impedire la creazione di uno Stato palestinese; così si uccide la pace e per questo bisogna fermare Israele».
Stefano ZAPPALÀ (PPE/DE, IT), sostenendo che «solo la visione diretta è quella che può dare cognizione esatta di come stanno le cose», ha consigliato di recarsi sul posto a chi vuol esprimere opinioni precise. Su questa vicenda, ha aggiunto, «gli unici perdenti siamo noi del mondo occidentale, perché non abbiamo mai affrontato in maniera seria il problema, non abbiamo mai cercato di risolverlo e continuiamo a vederlo come un fatto tra due parti contrapposte». In realtà, ha spiegato, non sono due, ma tre le parti in causa: i terroristi e lo Stato d'Israele e, «vittima intermedia», il popolo palestinese. Hamas, ha aggiunto «certamente non rappresenta l'intero popolo palestinese». Ha quindi sostenuto che bisogna affrontare la questione «in maniera seria», cioè rafforzando la posizione di Abu Mazen, «che è la figura più debole di tutti».
Riferimenti
Dichiarazioni del Consiglio e della Commissione - Situazione in Medio Oriente/Gaza Dibattito: 14.1.2009 Votazione:15.1.2009 |
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Passaporti biometrici: niente impronte digitali per i minori di 12 anni | |
Approvando con 594 voti favorevoli, 51 contrari e 37 astensioni un maxi-emendamento di compromesso concordato col Consiglio dal relatore Carlos COELHO (PPE/DE, PT), il Parlamento ha adottato una modifica dell'attuale regolamento sulle norme minime di sicurezza dei passaporti che già prevede l'applicazione di un microprocessore che contenga elementi di identificazione biometrica (tratti facciali e impronte digitali). Il compromesso precisa che il microchip dovrà essere «altamente protetto» e che dovranno essere rilevate «due impronte digitali, prese a dita piatte», in formato interoperativo. Le nuove disposizioni sulle impronte digitali si applicheranno a partire dal 28 giugno 2009.
Impronte digitali solo per i bambini di età superiore a 12 anni
L'accordo raggiunto con il Consiglio fissa a dodici anni l'età dei bambini esentati dal rilevamento delle impronte digitali. Permette però agli Stati membri che, prima della data di entrata in vigore del regolamento, hanno adottato una legislazione che prevede un limite di età inferiore a 12 anni di continuare ad applicare questa soglia per altri quattro anni. Precisa, peraltro, che tale limite non può essere inferiore a sei anni. Infatti, i progetti pilota condotti in alcuni Stati membri hanno evidenziato che le impronte dei bambini di meno di sei anni di età non sono di una qualità tale da consentire una verifica univoca dell'identità.
Tuttavia, il
compromesso prevede che, entro tre anni dall'entrata in vigore del
regolamento, la Commissione presenti una relazione basata su
uno studio approfondito e su vasta scala, realizzato da un'autorità
indipendente sotto la sua supervisione, che dovrà esaminare
l'affidabilità e la fattibilità tecnica dell'utilizzazione a fini di
identificazione e verifica delle impronte digitali dei bambini di
età inferiore a 12 anni, ivi compreso un confronto dei tassi di
respingimento ingiustificato registrati in ciascuno Stato membro. Se
necessario, la relazione dovrà essere corredata di proposte volte ad
adeguare il regolamento. Sono beninteso esentate dal rilevamento delle impronte anche le persone per le quali questa operazione «è fisicamente impossibile». L'accordo con il Consiglio prevede inoltre che qualora il rilevamento delle impronte digitali previste sia temporaneamente impossibile, gli Stati membri dovranno consentire il rilevamento delle impronte delle altre dita. Se invece fosse temporaneamente impossibile rilevare le impronte di qualsiasi altro dito, potranno rilasciare un passaporto temporaneo avente una validità di 12 mesi o inferiore.
Il compromesso precisa poi che gli identificatori biometrici dovranno essere rilevati «da personale qualificato e debitamente autorizzato delle autorità nazionali competenti per il rilascio di passaporti e documenti di viaggio». Prescrive inoltre che gli Stati membri dovranno rilevare gli identificatori biometrici «nel rispetto dei diritti stabiliti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo». Dovranno anche garantire che siano predisposte «procedure appropriate a garanzia della dignità della persona interessata, in caso di difficoltà nel rilevamento».
Tutela dei bambini e principio "una persona - un passaporto"
Entro tre anni dall'entrata in vigore del regolamento, la Commissione dovrà presentare una relazione sui requisiti per i bambini che, viaggiando soli o accompagnati, attraversano le frontiere esterne degli Stati membri. Se necessario, dovrà proporre iniziative appropriate al fine di garantire un'impostazione comune riguardo alle norme sulla protezione dei bambini che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri.
Inoltre, come ulteriore misura di sicurezza e per tutelare maggiormente i bambini, sarà introdotto il principio "una persona - un passaporto". I passaporti, infatti, dovranno essere rilasciati «come documenti individuali». Questa regola è raccomandata anche dall'Organizzazione per l'aviazione civile internazionale (ICAO) e fa in modo che il passaporto e i dati biometrici siano collegati esclusivamente al titolare del documento. Al momento, infatti, i bambini possono figurare sul passaporto dei genitori senza che i loro dati figurino nel microchip e ciò può facilitare la tratta dei bambini, dato che è difficile effettuare controlli affidabili sull'identità del bambino.
