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RESOCONTO

 

4 febbraio 2009

Strasburgo

 

 

 


Una politica UE integrata contro il cambiamento climatico


Il Parlamento ha formulato le proprie raccomandazioni per una futura politica integrata dell'UE sul cambiamento climatico. Ribadendo l'obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra per limitare l'aumento della temperatura media entro i 2C°, propone una serie di misure in tutti i settori e chiede di definire un'agenda d'intervento per il periodo 2009-2014, illustrandone le modalità d'applicazione. Sollecita anche il sostegno a un New Deal "verde" e allo sviluppo di auto ecocompatibili.

 

Con 570 voti favorevoli, 78 contrari e 24 astensioni, il Parlamento ha approvato con diverse modifiche la relazione di Karl-Heinz FLORENZ (PPE/DE, DE) sulla futura politica integrata dell'UE sul cambiamento climatico stilata dopo 21 mesi di lavori dall'apposita commissione temporanea presieduta da Guido SACCONI (PSE, IT).

 

Il Parlamento sottolinea anzitutto l’urgenza di integrare il riscaldamento globale e il conseguente cambiamento climatico in tutti i settori e in tutti gli ambiti politici come nuovi elementi chiave, adottando un approccio trasversale e tenendo conto delle cause e delle conseguenze del surriscaldamento globale nella legislazione comunitaria. Anche perché «il cambiamento climatico è più rapido e più grave nei suoi effetti avversi di quanto si potesse pensare».

 

Incoraggiando la promozione di stili di vita e schemi di consumo in linea con lo sviluppo sostenibile, sottolinea anche la necessità «di prendere decisioni partendo dalla convinzione che siano necessarie e giuste», e «di cogliere l’opportunità straordinaria di forgiare il futuro della società attraverso un'azione strategica». Sollecita inoltre la Commissione e gli Stati membri dell'UE «a sostenere l'invito ONU per un "Nuovo Corso Verde" ("Green New Deal")». Alla luce della crisi finanziaria, inoltre, chiede che gli investimenti per sostenere la crescita economica «lo facciano in modo sostenibile, in particolare, promuovendo le tecnologie verdi».

 

Formula quindi una serie di raccomandazioni di carattere generale e settoriale. Per quanto riguarda le prime, ribadisce l'esigenza di fissare, per l'UE e gli altri paesi industrializzati in quanto gruppo, un obiettivo a medio termine di ridurre le emissioni di gas serra del 25-40% entro il 2020 e un obiettivo a lungo termine di ridurle almeno dell'80% entro il 2050 rispetto al 1990, mantenendo l'enfasi sulla limitazione dell'aumento della temperatura media globale al massimo a 2°C rispetto ai livelli preindustriali. L'Aula ha però respinto un emendamento del PSE che invitava la Commissione a presentare una relazione sulla necessità di introdurre ecotasse ai fini di un'ulteriore riduzione delle emissioni di CO2.

 

Illustra poi nel dettaglio le misure che occorrerebbe prendere nei campi della politica estera energetica dell'UE, dell'energia e dei biocombustibili, dell'efficienza energetica, dei trasporti e della logistica, del turismo, dell'agricoltura, delle foreste e della pesca. Raccomanda azioni riguardo al sistema di scambio di quote di emissioni, alla gestione delle risorse idriche e al trattamento dei rifiuti, nonché alla tutela della salute. Sottolinea il ruolo dell'innovazione, anche per la crescita economica e dell'occupazione, sostiene la promozione delle nuove tecnologie, e propone misure nel settore dell'istruzione, della formazione e della comunicazione. Chiede anche la creazione di una «comunità europea delle energie rinnovabili» esorta il sostegno allo sviluppo di tecnologie di trasporto ecocompatibili, come vetture a idrogeno, elettriche, a pile a combustibile, ibride o a biocarburante.

 

Per quanto riguarda il finanziamento e le questioni di bilancio, il Parlamento rileva che l’UE dovrebbe impegnarsi seguendo il principio di solidarietà, sia negli ambiti chiave della ricerca e dello sviluppo di tecnologie per la lotta al cambiamento climatico e dell’aiuto allo sviluppo nel settore del clima sia nel sostegno alle misure di adattamento transnazionali, all’aumento dell’efficienza e all’aiuto nelle catastrofi. Esorta quindi la Commissione a redigere un inventario di tutti gli strumenti di finanziamento e della loro rilevanza per gli obiettivi europei di protezione del clima, in vista di adeguare le linee del bilancio ai requisiti necessari della politica climatica, e «senza escludere la possibilità di creare nuovi fondi e di attivare pertanto nuove risorse». Invita inoltre il Consiglio ad affrontare la questione degli stanziamenti specifici inutilizzati, «riorientandoli, se del caso, sulle politiche per il clima».

 

In materia di energia nucleare, riconoscendo poi i diversi approcci degli Stati membri in materia, il Parlamento sollecita la Commissione «a riservare un’attenzione particolare ai rifiuti nucleari e al loro intero ciclo, allo scopo di migliorare la sicurezza». Ritiene peraltro che la ricerca sulla fattibilità tecnologica della fusione nucleare nel reattore di ricerca ITER «sia il primo passo per avvicinarsi all’obiettivo di un utilizzo commerciale di questa forma di energia» e sottolinea che il raggiungimento di questo obiettivo «dipende in larga misura dall’erogazione a lungo termine di finanziamenti alla ricerca». Osserva però che questa nuova fonte energetica potrà fornire «un eventuale contributo al mercato dell'energia solo nel lunghissimo periodo».

