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RESOCONTO
2 aprile 2009 Bruxelles
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Crisi: fondi UE per l'efficienza energetica nell'edilizia | |
Approvando con 629 voti favorevoli, 17 contrari e 12 astensioni la relazione di Emmanouil ANGELAKAS (PPE/DE, GR), il Parlamento ha adottato una modifica del regolamento relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) che, dando seguito al Piano europeo di ripresa economica, mira a consentire e a facilitare gli interventi a favore dell'efficienza energetica delle energie rinnovabili nel settore dell'edilizia abitativa in tutti gli Stati membri. Per i deputati, infatti, ciò contribuirà alla promozione della competitività e alla creazione di posti di lavoro in tutta l'UE e potrà avere anche un impatto sul raggiungimento degli obiettivi della strategia in materia di energia e cambiamenti climatici dell'Unione europea. Visto che gli emendamenti approvati alla proposta della Commissione sono frutto di un accordo con il Consiglio, la procedura legislativa si conclude e il regolamento entrerà in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Secondo l'attuale regolamento, il FESR sostiene già interventi nel settore dell'edilizia abitativa, compresa l'efficienza energetica, ma solo per i nuovi Stati membri e a diverse condizioni. In sostanza, il FESR può essere usato esclusivamente per le parti comuni di un edificio (o l'edificio intero in caso di edilizia popolare) in zone urbane disagiate. I deputati accolgono quindi con favore la proposta di estendere a tutti gli Stati membri e a tutte le regioni dell'UE la possibilità di investire, con il cofinanziamento comunitario, in misure a favore dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili nell'edilizia abitativa.
Più in
particolare, il FESR potrà essere utilizzato per cofinanziare piani
nazionali, regionali o di enti locali per l'installazione, ad
esempio, della doppia vetratura, dell'isolamento delle pareti e
dei pannelli solari nelle abitazioni, o per sostituire le vecchie
caldaie con altre più efficienti dal punto di vista energetico.
Se la proposta della Commissione prevedeva che queste misure fossero applicabili solo per l'edilizia relativa alle "famiglie a basso reddito", il compromesso con il Consiglio lascia invece agli Stati membri il compito di decidere le categorie ammissibili secondo le proprie norme nazionali. Potranno quindi definire i relativi criteri sulla base, ad esempio, delle caratteristiche geografiche delle aree in cui saranno realizzati gli investimenti, come isole o regioni montane.
La misura non aumenta il finanziamento e non ha effetti sul bilancio comunitario, ma consente semplicemente agli Stati membri, se lo desiderano, di spostare le proprie priorità e ripianificare i propri programmi operativi per finanziare azioni in questo campo. In forza al nuovo regolamento, in ogni Stato membro, le spese sostenute per i miglioramenti dell'efficienza energetica e per l'utilizzo di energie rinnovabili nel patrimonio abitativo esistente sono ammissibili sino ad un importo pari al 4% dello stanziamento FESR totale.
In forza al nuovo regolamento, inoltre, viene ampliato il ventaglio di spese ammissibili a un contributo del Fondo. Nel caso di sovvenzioni, saranno ammessi i costi indiretti dichiarati su base forfettaria fino al 20% dei costi diretti di un'operazione, i costi a tasso fisso calcolati applicando tabelle standard di costi unitari definiti dallo Stato membro e, infine, somme forfettarie destinate a coprire l'insieme o una parte dei costi di un'operazione, fino a un massimo di 50.000 euro. Le tre opzioni potranno essere combinate unicamente se ciascuna di esse copre una diversa categoria di costi ammissibili o se sono utilizzate per diversi progetti relativi ad una stessa operazione. E' anche precisato che tali costi debbono essere stabiliti in anticipo «sulla base di un calcolo giusto, equo e verificabile».
Infine, per assicurare la certezza giuridica relativa all'ammissibilità delle spese, queste ulteriori forme di costi ammissibili devono essere applicate a tutte le sovvenzioni del FESR. Pertanto è prevista un'applicazione retroattiva a decorrere dal 1° agosto 2006, che è la data di entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1080/2006.
Background - efficienza energetica nell'edilizia
Si stima che gli edifici costituiscono da soli la fonte del 40% delle emissioni di gas a effetto serra nell'UE. Vi è inoltre uno spreco eccessivo di energia negli edifici a causa dell'inefficienza degli impianti di riscaldamento, condizionamento dell'aria e illuminazione. La Commissione ritiene che i risparmi ottenuti da una politica energica efficace in termini di costi nel settore edilizio possano arrivare al 28% entro il 2020.
Link utili
Proposta della Commissione Regolamento (CE) n. 1080/2006 relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale
Riferimenti
Emmanouil ANGELAKAS (PPE/DE, GR) Relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1080/2006 relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale per quanto riguarda l'ammissibilità degli investimenti a favore dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili nell'edilizia abitativa Procedura: Codecisione, prima lettura Dibattito: 1.4.2009 Votazione: 2.4.2009 |
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Più prodotti con l'Ecolabel, inclusi (forse) i cibi Bio | |
Sulla base di un maxiemendamento di compromesso negoziato con il Consiglio dal relatore Salvatore TATARELLA (UEN, IT), il Parlamento ha adottato - con 633 voti favorevoli e 18 contrari - un regolamento volto ad aggiornare e semplificare le disposizioni sul marchio europeo di qualità ecologica, l’Ecolabel, il cui obiettivo è ridurre le ripercussioni negative del consumo e della produzione sull'ambiente, sulla salute, sul clima e sulle risorse naturali. Attraverso l'uso volontario del marchio istituito nel 1992, il cui logo è rappresentato da un fiore, s'intendono promuovere presso i consumatori i prodotti che presentano elevate prestazioni ambientali. Il regolamento entrerà in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea.
Requisiti per potersi fregiare dell'Ecolabel
I criteri generali dell'Ecolabel, che definiscono i requisiti ambientali che un prodotto deve rispettare per potersi dotare del marchio, devono essere basati sulla prestazione ambientale dei prodotti. Vanno determinati inoltre «su base scientifica e considerando l'intero ciclo di vita dei prodotti». A tale fine devono tenere conto degli impatti ambientali più significativi, «in particolare le ripercussioni a livello di cambiamenti climatici, natura e biodiversità, consumo di energia e di risorse, produzione di rifiuti, emissioni in tutti i comparti ambientali, inquinamento dovuto ad effetti fisici e uso e rilascio di sostanze pericolose».
Deve anche essere presa in considerazione «la sostituzione delle sostanze pericolose con sostanze più sicure, in sé e per sé ovvero mediante l'utilizzo di materiali diversi o mediante modifiche a livello della progettazione, ove ciò sia tecnicamente fattibile». Vanno anche valutate le possibilità di ridurre gli impatti ambientali «grazie alla durata dei prodotti e alla loro riutilizzabilità». Ove opportuno, si tiene conto degli aspetti sociali ed etici, facendo ad esempio riferimento alle norme e ai codici di condotta OIL. Nell'elaborazione dei criteri, inoltre, si dovrà tenere conto per quanto possibile del principio «della riduzione degli esperimenti sugli animali». La Commissione, entro nove mesi dalla consultazione del comitato dell'Unione europea per il marchio di qualità ecologica (CUEME), dovrà adottare provvedimenti per stabilire criteri specifici per il marchio di qualità ecologica da assegnare a ogni gruppo di prodotti, da pubblicare poi nella Gazzetta ufficiale, prestando attenzione «a non introdurre misure la cui attuazione potrebbe comportare un onere amministrativo ed economico sproporzionato per le PMI». Il CUEME è composto dai rappresentanti degli organismi competenti di tutti gli Stati membri e dai rappresentanti delle altre parti interessate (produttori, fabbricanti, dettaglianti, fornitori di servizi, grossisti, importatori, nella fattispecie le PMI, organizzazioni ambientaliste e associazioni dei consumatori).
Campo d'applicazione più vasto
L'Ecolabel è attualmente assegnato a 26 gruppi di prodotti e servizi, tra cui gli elettrodomestici, i prodotti per la pulizia, i materassi, le forniture per ufficio, i prodotti per il giardinaggio, i prodotti per il fai da te e i servizi di ricettività turistica. Ad oggi sono inoltre circa 500 le imprese che producono prodotti Ecolabel, per un fatturato totale di oltre 1 miliardo di euro l'anno. Ritenendo tale somma «estremamente ridotta» rispetto al potenziale mercato UE, la Commissione ha proposto una revisione del vigente regolamento al fine di ampliare il numero di gruppi di prodotti che possono dotarsi del marchio.