Per quanto riguarda l'Italia, ad esempio, fino a 15 anni, il minore può lasciare il paese con un certificato o estratto di nascita vidimato dal questore (cosiddetto lasciapassare). Fino a 16 anni, inoltre, può viaggiare con l’iscrizione sul passaporto di un genitore o di chi ne fa le veci o con il passaporto individuale. Al compimento del 16° anno, invece, il minore dovrà avere un proprio passaporto. Per richiedere il passaporto per il figlio minore è necessario l'assenso di entrambi i genitori (coniugati, conviventi, separati o divorziati).
Background
Il regolamento (CE) n. 2252/2004, fissando norme comuni di sicurezza, compresi gli identificatori biometrici, ha conferito un mandato alla Commissione di stabilire (con l'assistenza di un comitato composto di esperti degli Stati membri) le specifiche tecniche necessarie ai fini dell’introduzione di identificatori biometrici nei passaporti e in altri documenti rilasciati dagli Stati membri e validi per periodi superiori a 12 mesi.
Il 28 febbraio 2005 la Commissione ha adottato la prima parte delle specifiche tecniche, relative alla memorizzazione dell’immagine del volto del titolare su un microprocessore senza contatto contenuto nel passaporto. La protezione di tale immagine è garantita dal “Basic Access Control” (controllo accesso di base) che richiede, per l’apertura del microprocessore, la lettura della zona a lettura ottica del passaporto. La decisione della Commissione ha fatto scattare i termini di attuazione, che impongono a tutti gli Stati membri di applicare le disposizioni relative all’immagine del volto entro il 28 agosto 2006.
Con una successiva decisione del 28 giugno 2006, la Commissione ha stabilito le specifiche relative alla memorizzazione di due impronte digitali sul chip del passaporto. Ritenendo che si trattassero di dati più sensibili, ha deciso di proteggerli tramite l’ “Extended Access Control”, sistema che opera con un'infrastruttura a chiave pubblica (ICP). I test svolti da alcuni Stati membri dimostrano che il sistema funziona. Tuttavia, l’accesso ai dati in questione richiede che tutti i posti di controllo alle frontiere siano dotati delle necessarie apparecchiature di lettura, e ciò dovrebbe avvenire entro 2009. Con l'adozione della decisione della Commissione sono scattati i termini per l'introduzione delle impronte digitali: gli Stati membri dovranno memorizzarle nei nuovi passaporti entro 36 mesi a decorrere dal 28 giugno 2006, quindi entro il 28 giugno 2009.
Link utili
Maxi-emendamento
di compromesso
Riferimenti
Carlos COELHO (PPE/DE, PT) Relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2252/2004 del Consiglio relativo alle norme sulle caratteristiche di sicurezza e sugli elementi biometrici dei passaporti e dei documenti di viaggio rilasciati dagli Stati membri Procedura: Codecisione, prima lettura Dibattito: 13.1.2009 Votazione: 14.1.2009 |
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Istituzioni UE più trasparenti: migliorare l'accesso dei cittadini alle informazioni | |
Approvando con 355 voti favorevoli, 195 contrari e 18 astensioni la relazione di Marco CAPPATO (ALDE/ADLE, IT), il Parlamento sottolinea anzitutto che «l'importante sentenza» della Corte di giustizia nella causa Turco (ex eurodeputato) «rafforza ulteriormente nell'UE il principio in base al quale le istituzioni democratiche hanno il dovere di assicurare pubblicità alle proprie attività, documenti e decisioni, in quanto condizione della loro legalità, legittimità e responsabilità». Rileva pertanto che «i documenti devono essere pubblicati e resi comunque accessibili e che ogni eccezione a tale principio deve essere limitata ed interpretata in senso restrittivo».
Sollecita quindi tutte le Istituzioni dell'UE ad applicare il regolamento 1049/2001 sull'accesso del pubblico ai documenti UE, in particolare per quanto riguarda le procedure legislative. Invita inoltre il Consiglio a rivedere le proprie norme per garantire la pubblicità di tutti i dibattiti, documenti e informazioni, ivi compresa l'identità delle delegazioni degli Stati membri in seno al Consiglio e ai suoi gruppi di lavoro e gruppi di esperti e a elaborare trascrizioni delle sue riunioni pubbliche. Invita poi le istituzioni comunitarie ad elaborare una legge ambiziosa dell'UE sulla libertà d'informazione sulla base dell'attuale proposta di revisione del regolamento 1049/2001.
Per i deputati, a prescindere dai punti di accesso, i cittadini dell’UE dovrebbero poter seguire una data procedura legislativa o amministrativa e accedere a tutti i documenti ad essa relativi. Occorre quindi migliorare, semplificare e completare i registri e le pagine web delle istituzioni europee e renderli interoperabili, e creare un vero motore di ricerca interistituzionale che renda più facile per il pubblico l’accesso ai documenti e alle informazioni. Il passo successivo, a loro parere, dovrebbe consistere nell'istituzione di un unico registro/portale UE per le informazioni e i documenti, «che permetta ai cittadini di seguire una determinata procedura e di consultare tutti i documenti attinenti». Dovrebbero inoltre essere usati elaboratori di testi «a fonte aperta» (open source), garantire «effettivo multilinguismo» e ricorrere a tecnologie che permettano alle persone con disabilità di avere accesso alle informazioni e ai documenti.