 

Il futuro inizia oggi

 

Il Parlamento chiede che venga definita un'agenda d'intervento contro il cambiamento climatico per il periodo 2009-2014, con le seguenti modalità d'applicazione:

 

A livello UE, la Commissione e gli Stati membri dovrebbero:

 

         condurre dibattiti a livello locale e globale sui provvedimenti per contrastare il cambiamento climatico,

         sviluppare, finanziare e realizzare una "super-rete" in ambito UE che possa essere accessibile a qualunque tipologia di fornitore di elettricità,

         promuovere e finanziare infrastrutture efficienti di trasporto sostenibile in grado di ridurre le emissioni di carbonio, incluse le tecnologie basate sull'idrogeno e l'alta velocità ferroviaria,

         sviluppare nuove strategie di comunicazione con le quali educare i cittadini fornendo loro incentivi per la riduzione delle emissioni in maniera accessibile, ad esempio sviluppando un'informativa sul contenuto carbonico di prodotti e servizi,

         sviluppare idonei strumenti legislativi che possano incoraggiare i vari settori industriali a condurre la lotta al cambiamento climatico, iniziando con l'esigere trasparenza sulle emissioni di carbonio,

         stabilire legami più forti tra l'agenda di Lisbona, l'agenda sociale e le politiche in materia di cambiamento climatico.

 

A livello locale e regionale, dovrebbero essere promosse e scambiate le migliori prassi, in particolare per quanto concerne:

 

         le misure di efficienza energetica volte a contrastare la povertà energetica con l'obiettivo di giungere ad un consumo netto di energia nullo negli edifici privati, commerciali e pubblici,

         il riciclaggio e riutilizzo dei rifiuti, potenziando ad esempio le infrastrutture per i punti di raccolta,

         lo sviluppo di infrastrutture per autovetture a basse emissioni che utilizzano energie rinnovabili e introduzione di incentivi per lo sviluppo di veicoli a emissioni zero adibiti al trasporto pubblico,

         la promozione di una mobilità maggiormente sostenibile nelle città e nelle aree rurali,

         l'adozione e attuazione di interventi di adattamento al cambiamento climatico,

         la promozione della produzione e del consumo di cibo locale e regionale.

 

I deputati invitano infine i competenti organi del Parlamento europeo a redigere e pubblicare una versione della relazione «destinata al lettore comune», entro tre mesi dalla sua adozione.

 

 

Link utili

 

Commissione temporanea sui cambiamenti climatici

 

 

Riferimenti

 

Karl-Heinz FLORENZ (PPE/DE, DE)

Relazione su “2050: il futuro inizia oggi - Raccomandazioni per una futura politica integrata dell’UE sul cambiamento climatico”

Procedura: Iniziativa

Dibattito: 4.2.2009

Votazione: 4.2.2009

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Mahmoud Abbas al Parlamento


Il Presidente dell'Autorità palestinese ha denunciato le conseguenze della guerra e della politica israeliana nei confronti del suo popolo. Ha poi sollecitato l'arresto delle incursioni e della colonizzazione e la revoca del blocco dei valichi, per garantire l'unità territoriale ed economica dello Stato palestinese. Ha anche chiesto l'invio di una missione UE di osservazione elettorale e di forze internazionali, e la ripresa dei negoziati di pace sulla base dell'iniziativa islamica.

 

Ascoltato l'Inno europeo che ha aperto la seduta solenne, il Presidente PÖTTERING ha espresso grande gioia e commozione nel ricevere Mahamoud Abbas, sottolineando che il suo pensiero va al Medio Oriente e «al suo popolo che si trova in un momento difficile». Dopo aver ricordato il loro indimenticabile incontro di due anni fa a Gaza, ha evidenziato che il Parlamento europeo ha partecipato alla sofferenza del popolo palestinese, chiedendo anche il cessate il fuoco e condannando sia l'uso sproporzionato della forza da parte di Israele sia le provocazioni e il lancio di missili da parte di Hamas. Lanci, ha deplorato, che sono continuati anche dopo la tregua. Ringraziata l'UNRWA, ha sollecitato una ripresa rapida dei negoziati di pace, rilevando che non esiste una soluzione militare al conflitto.

 

Il Presidente ha poi sottolineato l'esigenza di fare il necessario per promuovere la convivenza pacifica, spiegando che alla base di questa vi è la riconciliazione tra i palestinesi. Ha quindi offerto il suo sostegno al governo di Unità nazionale, precisando di aspettarsi da esso il rispetto dei principi fondamentali del processo di pace, la rinuncia alla violenza e l'impegno a negoziare la pace con Israele. A suo parere, infatti, il rilancio del processo di pace sulla base delle risoluzioni ONU «è possibile». Ha quindi concluso sostenendo di fidarsi del Presidente Abbas affinché promuova la pace e la riconciliazione e augurandogli quindi il successo.

 

Mahmoud Abbas, dopo aver ringraziato dell'accoglienza, ha subito sottolineato la che il suo popolo «soffre di una delle più lunghe occupazioni della storia moderna» e ha subito un'aggressione militare che ha colpito civili e infrastrutture, distruggendo anche le prospettive per il futuro. In proposito, ha descritto «i corpi dei bambini bruciati ... le lacrime di chi ha perso i propri cari ... la madre assassinata con due figli in grembo ... un bambino ha perso la vista a causa delle bombe al fosforo». Centinaia di bambini, ha aggiunto, hanno visto crollare il tetto delle proprie case, mentre 40 persone sono rimaste uccise in una scuola, sono morte 1.400 persone e vi sono circa 100.000 feriti, «gran parte dei quali civili innocenti», 4.000 abitazioni sono andate distrutte e 80.000 persone «sono per strada». Si è assistito, insomma, a «un offuscamento della coscienza umana» e questa guerra ha distrutto il lavoro di tanti anni dell'ANP in termini di infrastrutture, realizzate grazie anche al contributo europeo.