Pertanto, il regolamento si applicherà «a tutti i beni e i servizi destinati alla distribuzione, al consumo o all'uso sul mercato comunitario, a titolo oneroso o gratuito». Ma non ai medicinali per uso umano né a quelli per uso veterinario. Il marchio di qualità ecologica, inoltre, non potrà essere assegnato a prodotti contenenti sostanze o preparati/miscele classificati come tossici, pericolosi per l'ambiente, cancerogeni, mutageni o tossici per la riproduzione. Tuttavia, per determinate categorie di prodotti contenenti tali sostanze la Commissione potrà adottare misure di deroga, ma «solo qualora non sia tecnicamente fattibile sostituirli in quanto tali ovvero mediante l'utilizzo di materiali diversi o mediante modifiche a livello della progettazione». Nessuna deroga, però, potrà essere concessa a prodotti di questo tipo, soggetti a autorizzazione in forza al regolamento REACH, presenti in miscele o in un articolo in concentrazioni superiori allo 0,1% (p/p).
Il regolamento prevede che, prima di elaborare criteri Ecolabel per gli alimenti e i mangimi, la Commissione dovrà realizzare uno studio, entro il 31 dicembre 2011, volto a esplorare se sia fattibile stabilire criteri affidabili relativi alle prestazioni ambientali durante l'intero ciclo di vita dei prodotti in questione, inclusi quelli della pesca e dell'acquacoltura. Detto studio dovrebbe esaminare con particolare attenzione l'impatto di eventuali criteri Ecolabel sugli alimenti, sui mangimi e sui prodotti agricoli biologici non trasformati. Esso dovrebbe valutare la possibilità di assegnare il marchio Ecolabel «solo ai prodotti certificati come biologici», per evitare confusioni per i consumatori. Alla luce dei risultati di tale studio, la Commissione deciderà «se è fattibile elaborare criteri Ecolabel per alimenti e mangimi e, in caso affermativo, per quali gruppi di tali prodotti».
Tassa di deposito e diritti annuali per l'uso del marchio
L'uso del
marchio di qualità ecologica è subordinato al versamento di una
tassa di deposito della domanda compresa tra 200 e 1.200 euro.
Ma il regolamento precisa che nel caso delle PMI non deve superare
600 euro, mentre per le microimprese non può andare oltre 350 euro.
La tassa di deposito, inoltre, è ridotta del 20 % per i richiedenti
che siano già in possesso di una certificazione secondo le norme
EMAS e/o ISO 14001, a determinate condizioni. L'organismo
competente, poi, può imporre a ogni richiedente cui sia stato
Sorveglianza del mercato e controllo dell'uso dell'Ecolabel
Oltre a semplificare la procedura per la richiesta e l'assegnazione dell'Ecolabel, il regolamento precisa che «è vietata qualsiasi forma di pubblicità falsa o ingannevole, o l'uso di etichette o simboli atti ad ingenerare confusione con il marchio comunitario». Gli organismi competenti nazionali, dovranno anche verificare «a cadenza regolare» che i prodotti con il marchio siano conformi ai criteri relativi all'Ecolabel.
Se del caso, potranno effettuare tali verifiche anche in seguito a denunce o sotto forma di controlli casuali. Inoltre, l'utilizzatore del marchio Ecolabel dovrà consentire all'organismo competente di svolgere tutte le indagini necessarie a monitorare il suo costante rispetto dei criteri applicabili al gruppo di prodotti, autorizzando anche l'accesso ai locali nei quali viene fabbricato il prodotto. Qualora venisse rilevato che un prodotto marchiato Ecolabel non rispetta i criteri stabiliti o che il marchio non viene usato come previsto dall'articolo, l'organismo potrebbe vietarne l'uso.
Un piano d'azione per la promozione dell'Ecolabel
Per sostenere lo sviluppo del sistema Ecolabel, gli Stati membri e la Commissione dovranno concordare, in collaborazione con il CUEME, un piano d'azione specifico per promuovere l'uso del marchio comunitario mediante azioni di sensibilizzazione e campagne d'informazione ed educazione del pubblico rivolte a consumatori, produttori, fabbricanti, fornitori di servizi, acquirenti pubblici, venditori all'ingrosso e al dettaglio, nonché al pubblico in generale. Ma anche attraverso la promozione della diffusione del sistema, in particolare presso le PMI. E' anche precisato che l'Ecolabel potrà essere promosso tramite il suo sito internet, fornendo in tutte le lingue UE informazioni di base e su dove è possibile acquistare i prodotti che ne sono muniti.
Link utili
Maxiemendamento di compromesso
Riferimenti
Salvatore TATARELLA (UEN, IT) Relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad un sistema per il marchio comunitario di qualità ecologica (Ecolabel) Procedura: Codecisione, prima lettura Dibattito: 2.4.2009 Votazione: 2.4.2009 |
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UE/Russia: le raccomandazioni del PE sul nuovo
accordo
«Il contrattacco sproporzionato della Russia, provocato dall'entrata di truppe georgiane nell'Ossezia meridionale ... e il riconoscimento delle enclavi secessioniste dell'Ossezia meridionale e dell'Abkhazia mette in dubbio la disponibilità della Russia a costruire, con l'UE, uno spazio comune di sicurezza in Europa». E' quanto sostiene il Parlamento con la relazione di Janusz ONYSZKIEWICZ (ALDE/ADLE, PL) adottata con 416 voti favorevoli, 80 contrari e 147 astensioni. Sottolinea inoltre che i negoziati «non legittimano in alcun modo lo status quo vigente in Georgia», mentre il rispetto da parte della Russia degli accordi relativi al conflitto nell'Ossezia meridionale e in Abkhazia «è condizione sine qua non per il completamento dei colloqui», in cui dev'essere inclusa la rinuncia di tutte le parti all'uso della forza contro i paesi vicini.
La relazione raccomanda quindi al Consiglio e alla Commissione di insistere sul fatto che la violazione della sovranità e dell’integrità territoriale della Georgia da parte della Russia e il ruolo assunto da quest’ultima nella controversia del gas all’inizio del 2009, «hanno messo seriamente a repentaglio le relazioni con l’UE e i negoziati per un nuovo accordo» volto a approfondire la cooperazione con tale paese. Dovrebbero inoltre manifestare preoccupazione nei confronti della decisione del governo russo di riconoscere come Stati sovrani «queste due province georgiane», nonché invitare la Russia a «ritornare sulla sua decisione», a garantire il pieno accesso degli osservatori dell'UE a tutte le zone colpite dal conflitto e a fornire garanzie concrete che «non ricorrerà all’uso della forza contro i nessuno dei suoi vicini».
Il Parlamento
sollecita inoltre Consiglio e Commissione a introdurre un preciso
codice di condotta che disciplini le relazioni tra l’UE, la
Russia e i paesi vicini, che preveda disposizioni relative al
rispetto della sovrana indipendenza di tutti gli Stati europei,
l’impegno alla risoluzione pacifica delle controversie e la
determinazione a risolvere i conflitti congelati. Dovrebbero inoltre esprimere una profonda preoccupazione e sollecitare una soluzione «autenticamente politica» per la situazione in Cecenia, «dove il regime di Kadirov non è riuscito a portare pace e riconciliazione e ha invece imposto il timore e l'oppressione che hanno minato la società civile e soppresso ogni voce aperta e democratica».
La Russia garantisca il rispetto dei diritti umani
Il Parlamento nota che le ultime elezioni parlamentari e presidenziali russe si sono svolte «in condizioni nettamente inferiori agli standard europei», quanto all'accesso degli osservatori internazionali, alla capacità dei partiti dell’opposizione di schierare i candidati, all’equità e indipendenza dei media. Osserva poi che la persistente incarcerazione dei prigionieri politici, il trattamento riservato ai difensori dei diritti umani e l'adozione di misure che erodono la libertà di espressione, «sono in contrasto con l'impegno (della Russia) a rafforzare lo Stato di diritto. Inoltre, la mancanza d'indipendenza della magistratura, la negazione del giusto processo a imputati coinvolti in cause politiche controverse, l'impunità nei confronti di chi perpetra azioni criminose, pongono seri dubbi sul sistema di giustizia ai deputati che, al riguardo, ricordano l'impegno assunto pubblicamente dal presidente Medvedev a rafforzare lo Stato di diritto in Russia.