Il Parlamento invita poi le istituzioni UE ad assicurare che, prima dell'inizio della prossima legislatura, tutti i documenti preparatori rechino il riferimento alla procedura legislativa e che tutti gli ordini del giorno e i risultati dei lavori del Consiglio e degli organi preparatori facciano chiaro riferimento ai documenti di supporto e siano debitamente registrati e pubblicati nel registro del Consiglio (compresi i cosiddetti documenti di riunione). Le istituzioni UE dovrebbero informare i cittadini «in modo corretto e trasparente» in merito alla propria struttura organizzativa, precisando le competenze dei propri servizi interni, illustrandone il workflow interno, fornendo scadenze indicative per i dossier che rientrano fra le loro competenze, e indicando a quali uffici i cittadini debbano rivolgersi per ottenere assistenza, informazioni o presentare ricorsi amministrativi. Tutte le proposte legislative, infine, dovrebbero essere accompagnate da una valutazione d'impatto accessibile al pubblico.
La relazione esorta poi le istituzioni ad una maggiore trasparenza in relazione alle procedure di comitatologia e agli accordi di prima lettura negoziati fra le istituzioni UE in sede di codecisione (i cosiddetti "triloghi") e le invita a provvedere a che gli accordi interistituzionali siano pienamente conformi agli obblighi di pubblicità, apertura e trasparenza delle procedure legislative. Sottolinea peraltro il fatto che le procedure vigenti per la legislazione delegata (i cosiddetti “atti di comitatologia”), riguardante nove decimi degli atti giuridicamente vincolanti adottati ogni anno dalle istituzioni dell'UE, dovrebbero essere riviste e applicate in modo tale da assicurare che siano garantiti i principi democratici e di trasparenza, che i membri, i procedimenti e le votazioni dei comitati siano resi pubblici e che i deputati nazionali ed europei così come i cittadini abbiano accesso immediato ai documenti nel registro.
Il Parlamento dovrebbe anche organizzare l’elaborazione delle proposte legislative nel modo più aperto e trasparente possibile, «evitando in tal modo situazioni di opacità come quelle emerse nell’ambito dei regolamenti sulla sicurezza aerea per quanto concerne i liquidi e i “body scanner”».
Infine, la relazione invita il Consiglio europeo e la Corte di giustizia delle Comunità europee (quest’ultima per quanto riguarda le sue funzioni amministrative), che sono gli unici due organismi che non applicano ancora il regolamento n. 1049/2001 ai propri documenti, a riflettere e adottare misure idonee a porre rimedio a tale situazione.
Il Parlamento in prima linea per la trasparenza
I deputati si dicono persuasi che il Parlamento debba essere «in prima linea» in fatto di pubblicità, apertura e trasparenza nell'UE e chiedono che, prima delle elezioni europee del 2009, sia varato un piano d'azione speciale per assicurare sul proprio sito web una maggiore e più agevole disponibilità di informazioni. In particolare per quanto riguarda l’attività, la partecipazione e la presenza dei deputati europei ai lavori parlamentari «in termini assoluti, relativi e percentuali», rendendo tali dati disponibili e accessibili ai cittadini. Ad esempio: quanti giorni ciascun deputato è stato presente al Parlamento europeo e dove ha firmato e/o votato nonché a quali riunioni di organi istituzionali ha partecipato. I dati, è precisato, dovranno essere consultabili anche mediante criteri di ricerca e link a questa pagina web dovranno essere presenti nelle pagine web dei deputati. Queste ultime, inoltre, dovranno riprendere tali informazioni unitamente al nome degli assistenti, ai pareri espressi, agli emendamenti presentati in commissione e in plenaria su relazioni ed altri atti, alle dichiarazioni di voto, agli interventi audio-video, alle dichiarazioni scritte firmate, compreso l’elenco di tutti i firmatari, ecc.. La pagina web in questione dovrebbe anche presentare in tutte le lingue ufficiali dell’UE le indennità e le spese dei deputati, nonché tutte le dichiarazioni di interessi finanziari per tutti i deputati al PE.
Dovrebbe anche rendere disponibili le attività del Parlamento in plenaria, in commissione, nelle delegazioni e negli organi interni OR. A tal fine, l'Osservatorio legislativo deve essere migliorato inserendo riferimenti e link a tutti i pertinenti documenti (prime relazioni ed emendamenti, pareri di altre commissioni, pareri del servizio giuridico, emendamenti presentati in plenaria, votazioni per appello nominale, corrispondenza interistituzionale, soprattutto quella attinente alle procedure legislative, a livello di commissione e di plenaria, ecc.). Inoltre, i lavori di commissione e delle delegazioni devono essere trasmessi sul sito web del Parlamento al pari delle sedute plenarie, e devono inoltre essere registrati e resi disponibili e consultabili dai cittadini attraverso criteri di ricerca, mentre gli organi interni (quali la Conferenza dei presidenti, l’Ufficio di presidenza, i Questori, il Gruppo di lavoro sulla riforma parlamentare, ecc.) devono promuovere e assicurare il massimo livello di trasparenza dei loro lavori nei confronti degli altri deputati e dei cittadini mettendo a disposizione tutti i loro documenti.