 

Il Presidente ha poi sottolineato che la colonizzazione israeliana non si è mai fermata, aumentando di sette volte, mentre la costruzione del «muro di separazione razzista» è continuata, il numero di posti blocco sono saliti da 60 a 90 e le incursioni militari non sono cessate. A ciò, ha insistito, si aggiunge «il terrorismo dei coloni» e le loro aggressioni, anche contro i coltivatori di olive, «che per molti sono l'unica fonte di reddito». Questo, ha rilevato, «conferma un'aggressione contro l'intero popolo palestinese» che mina le prospettive di pace. L'oppressione di Gaza, ha aggiunto, «non è che l'ultimo anello di una catena di eventi che puntano alla separazione della Striscia dagli altri territori palestinesi, per vanificare la libertà e l'autodeterminazione, nonché la costituzione di uno Stato indipendente nei confini precedenti il 1967 e con capitale Gerusalemme Est».

 

Sottolineando che Israele viola tutti gli accordi ed è «prigioniero della sua mentalità belligerante e colonizzatrice», ha esortato a smettere di trattare lo Stato ebraico «come se fosse al di sopra della legge» mentre i suoi leader dovrebbero «rispondere delle violazioni del diritto internazionale e umanitario». Il Presidente ha quindi ribadito la richiesta di revocare il blocco, applicare l'accordo del 2005 sulla libera circolazione di merci e persone e di riaprire i valichi, «non solo di Rafah, ma anche del corridoio di sicurezza tra Gaza e la Cisgiordania», così da confermare «l'unità territoriale ed economica palestinese».

 

Ha poi ricordato di aver lanciato un appello al dialogo lo scorso mese di giugno e accettato il documento di lavoro egiziano. Anche se vi sono «forze che incoraggiano la separazione», ha proseguito, «porteremo avanti i nostri sforzi a favore del nobile obiettivo». Una volta costituito il governo di unità nazionale, sulla base delle indicazioni arabe e internazionali, potrà essere ripreso il controllo dei valichi, iniziata la ricostruzione e «potremo prepararci alle elezioni politiche e presidenziali». In proposito, ha sollecitato l'aiuto dell'UE e l'invio, come nel 1997 e nel 2007, di osservatori elettorali, nonché la liberazione del Presidente del Consiglio legislativo e dei deputati detenuti in Israele. Inoltre, sostenendo che «il cuore del conflitto sta nell'occupazione israeliana che soffoca le aspirazioni palestinesi», ha chiesto l'invio di una forza internazionale.

 

Una pace credibile, per il Presidente, è possibile solo con la cessazione di qualsiasi occupazione e degli insediamenti e con la liberazione degli 11.000 mila palestinesi dalle carceri israeliane. Il processo di pace, ha aggiunto, va ricostruito dall'inizio e l'Unione europea deve affermare il proprio ruolo in cooperazione con gli USA e il Quartetto. In proposito, ha rilevato che l'elezione di Obama «è incoraggiante» nell'ottica di ravvivare il processo politico nel suo insieme. Il Presidente ha poi voluto sottolineare che l'iniziativa di pace araba è diventata un'iniziativa di 57 paesi islamici e che questa deve essere applicata completamente, anche perché si inquadra nella tabella di marcia e nella risoluzione ONU. L'iniziativa, che si basa sullo scambio pace contro territori, prevede che «i 57 paesi islamici saranno disposti a normalizzare le loro relazioni con Israele, e questa è un'occasione storica».

 

Infine, il Presidente ha evidenziato che il popolo ha diritto a un futuro e alla terra che merita e, in proposito, ha reso omaggio al poeta palestinese Mahmoud Darwish, ringraziando anche il Parlamento per le celebrazioni che gli ha dedicato.

 

I deputati, in piedi, hanno tributato un lungo applauso al Presidente.
 

Riprendendo la parola, Hans-Gert PÖTTERING ha ringraziato Mahmoud Abbas e ha rilevato che «è ora nostro compito lavorare per la pace». Come UE e Parlamento europeo, ha aggiunto, «vogliamo fare la nostra parte affinché i popoli israeliano e palestinese vivano entro confini sicuri», sull'esempio europeo. Dopo aver ricordato la centralità della dignità umana nell'approccio del Parlamento europeo, ha auspicato che la costituzione di due Stati indipendenti e sicuri diventi una realtà «in questa generazione» e, ha aggiunto, «se lo vogliamo, sarà possibile». La pace, ha concluso, «dev'essere possibile» e ha incoraggiato il Presidente a continuare sulla strada della riconciliazione e della pace.

 

 

Link utili

 

Risoluzione del Parlamento europeo del 15 gennaio 2009 sulla situazione nella Striscia di Gaza

 

 

Riferimenti

 

Seduta solenne - Autorità palestinese, allocuzione di Mahmoud Abbas, Presidente dell'Autorità palestinese

Dibattito: 4.2.2009

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Guantanamo: l'UE accolga i detenuti, se gli USA lo chiedono


Esprimendo profondo apprezzamento per la decisione del Presidente Obama di chiudere il centro Guantanamo, il Parlamento chiede di garantire i diritti fondamentali ai detenuti. Più in particolare, sollecita di processare quelli contro i quali vi sono prove sufficienti, di rimpatriare quelli innocenti e di tutelare quelli che non possono tornare al paese d'origine. Se il governo USA lo richiede, invita inoltre gli Stati membri ad essere pronti ad accettare i detenuti di Guantanamo nell'UE.

 

Approvando con 542 voti favorevoli, 55 contrari e 51 astensioni una risoluzione sostenuta da tutti i gruppi politici, eccetto l'IND/DEM, il Parlamento esprime «profondo apprezzamento» sia per la decisione del Presidente statunitense Barack Obama di chiudere il centro di detenzione di Guantanamo sia per i provvedimenti esecutivi correlati, «che segnano una svolta nella politica degli Stati Uniti per quanto riguarda il rispetto del diritto umanitario e internazionale». Incoraggia quindi la nuova amministrazione ad adottare ulteriori misure in tal senso. Anche perché i detenuti nel centro di Guantanamo «sono stati privati dei diritti umani fondamentali, in particolare del diritto a un processo equo, e sono stati oggetto di tecniche d'interrogatorio estreme, quali il waterboarding, considerato una forma di tortura, e di trattamenti crudeli, inumani o degradanti».