A fronte di tale situazione, il Parlamento chiede a Consiglio e Commissione di insistere su un accordo giuridicamente vincolante basato sull’impegno condiviso nei confronti dei diritti umani. Dovrebbero inoltre sollevare di fronte al governo russo le preoccupazioni sullo spazio sempre più limitato della società civile, sollecitandolo a porre fine a intimidazioni e vessazioni nei confronti dei difensori dei diritti umani e a mantenere la libertà di espressione e di associazione, facendo sì che la legislazione che regola la società civile si allinei agli impegni internazionali. Le istituzioni UE dovrebbero anche chiedere alla Russia di fermare le continue violenze e persecuzioni nei confronti dei giornalisti, rispettare la libertà dei mezzi di comunicazione e garantire che «i media indipendenti, beneficino di condizione politiche ed economiche che consentano loro di funzionare normalmente».
Garantire gli investimenti UE in Russia e la sicurezza energetica
Il Parlamento ritiene che il Consiglio e la Commissione dovrebbero continuare ad sostenere l’accesso della Russia all’OMC e l’ulteriore apertura della sua economia, insistendo affinché la relazione UE-Russia «si basi sui principi dei mercati aperti e liberalizzati e sulla reciprocità dei diritti di investimento tra i partner». Dovrebbero inoltre esigere che il governo russo, in cambio di legami economici stretti e vantaggiosi, garantisca i diritti di proprietà degli investitori stranieri e riveda la legge relativa ai settori strategici del 2008, che permette allo Stato russo di esercitare una discriminazione nei confronti degli investitori esteri. Nell'ambito degli attuali negoziati di adesione all’OMC, sono sollecitati a invitare le autorità russe a eliminare gli oneri discriminatori, in particolare per il cargo ferroviario, ad abolire i dazi all’esportazione sul legname non trattato, nonché a mantenere il suo impegno all'eliminazione graduale dei pagamenti per il sorvolo della Siberia.
Il Consiglio e
la Commissione sono invitati a chiedere alla Russia di introdurre
nuovi miglioramenti nella legislazione e nell'applicazione in
materia di protezione dei diritti di proprietà intellettuale,
industriale e commerciale, e a garantirne la piena attuazione in
modo da lottare efficacemente contro la contraffazione e la
pirateria. Esprimendo preoccupazione riguardo «all'affidabilità dell'approvvigionamento energetico russo», il Parlamento rileva che una relazione sicura nel campo dell’energia tra l’UE e la Russia, poggia anche «sulla trasparenza degli scambi nei paesi di transito». Consiglio e Commissione dovrebbero quindi insistere affinché il trattato TCE (Carta europea dell'energia), costituisca la base delle relazioni in campo energetico e affinché i suoi principi e il suo protocollo di transito siano incorporati nel nuovo accordo. Dovrebbero inoltre invitare a «potenziare l’efficienza e la capacità di risposta alle situazioni di crisi del dialogo UE-Russia in materia di energia, aumentare la trasparenza, la reciprocità, la sicurezza degli investimenti e, di conseguenza, dell'approvvigionamento energetico». Infine, sono invitati a sottolineare la necessità di creare un sistema basato su regole trasparenti e un meccanismo di risoluzione delle controversie in campo energetico».
Link utili
Risoluzione del Parlamento europeo del 18 dicembre 2008 sulle aggressioni nei confronti dei difensori dei diritti umani in Russia e processo per l'uccisione di Anna Politkovskaya
Riferimenti
Janusz ONYSZKIEWICZ (ALDE/ADLE, PL) Relazione recante una proposta di raccomandazione del Parlamento europeo destinata al Consiglio sul nuovo accordo UE-Russia Procedura: Iniziativa Dibattito: 1.4.2009 Votazione: 2.4.2009 |
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Garantire la libera circolazione nell'UE dei
cittadini europei
Al 1° gennaio 2006, circa 8,2 milioni di cittadini dell’Unione esercitavano il diritto sancito dalla direttiva 2004/38 di risiedere in un altro Stato membro. Approvando con 500 voti favorevoli, 104 contrari e 55 astensioni la relazione di Adina VĂLEAN (ALDE/ADLE, RO), il Parlamento sottolinea tuttavia che il recepimento della direttiva «è nel complesso deludente», dal momento che diverse disposizioni della legislazione nella maggior parte degli Stati membri «sono contrarie alla lettera e allo spirito della direttiva». Inoltre, «le prassi amministrative nazionali molto spesso frappongono notevoli ostacoli all'esercizio da parte dei cittadini dei loro diritti». Tant'è che la Commissione ha sinora ricevuto più di 1.800 denunce individuali, 40 interrogazioni parlamentari e 33 petizioni, in base alle quali ha avviato 5 procedimenti di infrazione per inadeguata applicazione della direttiva.
Il Parlamento
chiede quindi alla Commissione di presentare una politica di
attuazione della direttiva «coerente, efficace e trasparente, che
garantisca l'applicazione dei diritti di libera circolazione»
nell’intera UE ai cittadini europei e ai loro familiari,
indipendentemente dal loro paese d’origine. Condivide inoltre
l’impostazione della Commissione che prevede la verifica continua ed
esaustiva dell’attuazione della direttiva e il sostegno agli Stati
membri per garantirne la piena e corretta applicazione attraverso la
pubblicazione di orientamenti, nel primo semestre del 2009.
Al riguardo, chiede alla Commissione di stabilire un termine ultimo
per la loro attuazione, decorso il quale andrebbero avviate
procedure d'infrazione nei confronti degli Stati membri la cui
legislazione e/o prassi siano in contrasto con la direttiva. Invitando il Consiglio a definire una strategia per garantire la libera circolazione dei cittadini e dei lavoratori dell’UE, il Parlamento chiede inoltre agli Stati membri di avviare le procedure necessarie per adattare, entro la fine del 2009, le rispettive legislazioni e prassi nazionali. In proposito, sulla base delle informazioni acquisite tramite un questionario rivolto ai parlamenti nazionali (Francia e Germania non hanno risposto) e su una relazione della Commissione, i deputati identificano le «problematiche principali» da affrontare.
Concetto di "familiare" e libera circolazione delle coppie dello stesso sesso
Il Parlamento evidenzia l’esistenza di «un’interpretazione restrittiva», da parte degli Stati membri, dei concetti di “familiare”, di “ogni altro membro della famiglia” e di "partner", «in special modo per quanto riguarda le coppie dello stesso sesso e il loro diritto alla libera circolazione». In proposito, una nota a piè di pagina, osserva che in Italia, Polonia e Slovacchia non sono riconosciute le unioni registrate e, come a Cipro, i matrimoni tra persone dello stesso sesso non costituiscono una base per il riconoscimento del diritto alla libera circolazione. Un emendamento orale avanzato dalla relatrice, su richiesta della delegazione italiana del PPE/DE, ha cancellato la parte della nota che osservava come l'Italia «non riconosce diritti di libera circolazione alle coppie dello stesso sesso per ragioni di ordine pubblico», mentre a livello UE «si registra la prevalenza di posizioni contrarie al riconoscimento di terze o quarte mogli» (nelle altre versioni linguistiche il termine "mogli" è indicato come "coniugi").
Il Parlamento invita quindi gli Stati membri a tenere presente che la direttiva «impone l’obbligo di riconoscere la libera circolazione di tutti i cittadini dell’Unione (comprese le coppie dello stesso sesso), senza imporre il riconoscimento dei matrimoni fra persone dello stesso sesso». Chiede loro quindi «di dare piena attuazione ai diritti sanciti dalla direttiva» riconoscendoli «non soltanto ai coniugi di sesso diverso, ma anche ai partner legati da un’unione registrata, ai membri del nucleo familiare e ai partner la cui unione non sia formalmente registrata – ivi comprese le coppie dello stesso sesso riconosciute da uno Stato membro – a prescindere dalla loro nazionalità». Fatto salvo il loro mancato riconoscimento nel diritto civile di un altro Stato membro. Esorta poi la Commissione a formulare orientamenti «rigorosi» al riguardo, traendo spunto dalle conclusioni contenute nella relazione dell’Agenzia UE per i diritti fondamentali, e a monitorare tali questioni.
