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Sul patto di stabilità le regole vanno rispettate
La Corte di Giustizia dà ragione alla Commissione

Lussemburgo, 13 luglio 2004 - E' certamente una sentenza destinata a restare negli annali del diritto europeo quella che ha deciso di dare sostanzialmente ragione alla Commissione europea, contro i governi, sulla sospensione della procedura di infrazione per i deficit di Francia e Germania. Una decisione che segna un'importante vittoria morale per l'esecutivo, ma mantiene accesi i riflettori sulla gestione stessa del patto di stabilità.

La sospensione, annullata dalla Corte, era stata decisa dal Consiglio dei ministri economici e finanziari (Ecofin) il 25 novembre 2003. Contro di essa la Commissione aveva presentato ricorso il 27 gennaio scorso. Il pomo della discordia non erano i contenuti, ma le modalità della decisione del Consiglio e, dunque, la procedura nel suo complesso. L'Ecofin, non avendo trovato la maggioranza necessaria per l'approvazione delle raccomandazioni proposte dall'esecutivo per i due paesi, aveva optato per una semplice dichiarazione non vincolante con una serie di richieste ai due paesi. Una formula, questa, non contemplata dal Trattato dell'Ue.

La sentenza è perentoria: ''la Corte annulla le conclusioni dell’Ecofin e aggiunge: ''Il Consiglio non può discostarsi dalle norme stabilite dal Trattato né da quelle che esso stesso si è imposto''. In altre parole, secondo la Corte i ministri potevano modificare o anche rigettare, o persino sospendere la procedura, ma prendendo una decisione chiara con voto a maggioranza qualificata e non ricorrendo allo strumento delle conclusioni.

Una sentenza salutata, ovviamente, con grande soddisfazione dalla Commissione europea, a cominciare dal suo Presidente, in quanto conferma la centralità dell'esecutivo Ue. In effetti, la maggior parte degli osservatori nota come la decisione dei giudici di Lussemburgo ricordi che esistono delle regole a cui gli stati membri non possono derogare. Anche se certamente, come non ha mancato di ricordare la stessa Corte, i governi restano liberi di non accogliere le richieste della Commissione, comprese quelle riguardanti il patto di stabilità.

La sentenza riporta lo stato delle cose alla vigilia della fatidica riunione Ecofin. E così, ha spiegato Michel Petite, direttore generale dei servizi giuridici della Commissione, l'esecutivo ''dovrà emettere nuove raccomandazioni, che possono essere identiche a quelle esaminate dall'Ecofin il 25 novembre, o diverse''.

Dunque, al di là delle misure chieste ai due paesi, l'esecutivo chiederà di procedere in base a quelle norme del Trattato che prendono atto dello sforamento del tetto del 3 per cento del pil e indicano nuove richieste di misure antideficit e sono ormai l'anticamera dell'imposizione di sanzioni. Il Consiglio potrà naturalmente non approvarle, non avendo trovato una maggioranza, o potrà modificarle a maggioranza, o confermarle, ma non potrà tornare alla scappatoia delle conclusioni non vincolanti fuori procedura. Come la stessa Corte ha sottolineato, se non si arriverà a una maggioranza vi sarà una ''sospensione di fatto''. Tuttavia la decisione finale non potrà esser rinviata all'infinito, la stessa Commissione, come ha spiegato Petite, potrà invocare il criterio del ''lasso di tempo ragionevole'' per un eventuale nuovo ricorso alla Corte.

Lo stesso Prodi, qualche tempo fa, aveva auspicato un patto ''intelligente'' e la sua Commissione, ormai alla fine del mandato, presenterà il prossimo 3 settembre una proposta per una migliore interpretazione. Alcuni pilastri sono già noti: dare più accento al debito pubblico nella valutazione del deficit e insistere affinché gli stati sfruttino i momenti di crescita economica per fare le riforme strutturali e consolidare stabilmente il bilancio. 

 

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