 

Ricordando poi che la responsabilità principale per l'intero processo di chiusura del centro di detenzione di Guantanamo e il futuro dei suoi detenuti «spetta agli Stati Uniti», il Parlamento afferma, tuttavia, che la responsabilità per il rispetto del diritto internazionale e dei diritti fondamentali «spetta a tutti i paesi democratici, in particolare l'Unione europea e i suoi Stati membri, che insieme rappresentano una comunità di valori».

 

Il Parlamento osserva che gli Stati Uniti hanno pubblicato un elenco di 759 persone che sono o sono state detenute a Guantanamo, 525 delle quali sono state rilasciate, 5 sono decedute sotto custodia, e circa 250 sono ancora recluse nella struttura. In tale contesto, invita gli Stati Uniti a garantire che i detenuti possano beneficiare dei diritti umani e delle libertà fondamentali garantiti dal diritto costituzionale internazionale e statunitense. Più in particolare, chiede che tutti i detenuti contro i quali gli Stati Uniti sono in possesso di prove sufficienti «siano sottoposti tempestivamente a un processo equo e pubblico dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale e, qualora condannati, siano detenuti negli Stati Uniti». Quelli non accusati di reato, che scelgono volontariamente il rimpatrio, dovrebbero invece essere «rinviati nel rispettivo paese di origine nel modo più rapido e tempestivo possibile».

 

Inoltre, il Parlamento chiede che detenuti non accusati di reato, ma impossibilitati a tornare nel rispettivo paese di origine a causa di un rischio reale di tortura o persecuzione, «possano essere accolti dagli Stati Uniti, beneficiare di protezione umanitaria nel continente statunitense e avviare procedure di ricorso». Invita inoltre gli Stati membri, qualora il governo statunitense lo richieda, «a cooperare nella ricerca di soluzioni, ad essere pronti ad accettare i detenuti di Guantanamo nell'Unione europea, al fine di contribuire a rafforzare il diritto internazionale e di garantire, a titolo prioritario, un trattamento equo e umano per tutti». In proposito, ricorda che gli Stati membri «hanno il dovere di cooperare lealmente, consultandosi reciprocamente in merito alle possibili conseguenze per la sicurezza pubblica in tutta l'UE». Anche perché, secondo le autorità statunitensi, «61 ex detenuti di Guantanamo hanno partecipato ad atti di terrorismo dopo il loro rilascio».

 

L'Aula ha peraltro respinto gli emendamenti proposti dei Verdi in cui si deplorava fortemente il mantenimento da parte delle autorità statunitensi del programma di consegne straordinarie, si chiedeva di garantire «riparazione» alle vittime di tortura e si sollecitavano indagini volte a fare chiarezza sugli abusi dei diritti umani e sulle violazioni del diritto internazionale nella guerra al terrorismo.

 

 

Link utili

 

Risoluzione del Parlamento europeo del 13.06.2006 sulla situazione dei detenuti a Guantanamo

 

 

Riferimenti

 

Risoluzione sul ritorno e il reinsediamento dei detenuti del centro di Guantánamo

Procedura: Risoluzione comune

Dibattito: 3.2.2009

Votazione:4.2.2009

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Sanzioni, anche penali, per chi impiega immigrati illegali


Il Parlamento ha sottoscritto il maxi-emendamento di compromesso negoziato con il Consiglio sulla direttiva che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE. Tuttavia, non essendo la Presidenza in grado di impegnarsi su una dichiarazione in materia di subappalto da allegare al testo, come richiesto dal relatore, la votazione finale avrà luogo nel corso della prossima sessione. Le sanzioni previste dalla direttiva dovranno essere pecuniarie (inclusi i costi dell'eventuale rimpatrio), amministrative (es. ritiro della licenza d'esercizio) e, nei casi più gravi, penali. Gli Stati membri dovranno poi mettere a disposizione meccanismi per agevolare le denunce e garantire adeguate ispezioni sui luoghi di lavoro più a rischio.

 

Approvando un maxi-emendamento negoziato dal relatore Claudio FAVA (PSE, IT), il Parlamento ha sottoscritto il compromesso con il Consiglio in merito a una nuova direttiva che, allo scopo di contrastare l’immigrazione illegale, vieta l'assunzione di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente e, a tal fine, stabilisce norme minime comuni relative a sanzioni applicabili ai datori di lavoro che violano tale divieto. La direttiva va a completare i testi legislativi sul rimpatrio e sulla "carta blu".

 

Tuttavia, la Presidenza non si è potuta impegnare in nome degli Stati membri su una dichiarazione comune di Parlamento e Consiglio da allegare al provvedimento in cui le istituzioni sostengono che le norme relative al subappalto previste dalla direttiva non saranno rimesse in discussione da future disposizioni in materia introdotte da nuovi atti legislativi. La votazione formale della direttiva è stata quindi rinviata alla prossima sessione. Una volta completata la procedura, la direttiva sarà applicabile due anni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

 

Obblighi dei datori di lavoro

La direttiva impegna gli Stati membri a obbligare i datori di lavoro a chiedere ai cittadini di paesi terzi, prima di assumerli, di presentare il permesso di soggiorno o altra autorizzazione di soggiorno, nonché a tenere o registrare una copia di tali documenti almeno per la durata del periodo di lavoro per poterli esibire durante le eventuali ispezioni delle autorità competenti nazionali. Inoltre, devono essere tenuti a informare le autorità competenti dell’inizio dell’impiego di un cittadino di un paese terzo entro il termine stabilito dagli Stati membri. Questi, peraltro, hanno la facoltà di fissare una procedura semplificata di notifica se il datore di lavoro è una persona fisica che assume a fini privati. Se i datori di lavoro adempiono a queste disposizioni non potranno essere considerati responsabili di aver infranto il divieto di impiegare immigrati clandestini, a meno che non siano al corrente del fatto che il documento presentato è falso.