Risorse sufficienti e onere eccessivo per l'assistenza sociale
Il Parlamento osserva che l’interpretazione, da parte degli Stati membri, del requisito relativo alle “risorse sufficienti” «è spesso incerta», dal momento che molti di essi «obbligano gli interessati a presentare prove attestanti il possesso di tali risorse». In numerosi paesi, inoltre, è altrettanto incerta l’interpretazione del concetto di “onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante” e delle circostanze che, in base a tale criterio, giustificano l’allontanamento di un cittadino dell’Unione. Invita quindi la Commissione ad elaborare orientamenti con criteri comuni in relazione all'importo minimo delle risorse considerate sufficienti e a chiarire su quali basi gli Stati membri dovrebbero tenere conto “della situazione personale dell'interessato”.
Ordine pubblico, pubblica sicurezza e comunità etniche
Per i deputati, inoltre, varia da uno Stato membro all’altro anche l’interpretazione dell’espressione “motivi gravi/imperativi di ordine pubblico o pubblica sicurezza” in base ai quali può essere giustificato un provvedimento di allontanamento. Al riguardo, osservano che ciò «è spesso causa di incertezze che potrebbero configurare un’utilizzazione abusiva della direttiva (applicata, ad esempio, in maniera selettiva a svantaggio dei cittadini di un dato Stato membro) o una discutibile conformità alla direttiva (come nel caso dei meccanismi di allontanamento automatico)». In proposito, una nota a piè di pagina cita l'esempio dell'articolo 235 del Codice penale italiano che prevede l'allontanamento degli stranieri condannati a reclusione per due o più anni.
D'altra parte, il Parlamento rileva che i cittadini di determinati Stati membri e di talune comunità etniche «sembrano essere presi di mira in alcuni Stati membri». Invita quindi la Commissione, il Consiglio e tutti gli Stati membri a «sorvegliare la situazione» e garantire che «non sussista alcuna discriminazione per motivi di razza o di origine etnica, né nella pratica né nella legislazione». Rileva, poi, che i provvedimenti di ordine pubblico o pubblica sicurezza «dovrebbero rispettare il principio di proporzionalità ed essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell'individuo interessato». E in proposito, precisando che tale comportamento personale «deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società», ricorda che «le eccezioni di ordine pubblico non possono essere invocate per fini economici o per fini di prevenzione generale».
Il Parlamento chiede quindi alla Commissione di mettere a punto un meccanismo di interpretazione uniforme per categorie normative quali “ordine pubblico”, “pubblica sicurezza”, “sanità pubblica” e di chiarire in che modo gli elementi di cui tenere conto (durata del soggiorno, età, stato di salute, situazione familiare e economica, integrazione sociale e culturale e legami con il paese d'origine) abbiano attinenza con la decisione di allontanamento. Dovrebbe inoltre verificare che leggi nazionali in vigore non limitino la libera circolazione dei cittadini UE e dei loro familiari, e ricorda che ogni limitazione di questo diritto fondamentale «deve essere interpretata rigorosamente». Invita poi la Commissione ad «accertare l’esistenza e il funzionamento di garanzie concrete e procedurali, nonché di meccanismi di tutela giuridica e della possibilità di ricorrere in giudizio contro i provvedimenti di allontanamento».
D'altro lato, i deputati ricordano che il Servizio giuridico del Parlamento europeo ha concluso che le disposizioni pertinenti del diritto comunitario «si oppongono ad una legislazione nazionale che consideri circostanza aggravante generale, rispetto ad un crimine o ad un delitto commesso, il solo fatto che la persona in questione sia cittadina di uno Stato membro in presenza irregolare sul territorio di un altro Stato membro».
Norme sui matrimoni fittizi e oneri amministrativi ingiustificati
Riguardo alle problematiche legate a legislazioni e prassi in materia di abuso di diritto e matrimoni fittizi, il Parlamento constata che non tutti gli Stati membri hanno dato attuazione alla disposizione della direttiva che consente loro di adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere o revocare i diritti alla libera circolazione in caso di abuso di diritto o frode, quale ad esempio un matrimonio fittizio, «a condizione che dette misure siano proporzionate e non discriminatorie, e che siano rispettate le garanzie procedurali».
Il Parlamento
osserva poi che i cittadini dell’UE sono spesso tenuti a presentare
alle autorità dello Stato membro ospitante documenti
supplementari non giustificati che non sono previsti dalla
direttiva, sono contrari al diritto UE e ostacolano la libertà di
circolazione. Una nota a piè di pagina cita degli esempi in Belgio e
Spagna e in Italia, dove i cittadini europei sono tenuti a
dimostrare la "legittimità" delle loro risorse. Il Parlamento chiede
quindi agli Stati membri di non gravare i cittadini dell’UE e i loro
familiari, compresi i familiari di paesi terzi, di oneri
amministrativi ingiustificati, ricordando peraltro che «è loro
dovere agevolare l’ingresso dei familiari dei cittadini dell’Unione
provenienti dai paesi terzi». Li invita poi a
Un altro problema riscontrato nell'applicazione della direttiva riguarda l’imposizione di oneri amministrativi ingiustificati all’ingresso e alla residenza di familiari provenienti da paesi terzi. Una nota a piè di pagina cita dei casi nel Regno Unito, in Lituania, Estonia e in Polonia. In Italia, i cittadini dei paesi terzi che chiedono la riunificazione familiare devono dimostrare la legittimità dell'origine delle proprie risorse economiche, il cui importo non può essere inferiore all'indennità sociale annua.
Sistema di valutazione reciproca e relazioni periodiche
Il Parlamento chiede alla Commissione di istituire un sistema di valutazione reciproca in materia di libertà di circolazione, «eseguita da squadre di esperti» designati dagli Stati membri e dal Parlamento, coadiuvati dalla Commissione e dal Consiglio, «operanti sulla base di missioni in loco». La invita inoltre a richiedere dagli Stati membri relazioni periodiche che includano dati statistici relativi alla libera circolazione, indicando ad esempio il numero di casi in cui i diritti di ingresso e di soggiorno sono stati negati e il numero di espulsioni effettuate e le relative motivazioni.
La Commissione dovrebbe poi incrementare gli stanziamenti e istituire una nuova linea di bilancio per finanziare i progetti nazionali e locali volti all'integrazione dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari residenti in un altro Stato membro. Il Consiglio, invece, dovrebbe pubblicizzare «i risultati e gli effetti positivi» della libera circolazione per gli Stati membri ospitanti e per l'UE. Mentre gli Stati membri dovrebbero istituire uffici di assistenza e informazione sui diritti alla libera circolazione.
L'Aula ha respinto con 293 favorevoli e 328 contrari la richiesta di Stefano ZAPPALÀ (PPE/DE, IT) di rinviare la relazione alla commissione parlamentare competente per procedere a un suo ulteriore esame.
Link utili
Opinione di minoranza (Roberta Angelilli e Mario Borghezio) Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri Sintesi delle risposte dei parlamenti nazionali al questionario della commissione LIBE Relazione dell'Agenzia europea dei diritti fondamentali - Omofobia e discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale negli Stati membri dell’UE (in inglese)
Riferimenti
Adina VĂLEAN (ALDE/ADLE, RO) Relazione sull’applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri Procedura: Iniziativa Breve presentazione da parte del relatore: 1.4.2009 Votazione: 2.4.2009 |
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Verso una direttiva contro tutte le
discriminazioni
Approvando con 363 voti favorevoli, 226 contrari e 64 astensioni la relazione di Kathalijne BUITENWEG (Verdi/ALE, NL), il Parlamento accoglie con favore la proposta di direttiva che stabilisce un quadro generale per la lotta alla discriminazione per motivi di religione o convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio di parità di trattamento anche in campi diversi dall'occupazione, completando altri provvedimenti che vietano tali discriminazioni nella sfera professionale. Propone però molti emendamenti volti a rafforzarne la portata. Ma la proposta di respingere in toto la proposta - perché «non rispetta il principio di sussidiarietà e comporterebbe una dose sproporzionata di burocrazia» - è stata bocciata dall'Aula con 273 voti favorevoli e 356 contrari. Il Parlamento è solo consultato su questa materia, mentre al Consiglio è necessaria l'unanimità per adottare il provvedimento.
La proposta di
direttiva pone un divieto di discriminazione da applicare a
tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato,
compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene alla
sicurezza sociale e all'assistenza sanitaria, alle prestazioni
sociali, all'istruzione e all'accesso a beni e servizi disponibili
al pubblico e alla loro fornitura, inclusi gli alloggi. I deputati
chiedono di includere esplicitamente anche i trasporti e di
escludere le transazioni tra privati che non costituiscono
un'attività commerciale o professionale. Propongono inoltre di
applicare il divieto all'affiliazione e all'attività in associazioni
nonché alle prestazioni erogate da tali organizzazioni. La proposta, è precisato, non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalità e non pregiudica le disposizioni e le condizioni relative all'ingresso e al soggiorno di cittadini di paesi terzi e di apolidi nel territorio degli Stati membri. Lascia anche impregiudicate «le normative nazionali in materia di stato coniugale o di famiglia, inclusi i diritti di riproduzione». Ma il Parlamento chiede di modificare questo principio sancendo che la direttiva «non modifica la ripartizione delle competenze tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, anche nel settore del diritto coniugale e di famiglia».