I deputati invitano poi gli Stati membri, i parlamenti nazionali e gli altri organi elettivi a fare altrettanto, istituendo un registro di attività dei parlamenti e dei parlamentari.
Link utili
Regolamento (CE) n. 1049/2001 relativo all'accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione Proposta di regolamento relativo all'accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee nelle cause riunite C-39/05 P e C-52/05 P, Regno di Svezia e Maurizio Turco contro Consiglio dell'Unione europea (sentenza Turco)
Riferimenti
Marco CAPPATO (ALDE/ADLE, IT) Relazione sull'accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo del Consiglio e della Commissione (attuazione del regolamento (CE) n. 1049/2001) Procedura: Iniziativa Dibattito: 13.1.2009 Votazione: 14.1.2009 |
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Un quadro UE per gli appalti pubblici nel settore della sicurezza e della difesa | |
Approvando con 597 voti favorevoli, 69 contrari e 33 astensioni un maxi-emendamento di compromesso negoziato con il Consiglio dal relatore Alexander GRAF LAMBSDORFF (ALDE/ADLE, DE), il Parlamento ha adottato una direttiva volta a creare un reale mercato europeo delle attrezzature militari al fine di rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea e sviluppare le capacità militari necessarie per attuare la politica europea di sicurezza e di difesa dell'Unione (PESD). E' anche precisato che, nel perseguire questo obiettivo, gli Stati membri dovrebbero contribuire a diversificare in modo approfondito la base dei fornitori collegati alla difesa europea, in particolare sostenendo il coinvolgimento delle piccole e medie imprese (PMI). Fermo restando che «la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro in entrambi i settori della difesa e della sicurezza».
La direttiva - che fa parte del "pacchetto difesa" comprendente la direttiva volta a semplificare il trasferimento intracomunitario dei prodotti destinati alla difesa, adottata a dicembre dal Parlamento - dovrà essere applicata entro due anni dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'UE.
Circa il 90% della produzione delle attrezzature di difesa si concentra in pochi Stati membri, Francia, Regno Unito, Germania, Italia e Svezia. Attualmente il mercato europeo della difesa è solo "virtuale". Infatti, il diritto d'esenzione eccezionale dalle regole del mercato interno, previsto dal trattato (art 296), è diventato una regola generale nella pratica degli Stati membri. Pertanto, di fatto, i mercati della difesa sono rimasti nazionali, anche perché la direttiva sugli appalti del 2004 non tiene conto delle specificità dei mercati militari. La nuova direttiva, invece, prevede norme particolari per il coordinamento a livello UE delle procedure di aggiudicazione (che soddisfi gli imperativi di sicurezza degli Stati membri) e stila un elenco chiaro dei contratti esclusi dal campo d'applicazione. Campo d'applicazione
La direttiva si applicherà agli appalti aggiudicati nei settori della difesa e della sicurezza che hanno come oggetto la fornitura di attrezzature militari e di attrezzature sensibili, incluse le loro parti, componenti e/o insiemi, nonché i lavori, le forniture e i servizi direttamente legati alle attrezzature succitate per ognuno e tutti gli elementi del loro ciclo di vita ed i lavori e servizi per fini specificatamente militari, o lavori e servizi sensibili. Si tratta più in particolare di appalti relativi agli acquisti di armi, di munizioni e di materiale bellico e ai lavori e i servizi ad essi strettamente connessi destinati alle forze armate.
Ma la direttiva riguarda anche alcuni acquisti particolarmente sensibili nel settore della sicurezza non militare in aree quali, ad esempio, la protezione delle frontiere, le azioni di polizia e le missioni di gestione delle crisi. Anche perché «con l'emergere di minacce asimmetriche e transnazionali, il confine fra sicurezza interna ed esterna, militare e non militare diventa sempre meno netto».
In base all'accordo raggiunto, la direttiva si applicherà agli appalti il cui valore stimato al netto dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) è pari o superiore a 412.000 euro per le forniture e i servizi e a 5.150.000 euro per i lavori.
Sono invece esclusi gli appalti per i quali l'applicazione delle disposizioni della direttiva obbligherebbe uno Stato membro a fornire informazioni la cui divulgazione è considerata «contraria agli interessi essenziali della propria sicurezza» e quelli aventi per oggetto attività d'intelligence. Non rientrano nel campo d'applicazione nemmeno gli appalti aggiudicati nel quadro di un programma concertato basato su R&S, condotto congiuntamente da almeno due Stati membri per lo sviluppo di un nuovo prodotto, né quelli aggiudicati in un paese terzo, anche per commesse civili, quando le forze operano al di fuori del territorio dell'Unione europea.