Sanzioni finanziarie, pagamento dei costi di rimpatrio e degli arretrati

 

In forza alla direttiva, gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie affinché i datori di lavoro che impiegano manodopera extra-comunitaria illegale «siano passibili di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive». Queste potranno includere, sanzioni finanziarie che aumentano a seconda del numero di cittadini di paesi terzi impiegati illegalmente e il pagamento dei relativi costi di rimpatrio. Tuttavia, possono essere previste delle sanzioni ridotte per le persone fisiche che impiegano a fini privati e se «non sussistano condizioni lavorative di particolare sfruttamento».

 

I datori di lavoro, inoltre, saranno tenuti a pagare la retribuzione arretrata ai cittadini di paesi terzi illegalmente impiegati, che si presume corrisponda al salario minimo stabilito dalla legge, da accordi collettivi o dalla prassi del settore interessato. Ma dovranno anche versare un importo pari alle tasse e i contributi previdenziali che avrebbero pagato in caso di assunzione legale, incluse le penalità di mora e le relative sanzioni amministrative. Se del caso, dovranno pagare anche tutti i costi derivanti dal trasferimento delle retribuzioni arretrate verso il paese in cui è stato rimpatriato il lavoratore.

 

Gli Stati membri, inoltre, dovranno porre in atto gli appropriati meccanismi affinché i cittadini dei paesi terzi impiegati illegalmente possano presentare domanda e dare esecuzione ad una sentenza nei confronti del datore di lavoro per ogni retribuzione arretrata, anche nei casi di rimpatrio volontario o forzato, e possano ricevere tale pagamento.

 

Norme specifiche sono definite per i casi di subappalto, fermo restando che un appaltante «che ha adempiuto ai suoi obblighi con la debita diligenza come previsto dalla legislazione nazionale non è ritenuto responsabile».

 

Sanzioni amministrative: esclusione dalle sovvenzioni, chiusura e ritiro della licenza

 

Gli Stati membri dovranno anche adottare le misure necessarie affinché un datore di lavoro sia anche soggetto, se del caso, all'esclusione dal beneficio di alcune o di tutte le prestazioni, sovvenzioni o aiuti pubblici, compresi i fondi UE gestiti dagli Stati membri, e dalla partecipazione ad appalti pubblici, per un periodo fino a cinque anni. Potrà inoltre essere imposto il rimborso di alcune o di tutte le prestazioni, sovvenzioni o aiuti pubblici – inclusi fondi UE gestiti dagli Stati membri – concesse al datore di lavoro fino a 12 mesi prima della constatazione del lavoro illegale. Infine, potrà essere decisa la chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti in cui ha avuto luogo la violazione, o il ritiro temporaneo o permanente della licenza d’esercizio dell'attività economica in questione, «se giustificata dalla gravità della situazione». Gli Stati membri, tuttavia, avranno la facoltà di esonerare da queste sanzioni il datore di lavoro che sia una persona fisica che ha assunto a fini privati.

 

Sanzioni penali per i casi più gravi, come l'impiego di minori

 

In forza alla direttiva, gli Stati membri dovranno garantire che la violazione del divieto di assumere immigrati illegali, se intenzionale, «costituisca reato», come previsto dalla legislazione nazionale, se prosegue, oppure è costantemente reiterata, se riguarda l'impiego simultaneo di un numero significativo di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare, se è accompagnata da situazioni di particolare sfruttamento, se è commessa da un datore di lavoro consapevole di impiegare una vittima della tratta di esseri umani e, infine, se riguarda l'impiego illegale di un minore. Sono punibili come reati anche l'istigazione, il favoreggiamento e la complicità nella commissione dei succitati atti.

 

Coloro che commettono queste violazioni dovranno essere punibili con sanzioni penali «effettive, proporzionate e dissuasive», da applicare ai sensi della legislazione nazionale fatte salve altre sanzioni o misure di natura non penale. La direttiva prevede anche disposizioni simili per le persone giuridiche, consentendo inoltre agli Stati membri di rendere pubblico un elenco di quelle ritenute responsabili di un siffatto reato. In ogni caso, la responsabilità della persona giuridica non esclude azioni penali contro le persone fisiche che commettano uno di questi reati o istighino qualcuno a commetterli o vi concorrano.

 

Agevolare le denunce, anche da parte di sindacati e ONG

 

La direttiva impone agli Stati membri di rendere disponibili meccanismi efficaci per consentire ai cittadini di paesi terzi impiegati illegalmente di presentare denuncia contro i loro datori di lavoro, sia direttamente sia attraverso parti terze designate dagli Stati membri, quali sindacati o altre associazioni o un’autorità competente dello Stato membro, qualora previsto dalla legislazione nazionale. Anche i terzi aventi un legittimo interesse a garantire che le disposizioni della direttiva siano rispettate potranno avviare tutte le procedure amministrative o civili previste, per conto o a sostegno dell'immigrato illegale e con il suo consenso. E' anche precisato che l'assistenza fornita per presentare denuncia «non dovrebbe essere considerata favoreggiamento di soggiorno illegale». 

 

Nei casi in cui il reato riguarda una «situazione di particolare sfruttamento» o l'impiego illegale di un minore, gli Stati membri dovranno definire le condizioni alle quali possono essere concessi, caso per caso, permessi di soggiorno di durata limitata.