Su proposta del PPE/DE, i deputati precisano inoltre che la direttiva «non si applica agli ordinamenti nazionali che garantiscono la laicità dello Stato, delle istituzioni o degli organismi statali, dell'istruzione o riguardanti lo status, le attività delle chiese e di altre organizzazioni fondate su una religione o convinzione». Chiedono inoltre di non applicare la direttiva ai «contenuti dell'insegnamento, alle attività e all'organizzazione dei sistemi d'istruzione nazionali». La direttiva non dovrebbe nemmeno essere applicata ai settori della pubblicità e dei media.
Allo scopo di assicurare l'effettiva e completa parità, gli Stati membri possono anche mantenere o adottare misure specifiche per evitare o compensare svantaggi connessi alla religione o alle convinzioni personali, alla disabilità, all'età o all'orientamento sessuale.
Le tipologie di discriminazione
La direttiva statuisce che vi è "discriminazione diretta" quando, per uno qualsiasi dei citati motivi, «una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga». Sussiste invece "discriminazione indiretta" quando «una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere persone di una determinata religione o convinzione, con una disabilità, di età o di orientamento sessuale in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone». I deputati chiedono di prendere in considerazione anche la «multidiscriminazione», ossia una combinazione dei motivi di discriminazione summenzionati.
La proposta considera anche le molestie come una discriminazione, se queste violano la dignità di una persona e creano «un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo». Lo stesso vale per «l'istruzione di discriminare persone». Un emendamento vi include anche la «richiesta basata su una relazione gerarchica» e le discriminazioni fondate su supposizioni.
Per quanto riguarda l'età, tuttavia, sono consentite discriminazioni giustificate da una finalità legittima attuata con «mezzi appropriati», ad esempio per accedere a taluni servizi o beni (come bevande alcoliche, patente di guida, ecc.). I deputati precisano che le disparità di trattamento devono essere «oggettivamente e ragionevolmente» motivate. Viceversa, vanno ritenute compatibili con il principio di non discriminazione le misure riferite all'età che fissano condizioni più favorevoli di quelle generalmente applicabili, come le tariffe ridotte per i trasporti pubblici e i musei. Lo stesso vale per i disabili.
Un emendamento del PPE/DE - accolto con un solo voto di scarto (299 sì, 298 no e 52 astensioni) - precisa poi che nell'ambito dell'offerta dei servizi finanziari (banche e assicurazioni, ad esempio) non vanno considerate discriminatorie le differenze proporzionate di trattamento ove, per il prodotto in questione, i fattori età e disabilità siano determinanti nella valutazione dei rischi, «in base a principi attuariali pertinenti, a dati statistici accurati o a conoscenze mediche. I deputati chiedono però che il fornitore del servizio deve poter dimostrare in modo obiettivo l'esistenza di rischi «significativamente più elevati», garantendo che le differenze di trattamento siano «obiettivamente e ragionevolmente giustificate da un fine legittimo» e che i mezzi per raggiungere tale fine «siano proporzionati, necessari ed efficaci». I dati attuariali, inoltre, devono riflettere i cambiamenti positivi in termini di speranza di vita.
Una particolare attenzione ai disabili
Per garantire il rispetto del principio di parità di trattamento delle persone con disabilità, la proposta di direttiva prevede l'adozione preventiva delle misure necessarie per consentire loro «l'accesso effettivo e non discriminatorio» alla protezione sociale, alle prestazioni sociali, all'assistenza sanitaria, all'istruzione e ai beni e servizi disponibili al pubblico, inclusi gli alloggi. Il Parlamento aggiunge le telecomunicazioni e le comunicazioni elettroniche, l'informazione (in formati accessibili), i servizi finanziari, le attività culturali e per il tempo libero, gli edifici aperti al pubblico, i mezzi di trasporto nonché altri spazi e strutture pubblici.
Precisa inoltre che si deve procedere all'identificazione e all'eliminazione di ostacoli e barriere che impediscono l'accesso delle persone con disabilità a beni, servizi e strutture disponibili al pubblico. Ove possibile, poi, l'accesso deve essere fornito agli stessi termini e alle stesse condizioni previsti per le persone senza disabilità, mentre dev'essere agevolato l'uso di dispositivi ausiliari, come ad esempio sedie a rotelle o cani guida addestrati ed altre forme di assistenza. Qualora, malgrado ogni sforzo, non sia possibile trovare «soluzioni ragionevoli», dovrebbe essere fornita «un'alternativa appropriata». Un altro emendamento precisa poi che le misure «non devono costituire un onere sproporzionato o richiedere modifiche sostanziali». Dette soluzioni ragionevoli, non devono necessariamente comportare significativi cambiamenti strutturali agli edifici la cui struttura è specificamente protetta dalla legislazione nazionale in ragione del loro valore storico, culturale o architettonico.
Religione e istruzione
il Parlamento propone che gli Stati membri possano consentire differenze di trattamento basate su una religione o convinzione nell'accesso ad istituti scolastici «solo sulla base di giustificazioni oggettive» e «allorché s'intenda esigere ... che gli individui agiscano in buona fede e con lealtà rispetto all'ethos dell'organizzazione». E «purché ciò non giustifichi discriminazioni su nessun'altra base e purché vi siano altri istituti scolastici geograficamente accessibili che costituiscono un'alternativa ragionevole, al fine di evitare una discriminazione indiretta». Gli Stati membri sono anche chiamati a garantire «che ciò non comporti la negazione del diritto all'istruzione».
Tutela dei diritti - garantire il risarcimento
In forza alla
proposta, gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché tutte le
persone che si ritengono lese, in seguito alla mancata applicazione
nei loro confronti del principio di parità di trattamento, possano
accedere a procedimenti giudiziari e/o amministrativi.
Riconosce inoltre alle associazioni il diritto di ricorrere per
conto di una persona che si ritiene lesa. D'altro canto, il
Parlamento chiede agli Stati membri di introdurre nel loro
ordinamento giuridico interno le misure necessarie affinché il danno
subito a causa di una discriminazione «sia realmente ed
effettivamente indennizzato o risarcito» secondo modalità da essi
fissate, «in modo dissuasivo e proporzionato rispetto al danno
subito». Riguardo all'onere della prova, la proposta chiede agli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio di parità di trattamento qualora chi si ritiene leso dalla mancata osservanza del principio di parità di trattamento produca dinanzi ad un organo giurisdizionale elementi di fatto che permettono di presumere l'esistenza di una discriminazione diretta o indiretta.
Gli Stati membri dovrebbero infine, istituire uno o più organismi di parità di tutte le persone indipendentemente dalla loro religione o convinzioni personali, disabilità, età o dal loro orientamento sessuale. Il Parlamento precisa che essi dovranno essere dotati di risorse sufficienti e svolgere i propri compiti in maniera efficace e accessibile.
Link utili
Proposta
della Commissione
Riferimenti
Kathalijne BUITENWEG (Verdi/ALE, NL) Relazione sulla proposta di direttiva del Consiglio recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale Procedura: Consultazione legislativa Dibattito: 1.4.2009 Votazione:2.4.2009 |
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Il Parlamento condanna tutti i totalitarismi
Adottando con 553 voti favorevoli, 44 contrari e 33 astensioni una risoluzione sostenuta da PPE/DE, ALDE, UEN e Vedi /ALE, il Parlamento esprime anzitutto il proprio «rispetto per tutte le vittime dei regimi totalitari e antidemocratici dell'Europa e rende omaggio a coloro i quali hanno combattuto contro la tirannia e l'oppressione». Inoltre, riconfermando «la sua posizione unanime contro ogni potere totalitario, a prescindere da qualunque ideologia», «condanna fermamente e inequivocabilmente tutti i crimini contro l’umanità e le massicce violazioni dei diritti umani commesse da tutti i regimi totalitari e autoritari». Rilevando «l'unicità dell'Olocausto», osserva infatti che, in Europa, nel corso del XX secolo, «milioni di persone sono state deportate, incarcerate, torturate e assassinate da regimi totalitari e autoritari». Rileva poi che l'Unione europea «ha una responsabilità particolare nel promuovere e salvaguardare la democrazia e il rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto, sia all'interno che all'esterno del suo territorio».