Restano inoltre fuori gli appalti di servizi aventi per oggetto l'acquisto o la locazione di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni, nonché quelli aggiudicati da un governo a un altro governo e concernenti la fornitura di attrezzature militari o di attrezzature sensibili, o lavori e servizi direttamente collegati a tali attrezzature, o lavori e servizi per fini specificatamente militari, o lavori e servizi sensibili. Sono anche esclusi gli appalti disciplinati da norme procedurali specifiche in base a un accordo o intesa internazionale concluso tra uno o più Stati membri e uno o più paesi terzi, quelli relativi alla presenza di truppe di stanza e concernente imprese di uno Stato membro o di un paese terzo, nonché quelli disciplinati da norme procedurali specifiche di un'organizzazione internazionale che acquista per le proprie finalità o ad appalti che devono essere aggiudicati da uno Stato membro in conformità di tali disposizioni.
Sicurezza delle informazioni e dell'approvvigionamento
Gli appalti della difesa e della sicurezza spesso contengono informazioni riservate e presentano un carattere sensibile. Ne risultano esigenze particolari per la sicurezza dell'approvvigionamento e dell'informazione. Tali esigenze riguardano soprattutto gli acquisti di armi, di munizioni e di materiale bellico (nonché i lavori e i servizi ad essi strettamente connessi) destinati alle forze armate, ma anche alcuni acquisti particolarmente sensibili nel settore della sicurezza non militare. Se nel settore militare gli Stati membri dispongono di sistemi di classificazione di tali informazioni, la situazione è invece più variegata nel settore della sicurezza non militare.
La direttiva fissa quindi obblighi in materia di riservatezza delle amministrazioni e/o degli enti aggiudicatori e norme per la protezione delle informazioni classificate. Gli enti aggiudicatori, pertanto, non dovranno rivelare «informazioni comunicate dagli operatori economici e da essi considerate riservate», in particolare «i segreti tecnici o commerciali, nonché gli aspetti riservati delle offerte». Viceversa, potranno imporre agli operatori economici condizioni intese a proteggere le informazioni classificate che essi comunicano nel corso della procedura d'appalto ed aggiudicazione. Potranno anche chiedere agli operatori economici di garantire che i loro subappaltatori rispettino tali requisiti.
E' peraltro prevista la possibilità di escludere gli operatori economici se l'ente aggiudicatore dispone di informazioni, anche fornite da fonti protette, dalle quali si evince che essi «non possiedono l'affidabilità necessaria per escludere rischi per la sicurezza degli Stati membri». Tali rischi, è precisato, potrebbero derivare da talune caratteristiche dei prodotti forniti dal candidato o dalla struttura azionaria del candidato. L'idea sarebbe anche di istituire un regime a livello UE in materia di sicurezza delle informazioni, che comprenda il riconoscimento reciproco dei nulla osta nazionali di sicurezza e consenta lo scambio di informazioni riservate tra le amministrazioni/gli enti aggiudicatori e le imprese europee. Nel contempo, gli Stati membri dovrebbero adottare misure concrete per migliorare la sicurezza delle forniture, puntando sulla progressiva istituzione di un sistema di garanzie appropriate.
Parità di trattamento e diritto di ricorso
L'aggiudicazione dell'appalto deve essere effettuata applicando criteri obiettivi che garantiscano il rispetto dei principi di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento, assicurando al contempo una valutazione trasparente e obiettiva delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza. Di conseguenza, occorre ammettere soltanto l'applicazione di due criteri di aggiudicazione: quello del "prezzo più basso" e quello della "offerta economicamente più vantaggiosa".
Più in particolare, è sancito l'obbligo di assicurare a qualsiasi candidato di poter essere ragionevolmente informato su criteri e sulle modalità applicati per individuare l'offerta economicamente più vantaggiosa. Spetta quindi alle amministrazioni/agli enti aggiudicatori indicare i criteri di aggiudicazione nonché la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di tali criteri e questo in tempo utile affinché i candidati ne siano a conoscenza quando preparano le loro offerte.
Il rispetto
degli obblighi in termini di trasparenza e competitività è garantito
da un sistema di ricorso - fortemente voluto dai deputati che hanno
ottenuto l'inserimento di un intero Titolo nella direttiva - che
prevede la possibilità di contestare la procedura di aggiudicazione
a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere
l'aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischio di
essere leso a causa di una presunta violazione. In tale ambito, gli
Stati membri dovranno garantire che non vi sia alcuna
discriminazione tra le imprese suscettibili di far valere un
pregiudizio nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un
appalto, a motivo della distinzione effettuata dalla direttiva tra
le norme nazionali che recepiscono il diritto comunitario e le altre
norme nazionali. Tuttavia, qualora l'inefficacia di un contratto comprometta esigenze imperative legate ad un interesse generale, connesso in primo luogo agli interessi di difesa e sicurezza, gli Stati membri possono prevedere che l'organo di ricorso indipendente dall'amministrazione aggiudicatrice abbia la facoltà di non considerare un contratto privo di effetti sebbene lo stesso sia stato aggiudicato illegittimamente. Comunque, non può essere considerato privo di effetti se le conseguenze di tale privazione mettano seriamente a repentaglio l'esistenza stessa di un programma di difesa o sicurezza più ampio indispensabile per garantire gli interessi di sicurezza di uno Stato membro.