 

Garantire adeguate ispezioni, soprattutto nei settori più a rischio

 

Gli Stati membri dovranno garantire che siano effettuate «ispezioni efficaci e adeguate sul loro territorio» per controllare l'impiego di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare. Tali ispezioni, è precisato, dovranno basarsi innanzitutto su una valutazione dei rischi effettuata dalle autorità competenti degli Stati membri. Per renderle più efficaci, inoltre, gli Stati membri dovranno identificare periodicamente i settori di attività in cui si concentra nel loro territorio l'impiego di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente. Relativamente a ciascuno di tali settori, gli Stati membri, ogni anno entro il 1° luglio, dovranno notificare alla Commissione il numero di ispezioni effettuate l’anno precedente, espresso come numero assoluto o percentuale dei datori di lavoro in ciascun settore, e riferirne i risultati.

 

Revisione della direttiva

 

Entro tre anni dopo la data di applicazione della direttiva, e successivamente ogni tre anni, la Commissione dovrà presentare al Parlamento europeo ed al Consiglio una relazione contenente proposte di modifica delle disposizioni relative al pagamento degli arretrati, alle sanzioni amministrative, al subappalto, all'agevolazione delle denunce e alle ispezioni.

 

La legge italiana: arresto da uno a tre anni e 5.000 euro di multa per ogni irregolare

 

In Italia, il datore di lavoro che “occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno…, ovvero il cui permesso di soggiorno sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato” rischia l'arresto da uno a tre anni e un ammenda di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato. Gli ispettori che constatano il reato devono inoltre inviare un rapporto agli istituti previdenziali per il conseguente recupero contributivo.

Link utili

 

Proposta della Commissione

 

 

Riferimenti

 

Claudio FAVA (PSE, IT)

Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE

Procedura: Codecisione, prima lettura

Dibattito: 3.2.2009

Votazione: 4.2.2009

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Crisi dell'auto: i deputati chiedono aiuti per l'industria


Nel dibattito in Aula tutti i deputati hanno sottolineato la crisi profonda attraversata dall'industria dell'auto europeo. In molti hanno chiesto un più forte coordinamento a livello europeo delle azioni. Queste dovrebbero riguardare principalmente il rinnovo del parco macchine verso modelli più ecologici, l'innovazione, la ripresa dei crediti all'industria e la tutela dell'occupazione. Per il commissario Verheugen il futuro dell'industria europea sarà ecologico, oppure non ci sarà futuro.

 

Dichiarazione del Consiglio in carica

 

Alexandr VONDRA ha anzitutto sottolineato l'importanza del tema in discussione, rilevando come l'industria automobilistica sia «un fattore chiave dell'economia europea». Grazie alla sua adattabilità dell'industria comunitaria, ha aggiunto, le auto europee sono tra le migliori, le più innovative, sicure, competitive e rispettose dell'ambiente» e «bisogna essere fieri di questi risultati». Ma la crisi economica globale ha portato a una riduzione delle vendite dell'8% nel 2008, rispetto all'anno precedente, e la situazione potrebbe peggiorare nel 2009, anche per l'indotto.

 

Il Ministro ha poi sottolineato che queste difficoltà mettono a repentaglio molti posti di lavoro e, pertanto, l'industria deve essere incoraggiata ad affrontare i suoi problemi strutturali, come la sovracapacità produttiva. A tale proposito, ha ricordato che il piano di risanamento economico europeo e i programmi nazionali prevedono una serie di aiuti. Questi, ha però precisato, devono concentrarsi sull'innovazione, essere mirati e coordinati e rispettare i principi della concorrenza equa e dell'apertura dei mercati. Ha quindi ammonito che non ci deve essere una «corsa ai sussidi» e non è possibile distorcere la concorrenza. Il Consiglio, ha aggiunto, collaborerà con la Commissione per esaminare la possibilità di migliorare i prestiti e proseguirà con il suo dialogo con gli USA e gli altri partner.

 

Riguardo agli strumenti a disposizione dell'UE ha posto l'accento su quelli che favoriscono l'innovazione. Al riguardo andranno valutate le potenzialità dei sistemi a propulsione ibrida e elettrica e delle cellule a combustibile. I regimi di rottamazione, ha aggiunto, possono dare impulso alla domanda e avere un impatto positivo. In proposito, ha anche affermato che la Presidenza ha chiesto alla Commissione di proporre al Consiglio europeo di primavera uno schema coordinato volto a incoraggiare il rinnovo del parco auto.
 

Dichiarazione della Commissione

 

Günter VERHEUGEN ha invitato tutti «alla prudenza» per evitare «di suscitare aspettative che non potranno essere onorate». L'industria dell'auto, ha aggiunto, è un indicatore della congiuntura generale e il «grave rallentamento» della domanda si ripercuote anche in altri settori. Questa riduzione, ha spiegato, è sintomo della mancanza di fiducia e dell'attesa di nuovi sviluppi, pertanto occorre prendere delle misure, tutti insieme, per ripristinare tale fiducia. Dopo aver enumerato le caratteristiche del settore (12 milioni di occupati, orientamento all'esportazione, ecc.), ha sottolineato che il crollo delle vendite ha portato a 2 milioni di auto invendute.

 

Il surplus di capacità produttiva, ha spiegato, è dell'ordine del 20% per alcune fonti, più alto per altre, e vi sono 400.000 posti di lavoro a rischio. Il commissario ha poi avvertito che non vi sono garanzie che tutti i siti di produzione esistenti saranno ancora attivi alla fine dell'anno: «la concorrenza è pesante» e l'industria deve promuovere migliori prestazioni. Ha quindi osservato che la legislazione UE rende la situazione ancora più difficile visto che porta a un aumento dei prezzi. Occorre quindi aumentare la produttività, cosa che avrà conseguenze sull'occupazione. Gli obiettivi della politica UE, ha poi spiegato, sono di far uscire l'industria dalla crisi e migliorarne la competitività, «affinché l'UE resti il centro dell'industria automobilistica mondiale».