In proposito,
il Parlamento osserva che, fin dall’inizio, l’integrazione
europea «è stata una risposta alle sofferenze inflitte da due
guerre mondiali e dalla tirannia nazista, che ha comportato
l’Olocausto, e all’espansione dei regimi comunisti totalitari e non
democratici nell’Europa centrale e orientale». D'altra parte, il
processo di integrazione europea ha avuto successo e «ha ormai
portato a un’Unione europea comprendente paesi dell’Europa centrale
e orientale che hanno vissuto sotto regimi comunisti dalla fine
della Seconda guerra mondiale ai primi anni ’90», mentre le
precedenti adesioni di Grecia, Spagna e Portogallo, hanno
contribuito a garantire la democrazia nel Sud dell’Europa. Un
emendamento del PSE approvato a larga maggioranza dall'Aula precisa
che questi tre paesi sono stati «oppressi per lungo tempo da regimi
fascisti». Il Parlamento invita quindi la Commissione e gli Stati membri a impegnarsi ulteriormente per rafforzare l'insegnamento della storia europea ed «evidenziare la conquista storica dell'integrazione europea e il forte contrasto tra il tragico passato e l'ordine sociale pacifico e democratico che caratterizza oggi l'Unione europea». Anche perché «l’Europa non sarà unita fino a quando non sarà in grado di conseguire una visione comune della propria storia, non riconoscerà il nazismo, lo stalinismo e i regimi fascisti e comunisti come retaggio comune e non avvierà un dibattito onesto e approfondito sui i crimini da essi perpetrati nel secolo scorso».
In tale contesto, il Parlamento si dice inoltre convinto che «un'opportuna conservazione della memoria storica, una rivalutazione globale della storia europea e il riconoscimento a livello europeo di tutti gli aspetti storici dell'Europa moderna rafforzeranno l'integrazione europea». Sottolinea quindi l'importanza di mantenere vive le memorie del passato, «perché non può esservi riconciliazione senza verità memoria», e di rafforzare la consapevolezza europea dei crimini commessi dai regimi totalitari e non democratici promuovendo una documentazione e resoconti che testimonino del «tragico passato europeo».
Osservando che «nessun organo o partito politico detiene il monopolio sull'interpretazione della storia e che tali organi e partiti non possono proclamare di essere oggettivi», il Parlamento nota che «le interpretazioni politiche ufficiali dei fatti storici non dovrebbero essere imposte attraverso decisioni a maggioranza dei parlamenti e che un parlamento non può legiferare sul passato». D'altra parte rileva che «le interpretazioni distorte della storia possono alimentare politiche esclusiviste fomentando quindi l'odio e il razzismo».
Al riguardo, il Parlamento deplora che, vent'anni dopo il crollo delle dittature comuniste nell’Europa centrale e orientale, «in alcuni Stati membri sia ancora indebitamente limitato l’accesso a documenti di importanza personale o necessari per la ricerca scientifica». Chiede quindi «un autentico sforzo per l’apertura completa degli archivi», compresi quelli degli ex servizi di sicurezza interni, della polizia segreta e delle agenzie di intelligence, adottando al contempo provvedimenti volti a garantire che tale processo «non sia strumentalizzato a fini politici». Si dice infatti convinto che l’obiettivo finale della divulgazione e della valutazione dei crimini commessi dai regimi comunisti totalitari sia la riconciliazione, «che può essere raggiunta attraverso l'ammissione di responsabilità, la richiesta di perdono e il rafforzamento della rinascita morale». Invita inoltre il Consiglio e la Commissione a sostenere le attività di ONG come “Memorial” nella Federazione russa, attivamente impegnate nella ricerca e raccolta di documenti relativi ai crimini commessi durante il periodo stalinista.
Il Parlamento
chiede inoltre l’istituzione di «una piattaforma della memoria
e della coscienza europee» e di un centro/memoriale paneuropeo di
documentazione per le vittime di tutti i regimi totalitari. Rileva
anche l'importanza di ricordare coloro che si sono attivamente
opposti allo Stato totalitario e che «dovrebbero essere scolpiti
nella coscienza degli europei come eroi dell'epoca totalitaria, per
la loro dedizione, la fedeltà agli ideali, l'onore e il coraggio».
Auspicando il rafforzamento degli attuali strumenti finanziari
pertinenti, al fine di sostenere la ricerca storico-scientifica
sulle questioni sopra delineate, chiede che il 23 agosto sia
proclamata "Giornata europea del ricordo" delle vittime di
tutti i regimi totalitari e autoritari, «da commemorare con dignità
e imparzialità». L'Aula ha infine respinto un altro emendamento dell'UEN che invitava la Commissione e il Consiglio ad estendere il campo di applicazione della decisione quadro sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia, ai crimini commessi da tutti i regimi totalitari, «poiché attualmente esso si limita ai reati commessi dal regime nazista», con lo scopo di applicare criteri simili ai crimini commessi da entrambi i principali regimi totalitari e riservare un trattamento analogo all'apologia, alla negazione o alla minimizzazione grossolana di tali crimini. Ha anche bocciato la proposta dello stesso gruppo che invitava il Consiglio e la Commissione a compiere i passi necessari per introdurre l'opportuna denominazione dei campi di concentramento e di sterminio tedeschi e sovietici «al fine di evitare che la colpa del genocidio sia addossata alle vittime anziché ai perpetratori».
Link utili
Sito della Commissione europea sui diritti fondamentali
Riferimenti
Risoluzione su coscienza europea e totalitarismo Procedura: Risoluzione comune Dibattito: 25.4.2009 Votazione: 2.4.2009 |
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Campi elettromagnetici: ridurre l'esposizione dei
cittadini
Approvando con 559 voti favorevoli, 22 contrari e 8 astensioni la relazione di Frédérique RIES (ALDE/ADLE, BE), il Parlamento osserva anzitutto che i campi elettromagnetici (CEM) «esistono in natura e sono sempre stati presenti sulla terra», ma l’esposizione è aumentata costantemente a causa della domanda di elettricità e dell’avvento di tecnologie senza filo più avanzate. Nota inoltre che la tecnologia delle apparecchiature senza filo (telefono cellulare, Wifi/Wimax, Bluetooth, telefono a base fissa "DECT") «emette CEM che possono avere effetti negativi sulla salute umana», anche se «permangono incertezze sui possibili rischi per la salute, in particolare dei giovani il cui cervello è ancora in fase di sviluppo».
Esorta quindi la Commissione a rivedere e a informare il Parlamento circa il fondamento scientifico e l’adeguatezza dei limiti CEM fissati dalla raccomandazione relativa alla limitazione dell'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz (1999/519/CE). Contestualmente o in alternativa alla modifica dei limiti CEM europei, la Commissione dovrebbe elaborare, di concerto con gli esperti degli Stati membri e dei settori industriali interessati (società elettriche, operatori telefonici e produttori di apparecchi elettrici inclusi i telefoni cellulari), una guida alle opzioni tecnologiche disponibili «in grado di ridurre l’esposizione di un determinato luogo ai CEM». Occorre inoltre favorire l’elaborazione di una norma unica UE che consenta di ridurre al minimo l’esposizione dei cittadini in caso di ampliamento della rete di linee elettriche ad alta tensione.
Il Parlamento
precisa che gli attori industriali, i gestori delle infrastrutture e
le autorità competenti possono intervenire d’ora in poi su taluni
fattori, quali la messa a punto di disposizioni riguardo alla
distanza, all'altezza o alla direzione dei trasmettitori
rispetto alle aree residenziali, «allo scopo evidente di rassicurare
e proteggere meglio le popolazioni che vivono in prossimità delle
apparecchiature in questione». Gli Stati membri e gli enti locali e territoriali sono anche invitati a creare un sistema unico di autorizzazione all'installazione di antenne e ripetitori, nonché ad inserire tra i piani di urbanizzazione anche un Piano territoriale per lo sviluppo delle antenne.