Link utili
Maxi-emendamento
di compromesso
Riferimenti
Alexander GRAF LAMBSDORFF (ALDE/ADLE, DE) Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione di taluni appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi nei settori della difesa e della sicurezza Procedura: Codecisione, prima lettura Dibattito: 13.1.2009 Votazione:14.1.2009 |
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Diritti fondamentali nell'UE: stop alle discriminazioni | |
Il Parlamento rileva le restrizioni poste alle libertà individuali dalla lotta al terrorismo e chiede di agire contro gli incitamenti razzisti e omofobici e le discriminazioni dei rom e delle coppie omosessuali. Particolare attenzione va rivolta alle donne (discriminazione sul lavoro, violenze e salute sessuale) e ai bambini vittime di sfruttamento e violenze. Chiede anche agli Stati membri di legiferare sul testamento biologico e di promuovere la libertà di stampa e le lingue regionali.
Approvando con 401 voti favorevoli, 220 contrari e 67 astensioni la relazione di Giusto CATANIA (GUE/NGL, IT), il Parlamento sottolinea anzitutto che l'attuazione dei diritti fondamentali deve «essere un obiettivo di tutte le politiche europee» e che, a tal fine, le istituzioni dell'UE «dovrebbero promuoverli attivamente, tutelarli e tenerne pienamente conto in fase di elaborazione e adozione della legislazione». D'altro canto, deplora che gli Stati membri «continuino a sottrarsi a un controllo comunitario delle proprie politiche e pratiche in materia di diritti dell'uomo e cerchino di limitare la protezione di tali diritti ad un quadro puramente interno». Chiede quindi al Consiglio di integrare nelle sue future Relazioni annuali sui diritti dell'uomo nel mondo un'analisi della situazione in ogni Stato membro. Sollecita inoltre il potenziamento della cooperazione tra le varie istituzioni e organizzazioni incaricate della protezione dei diritti fondamentali, sia a livello europeo che internazionale. Ed esorta la Commissione ad affidare il portafoglio dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ad un solo commissario.
Il Parlamento richiama poi l'attenzione sul fatto che una politica attiva a favore dei diritti umani «non può limitarsi ai casi più visibili per l'opinione pubblica» e che gravi violazioni dei diritti umani «si verificano ai margini del controllo pubblico, in istituzioni chiuse per bambini, anziani e malati o nelle prigioni». Sottolinea pertanto che gli Stati membri e l'Unione europea «dovrebbero garantire una vigilanza qualificata, in termini sia di norme che di prassi, sulle condizioni di vita in dette istituzioni chiuse».
Diritti dell'uomo, libertà, sicurezza e giustizia, e lotta al terrorismo
Nello sviluppo
di uno spazio giudiziario europeo, il Parlamento chiede agli Stati
membri che non lo abbiano ancora fatto la rapida adozione di un atto
legislativo adeguato sui diritti degli individui nelle procedure
penali e invita gli Stati membri ad accertarsi che il mandato
d'arresto europeo e altre misure di riconoscimento reciproco siano
applicati in conformità delle norme UE in materia di diritti umani.
Allo stesso tempo rileva il diritto delle persone arrestate di
godere di tutte le garanzie giudiziarie nonché, se del caso,
dell'assistenza diplomatica del paese di cui sono cittadini e dei
servizi di un interprete indipendente.
Sottolinea poi che i due obiettivi di rispettare i diritti fondamentali e di garantire la sicurezza collettiva sono compatibili e interdipendenti, e che politiche adeguate possono «evitare che un approccio repressivo metta a repentaglio le libertà individuali». Esprime quindi preoccupazione per il fatto che la cooperazione internazionale nella lotta contro il terrorismo «è spesso sfociata in un abbassamento del livello di protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in particolare il diritto fondamentale alla vita privata, alla protezione dei dati e alla non discriminazione». A suo parere, pertanto, l'UE dovrebbe promuovere una vera strategia basata sul rispetto integrale delle norme internazionali, che tenga conto «della necessità di un controllo giudiziario efficace dei servizi di intelligence per evitare l'utilizzo di informazioni ottenute sotto tortura o mediante maltrattamenti .... come elemento di prova nel quadro dei procedimenti giudiziari, anche in fase di istruzione».
Razzismo e discriminazioni dei rom
In linea generale, il Parlamento osserva «con inquietudine» l'insoddisfacente situazione dell'attuazione delle politiche antidiscriminatorie ed esorta quindi gli Stati membri che ancora non l'hanno fatto a concretizzare l'attuazione di tali politiche. Al contempo si compiace della proposta di direttiva orizzontale sulla discriminazione ma si rammarica del vasto numero di eccezioni, con il rischio che servano «a codificare pratiche discriminatorie esistenti».
Il Parlamento plaude all'adozione della decisione quadro del Consiglio sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale. Esorta poi gli Stati membri a perseguire con determinazione qualsiasi incitazione all'odio «espressa in programmi mediatici razzisti e articoli che diffondano idee intolleranti, attraverso reati di odio nei confronti di Rom, immigrati, stranieri, minoranze nazionali tradizionali e altre minoranze, nonché da gruppi musicali e in occasione di concerti neonazisti». I partiti e i movimenti politici che esercitano una forte influenza sui mass-media dovrebbero inoltre astenersi dalle incitazioni all'odio e dalla diffamazione nei confronti delle minoranze in seno all'Unione. Il Consiglio e la Commissione, nonché le diverse amministrazioni locali e nazionali degli Stati membri, dovrebbero poi coordinare le misure volte a combattere l'antisemitismo e le aggressioni ai danni delle minoranze «in modo tale da far rispettare i principi di tolleranza e non discriminazione e da promuovere l'integrazione sociale, economica e politica».