 

Descrivendo le misure adottate fino ad oggi, il commissario ha ricordato il credito di 9 miliardi di euro, ma ha anche avvertito che «i fondi BEI sono esauriti» e che è necessario garantire ulteriori finanziamenti. Gli Stati membri sono anche autorizzati a ricorrere ad aiuti di Stato per sostenere l'industria, purché questi siano «mirati e non distorcano la concorrenza». Ha poi sottolineato che gli aiuti non devono discriminare i produttori, favorendo l'industria nazionale, e possono consistere nella rottamazione di auto vecchie a favore di modelli più ecologici che abbiano ad esempio minori emissioni. Più a lungo termine, ha menzionato le raccomandazioni di CARS 21 sulla ricerca e l'innovazione.

 

Il commissario ha poi sottolineato che la principale conclusione delle sue discussioni con gli Stati membri è «il no al protezionismo». A livello internazionale, invece, bisogna guardare alle azioni degli USA: se non è nell'interesse dell'Europa che l'industria americana fallisca, va anche assicurato che gli aiuti di cui beneficia non penalizzino i produttori UE. Concludendo, ha affermato che «l'industria europea è capace e pronta a reagire per garantire il suo futuro».

 

Interventi in nome dei gruppi politici

 

Jean-Paul GAUZES (PPE/DE, FR) osservando che il messaggio del commissario «non è di speranza e non contribuisce a ripristinare la fiducia», teme invece che rappresenti un incitamento agli Stati membri a muoversi da soli. A suo parere l'UE deve invece fare ben altro per un'industria così importante. Ha quindi sottolineato che una risposta coordinata «è fondamentale e urgente per sostenere e amplificare le azioni già intraprese dagli Stati membri».

 

Ha poi sostenuto che, prima di tutto, è indispensabile che il sistema bancario finanzi normalmente l'industria, «ossia a dei tassi e a delle condizioni normali, e con dei volumi che corrispondono ai bisogni dell'industria». Inoltre, «occorre dare un futuro all'industria» ed è quindi indispensabile una vera politica industriale che guardi al futuro e acceleri gli sviluppi necessari, in particolare, nel campo della protezione dell'ambiente e delle esigenze dello sviluppo sostenibile. Ma è anche primordiale che lo sforzo d'innovazione non si realizzi a discapito della crisi e che gli aiuti permettano di agire in questo campo.

Guido SACCONI (PSE, IT) ha detto di condividere la preoccupazione e il realismo espresso dal commissario. Ha quindi rilevato che una stima prevede una perdita potenziale di 2 milioni di posti di lavoro nel 2009 nell'intera filiera automobilistica, «la maggior parte dei quali nella componentistica». Ha quindi osservato che «viviamo una straordinaria contraddizione: da un lato abbiamo un parco veicolare privato e pubblico molto obsoleto, con alti livelli di emissioni e, dall'altro lato, una domanda che è fortemente rallentata, se non addirittura crollata». Sostenendo di aver apprezzato molto il piano di rilancio deciso dalla Commissione, pur con i suoi limiti, ha sottolineato di intervenire sulla domanda: «una vera manovra anticiclica ... anche in funzione degli obiettivi ambientali».

 

Deplorando che ogni Stato membro abbia preso iniziative individuali e che l'Italia «finora non ha fatto niente», ha auspicato che al Consiglio "Competitività" della prossima primavera «ci sia il massimo di coordinamento, almeno sui criteri», collegando ad esempio i piani di rottamazione «a precisi obiettivi di emissioni». In proposito ha giudicato «intelligente» la soluzione adottata in Francia che consiste nel «variare l'entità del bonus messo a disposizione dell'acquirente a seconda del livello di emissioni della vettura comprata». A suo parere, questo sarebbe «un sistema "win-win", in cui ci guadagnerebbero tutti: l'occupazione, l'innovazione, la competitività e anche l'ambiente».

 

Per Patrizia TOIA (ALDE/ADLE, IT) «la crisi del settore auto è diventata crisi di un intero comparto, dell'indotto, di altri settori collegati, delle reti commerciali e quindi dei servizi» e ha «prospettive drammatiche sotto il profilo dell'occupazione». Il crollo delle immatricolazioni, a suo parere, «dimostra che non è una crisi di un settore tecnologicamente obsoleto, non nasce all'interno del settore, dall'interno di questa o quell'azienda, per errori manageriali, è bensì una crisi di sistema e come tale va affrontata urgentemente e con decisione proprio dalle istituzioni europee». Se occorre sostenere la domanda, visto che «i consumi sono l'unico volano della ripresa», è anche necessario garantire «un sostegno creditizio per riprendere la produzione, pagare i materiali, sostenere l'occupazione, anche di fronte a un calo degli ordinativi e della domanda».

 

Sottolineando che l'America e alcuni paesi europei stanno già intervenendo e auspicando che l'Italia «passi dalle proposte generiche alle iniziative concrete», ha sollecitato «una più forte azione europea nel piano di rilancio» e anche oltre poiché «il destino delle grandi case europee è un destino comune e i grandi produttori europei non devono trovare concorrenza all'interno del mercato comune sotto forma di diverse forme di aiuti di Stato o di agevolazioni, ma devono trovare una risposta dell'Europa forte, incisiva e coordinata». Anche perché «le sorti del mercato europeo dell'auto si misurano nella capacità di affrontare insieme la concorrenza mondiale». Ha quindi concluso chiedendo che «il sostegno non sia un aiuto, peggio un soccorso, che lascia tutto com'è, ma un incentivo per una capacità competitiva futura del settore sotto il profilo delle innovazioni, di produzioni compatibili con l'ambiente e anche di tecnologie più rispettose dell'ambiente e della sicurezza dei viaggiatori e dei trasporti».