Per i deputati, è poi opportuno favorire, nell’interesse generale, soluzioni basate sul dialogo fra i soggetti interessati per quanto riguarda i criteri di installazione di nuove antenne GSM o di linee ad alta tensione, e garantire che almeno le scuole, gli asili, le case di riposo e gli istituti sanitari «siano tenuti a specifica distanza, stabilita da criteri scientifici, da apparecchiature di questo tipo». Gli Stati membri dovrebbero inoltre rendere disponibili ai cittadini (anche tramite internet), mappe indicanti l’esposizione alle linee elettriche ad alta tensione, alle radiofrequenze e alle microonde, «soprattutto quelle generate da antenne di telecomunicazione, ripetitori radio e antenne telefoniche».
Al contempo il Parlamento esorta i fornitori di servizi a condividere i trasmettitori «al fine di limitare la proliferazione di antenne e trasmettitori posizionati in modo non adeguato», e invita la Commissione e gli Stati membri a elaborare orientamenti in tal senso. Le autorità responsabili dovrebbero anche siglare un accordo con gli operatori del settore in merito alla condivisione delle infrastrutture «allo scopo di ridurre il volume e l’esposizione dei cittadini ai campi elettromagnetici».
Il Parlamento suggerisce alla Commissione di utilizzare una parte dei finanziamenti comunitari destinati agli studi sui CEM per sostenere una campagna globale di sensibilizzazione dei giovani europei in merito alle buone prassi nell'ambito dell'utilizzo del telefono cellulare (uso di kit vivavoce, riduzione della durata delle telefonate, ecc). Queste campagne dovrebbero anche familiarizzare i giovani europei con i rischi per la salute causati dagli elettrodomestici e con l’importanza di spegnere tali apparecchiature anziché lasciarle in modalità stand-by. D'altra parte, esprime particolare preoccupazione per il fatto che le compagnie assicurative tendano a escludere la copertura dei rischi legati ai CEM dalle polizze di responsabilità civile, osservando che ciò «dimostra chiaramente che gli assicuratori europei già applicano una loro versione del principio di precauzione».
Per migliorare l'informazione dei consumatori, i deputati chiedono poi di modificare le norme tecniche del Comitato europeo di normalizzazione elettrotecnica in modo da imporre un obbligo di etichettatura relativo alla potenza di emissione che preveda l'indicazione, per ciascun apparecchio funzionante "senza fili", del fatto che lo stesso emette microonde. Denunciano inoltre la conduzione di «campagne di marketing particolarmente aggressive» da parte di taluni operatori telefonici in occasione delle festività di fine anno e di altre occasioni speciali, ad esempio la vendita di telefoni cellulari destinati esclusivamente ai bambini o le offerte "minuti gratuiti" mirate per gli adolescenti.
Nell'invitare la Commissione e gli Stati membri ad aumentare i finanziamenti per la ricerca, il Parlamento chiede l'avvio di un programma ambizioso teso a valutare «in maniera definitiva» se le microonde hanno effetti nocivi sulla salute umana e di condurre una ricerca finalizzata a valutare i potenziali problemi per la salute mettendo a punto soluzioni «che annullino o riducano la modulazione pulsante e d'ampiezza delle frequenze usate per la trasmissione». Propone poi alla Commissione di prendere in considerazione la possibilità di utilizzare i finanziamenti delle reti transeuropee nel settore dell’energia per esaminare gli effetti dei CEM a frequenze molto basse, segnatamente nelle linee elettriche.
I deputati, infine, propongono di inserire nella politica UE di qualità dell’aria lo studio degli elettrodomestici "senza filo", ad esempio il Wifi per l’accesso a Internet e il telefono digitale cordless "DECT", che espongono i cittadini a un’emissione continua di microonde.
Background - la raccomandazione del Consiglio
In mancanza di competenze attribuite dai trattati, nessuna disposizione comunitaria obbliga gli Stati membri ad adottare misure in materia di onde a bassa e a bassissima frequenza, ovvero quelle che attualmente sono emesse soprattutto dalle antenne della telefonia mobile e dalle tecnologie senza filo. Pertanto, a livello comunitario, le norme sull’esposizione dei cittadini sono fissate in una raccomandazione del Consiglio, del 12 luglio 1999, relativa alla limitazione dell'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici (da 0 Hz a 300 GHz).
Le sue disposizioni seguono le norme stabilite dalla Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti e fissa i seguenti valori limite: GSM (900 MHz): 41,25 V/m, DCS (1800 MHz): 58,33 V/m e UMTS (2100 MHz): 61 V/m. Ma, nulla impedisce agli Stati membri di adottare norme di protezione più severe: almeno 9 Stati membri l’hanno già fatto a livello nazionale o regionale. Secondo una relazione della Commissione sull'attuazione della raccomandazione, in Italia i limiti di base per la densità di potenza applicabili a centrali elettriche e impianti fissi di telecomunicazione "sono dieci volte più bassi che nella raccomandazione".
Link utili
Raccomandazione del Consiglio,
del 12 luglio 1999, relativa alla limitazione dell'esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz
Riferimenti
Frédérique RIES (ALDE/ADLE, BE) Relazione sulle preoccupazioni per la salute connesse ai campi elettromagnetici Procedura: Iniziativa Breve presentazione da parte del relatore: 1.4.2009 Votazione: 2.4.2009
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Favorire l’integrazione dei giovani migranti nelle scuole UE | |
Approvando con 431 voti favorevoli, 55 contrari e 94 astensioni la relazione di Hannu TAKKULA (ALDE/ADLE, FI), il Parlamento rileva anzitutto che l'aumento della migrazione all'interno e verso l'Unione europea sta «modificando in molti luoghi la composizione delle scuole». Pur riconoscendo che la migrazione può arricchire in termini di cultura e d'istruzione, sostiene che le differenze culturali ostacolano spesso la comprensione e il dialogo tra allievi, nonché tra allievi e insegnanti, e che in assenza di misure di accompagnamento adeguate, ciò può «comportare serie divergenze». Ricordando poi che la percentuale di bambini migranti nella scuola «è destinata ad aumentare», sottolinea la necessità di maggiori sforzi a livello dell'Unione europea poiché tutti gli Stati membri devono affrontare sfide simili al riguardo.
Il Parlamento raccomanda agli Stati membri di «evitare di creare scuole simili a ghetti o classi speciali per figli di migranti», e di promuovere una politica dell'istruzione inclusiva, in virtù della quale i bambini siano assegnati alle classi in base al livello d'istruzione e alle esigenze individuali. Osservando che il livello d'istruzione dei figli di migranti «è notevolmente inferiore a quello degli altri», sottolinea che l'integrazione deve basarsi sui principi di «pari opportunità nell'istruzione», garantendo uguale accesso a una formazione di qualità, e respinge quindi qualsiasi soluzione «che si basi sulla segregazione e su un'istruzione inadeguata».
Ricordando che
l'organizzazione della formazione è di competenza nazionale, il
Parlamento chiede ai governi degli Stati membri di garantire
l'istruzione ai figli di migranti, incluso l'insegnamento delle
lingue ufficiali del paese ospitante, ai fini della loro «piena
integrazione». In tale ambito, insiste affinché l'apprendimento
delle lingue sia incoraggiato dall'età prescolare. Anche gli adulti
dovrebbero essere pronti a «sfruttare l'opportunità», poiché è
«fondamentale» che i genitori siano coinvolti nei programmi
d'insegnamento, «per assicurare che i bambini non siano separati
dalla società e per aiutarli a integrarsi nella scuola». Al contempo, reputa che occorre promuovere le lingue e le culture d'origine dei migranti. Riconosce quindi l'importanza di introdurre nei programmi scolastici ore di insegnamento ai migranti nella loro lingua madre, per garantire la conservazione del loro patrimonio culturale. Chiede inoltre, per i migranti, un sostegno in termini finanziari e amministrativi a favore di corsi di lingua tenuti da personale formato che comprenda la loro lingua madre. Anche perché «nelle scuole è elevato il numero di bambini provenienti da un contesto migratorio che si trovano in una posizione socioeconomica debole».
Il Parlamento insiste inoltre sulla necessità che tutti beneficino della parità di trattamento e che le istituzioni scolastiche e gli insegnanti considerino «la diversità come una situazione normale». Chiede che le scuole con un'elevata percentuale di bambini immigranti «siano dotate del personale adeguato e delle strutture necessarie per gestire la sfida posta da classi eterogenee e consentire loro di offrire un insegnamento di qualità». Ritiene quindi importante che, nelle scuole frequentate da figli di migranti, gli insegnanti ricevano una formazione specifica che includa competenze interculturali, per consentire loro di trattare nel modo più efficace possibile la diversità nella scuola.