Il Parlamento ritiene che la comunità Rom abbia bisogno di una protezione speciale poiché è diventata una delle più consistenti minoranze dell'UE. Sottolinea inoltre che tale comunità «è stata storicamente emarginata» e che ad essa «è stato impedito di svilupparsi in determinati settori chiave, a causa di problemi di discriminazione, di stigmatizzazione e di esclusione che si sono sempre più intensificati». Nota poi che gli sforzi compiuti finora «non hanno apportato miglioramenti strutturali e duraturi», in particolare «in settori fondamentali come l'accesso all'istruzione, alla sanità, a un alloggio e al lavoro». Rileva quindi la necessità di un approccio globale che rifletta la dimensione europea della discriminazione verso i Rom e ritiene che una strategia-quadro dell'UE «dovrebbe affrontare i problemi reali, fornendo una tabella di marcia per gli Stati membri, che fissi gli obiettivi e le priorità e agevoli i processi di controllo e valutazione».
Discriminazioni degli omosessuali
Il Parlamento invita gli Stati membri dotati di una legislazione relativa alle coppie dello stesso sesso a riconoscere le norme adottate da altri Stati membri e aventi effetti analoghi. Quest'ultimi dovrebbero anche proporre delle linee guida per il reciproco riconoscimento della legislazione vigente tra diversi Stati membri, al fine di «garantire che il diritto alla libera circolazione nell'Unione europea delle coppie dello stesso sesso si applichi alle medesime condizioni delle coppie eterosessuali». La Commissione è poi invitata a presentare proposte che garantiscano l'applicazione, da parte degli Stati membri, del principio di riconoscimento reciproco per le coppie omosessuali, sposate o legate da un'unione civile registrata, nella fattispecie quando esercitano il loro diritto alla libera circolazione previsto dal diritto dell'Unione europea. Il Parlamento chiede poi agli Stati membri che non l'abbiano ancora fatto ad adottare iniziative legislative per eliminare le discriminazioni cui sono confrontate alcune coppie in ragione del loro orientamento sessuale. Gli emendamenti proposti dall'UEN per sopprimere queste richieste sono stati respinti dall'Aula con poco più di 400 voti contrari.
Nel chiedere alla Commissione di proporre un atto legislativo simile a quello sul razzismo per combattere l'omofobia, i deputati ritengono inoltre che le affermazioni discriminatorie «di esponenti politici, sociali e religiosi estremisti» (questi ultimi due aggiunti da un emendamento dell'ALDE approvato con 367 voti favorevoli, 294 contrari e 25 astensioni) contro gli omosessuali «alimentino l'odio e la violenza e chiede una loro condanna da parte degli organi dirigenti competenti». Rilevano poi che «il divieto discriminatorio dei cortei, nonché qualsiasi inadempienza all'obbligo di offrire una tutela adeguata a quanti vi partecipano, costituisce una violazione dei principi sanciti» in diverse istanze europee. Invitano inoltre la Commissione a fare in modo che gli Stati membri diano asilo alle persone che fuggono dal proprio paese poiché vittime di persecuzioni basate sul loro orientamento sessuale, di adottare iniziative a livello bilaterale e multilaterale per porre termine alle persecuzioni delle persone in base al loro orientamento sessuale. In tale ambito sostengono l'iniziativa francese per la depenalizzazione universale dell'omosessualità (che costituisce reato in 91 paesi). Dovrebbe anche avviare uno studio sulla situazione delle persone transessuali negli Stati membri e nei paesi candidati, «in particolare per quanto concerne i rischi di molestie e violenza».
Discriminazioni e violenze sulle donne
Il Parlamento invita gli Stati membri e l'Unione europea a combattere con misure efficaci la discriminazione diretta e indiretta nei confronti delle donne in tutti i settori (incluso il matrimonio, la convivenza e altre relazioni familiari) e la discriminazione multipla (che avviene in base al genere e contemporaneamente per altri motivi). Sottolinea poi la necessità di riconoscere e combattere, a livello europeo e nazionale, la violenza subita dalle donne a causa del loro genere, in particolare la violenza, e lo sfruttamento sessuale in tutte le sue forme. Chiede inoltre agli Stati membri di non accettare il richiamo a costumi, tradizioni o ad altre considerazioni religiose per giustificare forme di discriminazione, oppressione o violenza nei confronti delle donne o l'adozione di politiche che possono mettere in pericolo la loro vita.
Rileva anche l'esigenza di aumentare la sensibilizzazione pubblica quanto al diritto alla salute riproduttiva e sessuale e chiede agli Stati membri di garantire che le donne «possano godere pienamente di tali diritti, di istituire un'adeguata educazione sessuale, informazioni e servizi di consulenza riservati e - con 427 sì, 199 no e 42 astensioni - di facilitare i metodi di contraccezione onde prevenire gravidanze indesiderate e aborti illegali e a rischio, e di combattere la pratica della mutilazione genitale femminile». Ciò vale a maggior ragione per le donne appartenenti alle minoranze etniche, per le quali andrebbero anche messi a disposizione fondi pubblici a questo scopo.