 

Anche Guntars KRASTS (UEN, LV) ha affermato che lo sviluppo è collegato alla disponibilità del credito. Dopo la normalizzazione dei sistemi creditizi, ha spiegato, dovrà essere possibile agire sul settore, salvaguardando la competitività e le prestazioni ecologiche.

 

Rebecca HARMS (Verdi/ALE, DE) ha rilevato l'esigenza di gestire la crisi economica assieme a quella ambientale, sostenendo che sarebbe un errore non essere ambiziosi a favore delle misure per il cambiamento climatico. In proposito, ha deplorato che si sia fatto troppo poco in questa materia. A suo parere, occorre «difendere le auto piccole e ecologiche» e esaminare le potenzialità di quelle elettriche. E' anche necessario avere una visione d'insieme sul settore dei trasporti e, quindi, considerare anche i mezzi pubblici e incentivare i sistemi sostenibili per il futuro.

 

Per Roberto MUSACCHIO (GUE/NGL, IT) «è ormai evidente che la crisi finanziaria è diventata economica e ora sociale, drammatica». E ciò «lo dimostra la situazione dell'auto, dove si presume siano a rischio oltre due milioni di posti di lavoro», soprattutto i più deboli ossia gli anziani e i precari. A suo parere occorre quindi «agire con rapidità e forza» e, in proposito, ha sottolineato la necessità di un coordinamento europeo diretto all'innovazione in relazione al pacchetto clima e al regolamento sulle emissioni.

 

Ma deve anche riguardare la questione sociale: «nessun lavoratore, a partire da quelli anziani e da quelli precari, deve essere espulso, poiché non si può fare l'innovazione cacciando i lavoratori». Pertanto, è necessario adeguare il Fondo sulla globalizzazione e il Fondo sociale, perché «il lavoro in Europa torni ad essere centrale, ad avere quel ruolo che spetta ad esso come fondatore di democrazia».

 

Patrick LOUIS (IND/DEM, FR) ha affermato che il settore dell'auto «soffre delle delocalizzazioni e dei dumping sociale, ambientale e fiscale». A suo parere la sola soluzione per difendersi «dai 4X4 americani sovvenzionati e dopati dal ribasso del dollaro ... e dai veicoli di gamma inferiore provenienti dalla Turchia o dalla Cina» è di «ristabilire le tariffe esterne comuni». Solo i dazi compensatori alle frontiere, ha insistito, «possono ristabilire uno scambio internazionale leale».

 

Replica della Commissione

 

Günter VERHEUGEN ha insistito sul fatto che «le misure a breve termine non possono essere in contraddizione con gli obiettivi di lungo termine: il futuro dell'industria europea sarà ecologico, oppure non ci sarà futuro!». Occorre quindi riorientare il settore, nonostante la crisi. Riguardo all'occupazione, ha ricordato che la Commissione ha avanzato delle proposte per un del Fondo di adeguamento più flessibile e, in proposito, ha sottolineato la necessità di agire rapidamente per salvaguardare e aiutare i lavoratori meno qualificati. In merito alla rottamazione, ha rilevato che non vi possono essere norme UE sugli importi dei premi, ma che sono state proposte delle forbici.

 

Link utili

Sito dell'ANFIA - Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica

Sito del Ministero dello Sviluppo economico

 

Riferimenti

Dichiarazioni del Consiglio e della Commissione - Effetti della crisi finanziaria sull'industria automobilistica

Dibattito: 4.2.2009

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Un piano d'azione UE sul morbo d'Alzheimer


Il morbo di Alzheimer interessa attualmente 6,1 milioni di europei. Il Parlamento chiede quindi di considerarlo come una priorità in fatto di salute pubblica europea e di definire un piano d'azione europeo. Questo dovrebbe promuovere la ricerca paneuropea sulle cause, la prevenzione e la cura del morbo, migliorare la diagnosi precoce, semplificare e migliorare la qualità di vita dei malati e di chi li assiste, e promuovere il ruolo delle associazioni accordando loro un sostegno regolare.

 

Prima di procedere alle votazioni, il Presidente di seduta, Diana WALLIS (ALDE/ADLE, UK), ha annunciato che più della maggioranza dei deputati ha sottoscritto una dichiarazione scritta sulla lotta al morbo di Alzheimer. Il testo, una volta pubblicato sul processo verbale, diventerà una posizione ufficiale del Parlamento europeo.

 

Nella dichiarazione, i deputati osservano anzitutto che il morbo di Alzheimer interessa attualmente 6,1 milioni di europei e che tale cifra «è destinata a raddoppiare o a triplicarsi entro il 2050 con l'invecchiamento delle popolazioni». Notano inoltre che questa malattia «rappresenta la prima causa di dipendenza» e che è quindi fondamentale «assumere un impegno politico nei settori della ricerca, della prevenzione e della protezione sociale».

 

Più in particolare, il Parlamento chiede al Consiglio, alla Commissione e ai governi degli Stati membri di considerare il morbo di Alzheimer «come una priorità in fatto di salute pubblica europea» e di definire un piano d'azione europeo inteso a:

 

·         promuovere la ricerca paneuropea sulle cause, la prevenzione e la cura del morbo di Alzheimer,

·         migliorare la diagnosi precoce,

·         semplificare per i malati e coloro che se ne fanno carico i passi da compiere, e migliorare la loro qualità di vita,

·         promuovere il ruolo delle associazioni Alzheimer e accordare loro un sostegno regolare.

 

 

Link utili

Sito della Commissione europea sul morbo di Alzheimer

Portale UE della salute

 

Riferimenti

Dichiarazione scritta sulle priorità nella lotta contro il morbo di Alzheimer

Doc.: 0080/2008

Procedura: Dichiarazione scritta

4.2.2009

 

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