Il Parlamento rileva inoltre che le scuole hanno bisogno di insegnanti immigrati, «poiché offrono un'esperienza importante ai loro colleghi, rappresentano l'esito positivo dell'integrazione sociale e potrebbero costituire un modello per i bambini in difficoltà». Si dice anche «a favore di regimi di mobilità che consentano di reclutare insegnanti del paese d'origine per facilitare il contatto dei figli di migranti con la cultura e la civiltà di provenienza».
Il Parlamento chiede alla Commissione e al Consiglio di avviare un dialogo tra gli Stati membri nel quadro del metodo di coordinamento aperto al fine di scambiare migliori pratiche e sviluppare un'agenda comune volta ad affrontare le lacune nell'istruzione degli immigranti ed invita a riferire regolarmente sui progressi compiuti nell'ambito dell'integrazione dei bambini migranti nel sistema scolastico degli Stati membri.
Il Parlamento esorta poi la Commissione ad affrontare le conseguenze per i sistemi d'istruzione degli Stati membri, non solo della migrazione all'interno dell'UE ma anche dell'immigrazione verso l'Unione. A tale proposito rilevando come le attuali disposizioni della direttiva 77/486/CEE (in materia d'istruzione dei bambini migranti degli Stati membri) non corrispondano alla nuova realtà sociale dell'Unione, suggerisce l’introduzione di una modifica che contempli l'istruzione di minori cittadini di paesi terzi o i cui genitori non abbiano la cittadinanza comunitaria.
Link utili
Libro verde della Commissione - "Migrazione e mobilità: le sfide
e le opportunità per i sistemi d'istruzione europei"
Riferimenti
Hannu TAKKULA (ALDE/ADLE, FI) Relazione su proposta di risoluzione del Parlamento europeo sull'istruzione per i figli dei migranti Procedura: Iniziativa Breve presentazione da parte del relatore: 1.4.2009 Votazione: 2.4.2009 |
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Garantire a tutti un’istruzione di qualità | |
Il Parlamento ha adottato una risoluzione alternativa alla relazione di Pál SCHMITT (PPE/DE, HU) - sostenuta da PPE/DE (incluso il relatore), PSE, ALDE, Verdi/ALE e GUE/NGL - che sottolinea anzitutto come «le scuole debbano fornire un'istruzione di alta qualità a tutti i ragazzi ed avere obiettivi ambiziosi per tutti gli studenti». Ritenendo che questo debba essere un diritto per ogni bambino, afferma che una Carta europea dei diritti degli alunni rappresenterebbe «un primo ed importante passo» per garantirlo.
Inoltre, reputa che l'acquisizione delle abilità di base e delle competenze fondamentali da parte di tutti i giovani e il miglioramento dei livelli d'istruzione, sono cruciali per il raggiungimento degli obiettivi dell'agenda di Lisbona. Anche perché, alla luce dell'attuale crisi economica, «l'istruzione e la formazione svolgono un ruolo chiave nello sviluppo di competenze ... come strumento ideale per la ripresa economica e per ridare slancio al mercato del lavoro».
Il Parlamento
chiede che i programmi scolastici siano ammodernati e migliorati,
in modo da rispecchiare le odierne realtà sociali, economiche,
culturali e tecniche e da essere strettamente connessi col mondo
dell'industria, delle imprese e col mercato del lavoro. Giudica
quindi importante che i giovani, già nel corso della loro formazione
elementare, superiore e universitaria, siano preparati alla
flessibilità nel mercato del lavoro in previsione della sua
mutabilità. Anche se l'armonizzazione delle conoscenze con le
esigenze del mercato, pur essendo certamente una priorità dei
sistemi d'istruzione, «non ne rappresenta l'obiettivo primo e
fondamentale». Le scuole, infatti, non devono cercare soltanto di
migliorare l’occupabilità, ma anche di dare ai giovani
«l'opportunità di sviluppare appieno le proprie potenzialità».
Il Parlamento invita poi gli Stati membri a investire nell'istruzione prescolare, per garantire strutture di alta qualità, con insegnanti e operatori adeguatamente formati, e assicurarne l'accessibilità economica. Sostiene inoltre che «l'istruzione pubblica debba restare principalmente un settore finanziato dallo Stato» e che andrebbe concesso unsostegno supplementare agli istituti d'istruzione pubblici che si trovano in situazioni finanziarie più sfavorevoli, in particolare quelli situati nelle regioni povere dell'UE. Accoglie tuttavia con favore le iniziative che puntano a sviluppare una fruttuosa collaborazione con il settore privato e a esplorare nuovi metodi di finanziamento complementare.
Con l'adozione della risoluzione alternativa è stato peraltro soppresso il paragrafo della relazione originale che raccomandava «parità di finanziamenti per tutti i tipi di scuole, in proporzione alle loro dimensioni e a prescindere dalla loro filosofia educativa». Il paragrafo in questione sottolineava, inoltre, «il ruolo importante degli istituti scolastici religiosi che offrono un'istruzione di elevata qualità e insegnano solidi valori morali».
Il Parlamento è anche convinto che «i bambini debbano imparare le lingue straniere fin da piccoli» e, pertanto, apprezza la proposta di un nuovo traguardo di riferimento, in base al quale almeno l'80% degli alunni del primo ciclo dell'insegnamento secondario dovrebbe imparare almeno due lingue straniere. Sottolinea inoltre l'importanza di continuare l'insegnamento delle lingue straniere nell'istruzione secondaria superiore «per assicurare che i giovani acquisiscano competenze linguistiche di alto livello». In tale contesto, invita gli Stati membri a considerare la possibilità di assumere un maggior numero di professori madrelingua per l'insegnamento delle lingue.
La risoluzione alternativa ha, d'altro canto, soppresso il paragrafo della relazione originaria in cui si chiedeva agli Stati membri di adottare iniziative «per garantire ai figli dei migranti legali l'insegnamento della loro lingua madre», e che invitava la Commissione a individuare e diffondere le migliori prassi al riguardo.
Esprimendo preoccupazione per l'attuale tendenza alla diminuzione della capacità degli studenti di leggere, scrivere e fare calcoli, la relazione esorta gli Stati membri «ad adottare ogni misura necessaria per invertire questo trend» e ad adoperarsi per fornire a ogni giovane, competenze di base indispensabili per proseguire l'apprendimento. Contro le disuguaglianze e gli abbandoni scolastici prematuri, pregiudizievoli sulla coesione sociale e con alti costi socioeconomici, suggerisce poi di dare agli alunni a rischio un supporto aggiuntivo e attività di apprendimento dopo la scuola, nonché di sostenere, con metodi di apprendimento personalizzati, coloro che ne hanno bisogno.
In tale contesto, i deputati invitano gli Stati membri «ad assicurare che le politiche d'istruzione conseguano un equilibrio tra eguaglianza e qualità», ponendo l'accento sulle misure di agevolazione sociale per studenti provenienti da ambienti svantaggiati». Suggeriscono inoltre di «aumentare l'accesso delle categorie svantaggiate alla formazione professionale e agli studi universitari del miglior livello», attraverso la predisposizione di borse di studio, in modo tale da offrire pari opportunità in termini di accesso all'istruzione.
Per i deputati, un ambiente didattico di buona qualità, che offra infrastrutture, materiali e tecnologie moderne, è uno dei presupposti per conseguire una formazione di standard elevato. Aggiungono però che la qualità dell'istruzione e il livello dei suoi risultati dipendono in larga misura anche dal rispetto dell'autorità dell'insegnante in classe. A questo proposito reputano che la composizione del corpo docente debba «rispecchiare il più possibile la crescente diversità delle società europee, al fine di proporre modelli di ruolo per tutti gli allievi».
Giudicano inoltre necessario fornire agli insegnanti tanto un'istruzione iniziale di alta qualità, fondata sulla teoria e sulla pratica, quanto un supporto professionale continuo, allo scopo di tenerli aggiornati, durante tutta la carriera, per quanto riguarda le competenze richieste. Raccomandano infine che il docenti siano incoraggiati a sfruttare al massimo i programmi di mobilità nazionali ed europei, e che la mobilità divenga parte integrante della loro formazione e carriera.
Link utili
Comunicazione della Commissione - Migliorare le competenze per il 21° secolo: un ordine del giorno per la cooperazione europea in materia scolastica
Riferimenti
Pál SCHMITT (PPE/DE, HU) Relazione su migliorare le scuole: un ordine del giorno per la cooperazione europea Procedura: Iniziativa Relazione senza dibattito Votazione: 02.04.2009 |
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