I deputati ribadiscono poi la necessità di affrontare seriamente il divario retributivo tra i sessi e di sostenere politiche attive di conciliazione tra vita privata, professionale e familiare, sollecitando al contempo l'adozione di misure per contrastare le molestie sessuali e morali sul luogo di lavoro. Chiedono inoltre agli Stati membri di combattere la discriminazione nei confronti delle donne incinte sul mercato del lavoro e di adottare tutte le misure necessarie per garantire un elevato livello di protezione delle madri, anche mutualizzando i costi del congedo parentale. Ritengono anche essenziale che nei sistemi di protezione sociale sia garantita l'individualizzazione dei diritti piuttosto che la loro determinazione in base al nucleo familiare.
Vietare ogni forma di violenza sui bambini
Il Parlamento condanna ogni forma di violenza nei confronti dei bambini e ribadisce in particolare la necessità di combattere le forme di violenza più frequentemente riscontrate negli Stati membri: pedofilia, violenze sessuali, violenze familiari, punizioni corporali nelle scuole e differenti forme di abuso nelle istituzioni. Chiede poi di istituire e portare a conoscenza del pubblico meccanismi «sicuri, riservati ed accessibili», che consentano ai bambini di denunciare le violenze. Gli Stati membri dovrebbero inoltre vietare le varie forme di sfruttamento dei bambini, compreso lo sfruttamento a fini di prostituzione, della produzione di materiale pedopornografico, traffico di droga, borseggio, mendicità e ogni altra forma di sfruttamento, eliminare la pratica dei matrimoni non ufficiali tra minori, vietare totalmente le punizioni corporali, eliminare ogni forma di lavoro minorile.
Secondo i deputati, la detenzione di delinquenti minorenni deve essere applicata come «ultima risorsa» e per un periodo «più limitato possibile». Chiedono quindi di prevedere soluzioni alternative alla detenzione per i minori e insistono sulla necessità di garantire misure di rieducazione come i servizi socialmente utili al fine di assicurare la reintegrazione sociale e professionale di queste persone. Invitano inoltre gli Stati membri ad allineare i loro sistemi giudiziari affinché nessun minore venga giudicato in base alle stesse modalità applicate per un adulto.
Testamento biologico
Con 374 voti favorevoli, 261 contrari e 51 astensioni il Parlamento chiede agli Stati membri che non l'abbiamo ancora fatto di varare una legislazione sul testamento biologico, in conformità dell'articolo 8 della Convenzione di Oviedo sui diritti dell'uomo e la biomedicina, secondo cui «sono tenuti in considerazione i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà", e «assicurare in tal modo il diritto alla dignità alla fine della vita».
Garantire la libertà di stampa
Per i deputati la libertà di espressione deve essere esercitata «entro i limiti consentiti dalla legislazione, coesistere con la responsabilità personale e basarsi sul rispetto dei diritti altrui». Pur compiacendosi della situazione «globalmente soddisfacente» in termini di libertà di stampa esistente negli Stati membri, temono che «i tentativi di questi ultimi anni di bandire dal dibattito pubblico determinati temi diano luogo in molti Stati membri a una forma di censura non ufficiale o un'autocensura dei mezzi d'informazione». Chiedono quindi «agli Stati membri che in questi ultimi anni hanno utilizzato le loro istituzioni giudiziarie, o prevedono di modificare la propria legislazione, per violare il diritto dei giornalisti alla segretezza delle loro fonti, nonché quello dei giornalisti e degli editori a pubblicare le informazioni, di migliorare la loro legislazione e le loro prassi». Al contempo, sottolineano la necessità di poter garantire l'esercizio del diritto a un risarcimento in sede giudiziaria in caso di notizie false o diffamazione e nel rispetto della legislazione vigente.
Tutela delle minoranze nazionali
Il Parlamento osserva che i recenti allargamenti dell'Unione europea hanno aggiunto circa 100 gruppi di popolazioni minoritarie alla cinquantina che già esisteva nell'Europa dei 15. Nel chiedere che sia elaborata una definizione comune europea di appartenenza a una minoranza nazionale, incoraggia l'uso di tipi appropriati di soluzioni di autogoverno che rispettino pienamente la sovranità e l'integrità degli Stati membri. Sottolinea inoltre l'importanza di tutelare e promuovere le lingue regionali e minoritarie anche attraverso finanziamenti mirati e programmi specifici che affiancano il programma di apprendimento lungo tutto l'arco della vita. Incoraggia poi l'uso di tipi appropriati di soluzioni di autogoverno (autonomia personale-culturale, territoriale, regionale), basati sull'accordo del gruppo maggioritario e della minoranza, «rispettando nel contempo pienamente la sovranità e l'integrità territoriale degli Stati membri».
Link utili
Sito della Commissione sui diritti fondamentali
Riferimenti
Giusto CATANIA (GUE/NGL, IT) Relazione sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione europea 2004-2007 Procedura: Iniziativa Dibattito: 17.12.2008 Votazione:14.1.2009 |
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