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Bruxelles, 12 luglio 2004 – Sulla elezione a presidente della Commissione del portoghese José Manuel Durao Barroso, in seno al Parlamento europeo, che dovrà pronunciarsi tra dieci giorni, si profilano già le posizioni politiche. Ne dà oggi una anticipazione il quindicinale “In Europ@” ricordando anzitutto i motivi per cui la nomina di Barroso ha incontrato il consenso generale. A Parigi va bene perché parla un ottimo francese, oltre a un fluente inglese e a un impeccabile spagnolo. Oltretutto viene da un paese che è nell'euro e nell’accordo di Schengen. Certo, organizzò il vertice delle Azzorre, nel 2003, che vide riunire José Maria Aznar, Tony Blair e George W. Bush nel segno della coalizione per la guerra in Iraq. Ma lui in realtà non si espose oltre e Parigi, alla fine, non senza la sorpresa di molti, evidentemente lo ha ''perdonato''. Tanto più – scrive “In Europ@” - che Barroso, nato maoista, è oggi un conservatore, dunque di un campo politico affine a quello di Chirac. Ai britannici, evidentemente, piace, e non solo per la sua posizione sulla guerra irachena che lo ha visto schierato al loro fianco. Londra gradisce il corso all'insegna delle privatizzazioni e del liberismo seguito dal portoghese e, inoltre, Barroso è riuscito a governare le finanze pubbliche del suo paese facendo rientrare anche una procedura d'infrazione avviata dall'Ue per il deficit. In più Barroso, 48 anni, ha anche esperienza di negoziatore in situazioni difficili, avendo svolto un ruolo di primo piano nelle trattative di pace in Angola. E in effetti, non a caso, lo stesso portoghese ha detto di vedersi come un onesto mediatore, e un ''punto di equilibrio'' tra i fronti contrapposti. Un equilibrio e una mediazione di cui, è convinto, vi sarà gran bisogno: ''il rischio di polarizzazione - ha detto - sarà molto più grande in un'Europa a 25. Dobbiamo evitare una frammentazione tra stati fondatori e nuovi arrivati, tra il centro e la periferia, tra i ricchi e i poveri. La chiave è l'equità''. E ha voluto mostrare forza, con parole rivolte implicitamente ai ''grandi'' dell'Ue: ''non vi può essere un direttorio - ha affermato, alludendo alle accuse lanciate contro i frequenti incontri tra Tony Blair, Jacques Chirac e Gerhard Schroeder - di paesi che dicono quali sono gli stati che possono andare avanti, mentre gli altri sono lasciati in sala d'attesa'', aggiungendo a chiare lettere: ''non mi farò condizionare dalle pressioni'' degli stati. La strada non sarà comunque tutta in discesa per Barroso, che lo scorso 5 luglio ha rassegnato le dimissioni da capo di governo. Anzitutto le pressioni degli stati membri si stanno già facendo sentire per l'assegnazione delle direzioni generali (l'equivalente dei dicasteri in un governo nazionale) e c'è da giurarci che le cancellerie soprattutto dei grandi paesi faranno di tutto per ridurre le ambizioni di autonomia del capo designato dell'esecutivo Ue. Barroso dovrà inoltre affrontare il Parlamento Europeo, di cui è indispensabile la conferma perché il nuovo presidente della Commissione possa effettivamente entrare in carica. Vari gruppi politici hanno già mostrato forti perplessità, sia per il modo in cui è stato designato (senza tenere in alcun modo conto dell'Europarlamento e con i soliti negoziati a porte chiuse), sia per aperti dubbi sulle sue qualità e il suo europeismo. Apertamente contrari sono i Verdi europei e la Sinistra estrema, i quali hanno già dichiarato che voteranno contro Barroso. Scettici anche i Socialisti europei, che hanno annunciato per questa settimana un'attenta analisi del presidente designato nel corso delle varie audizioni che l'ex premier portoghese dovrà affrontare a Bruxelles. Anche i Liberali europei hanno avanzato dubbi analoghi, gli unici a mostrarsi entusiasti sono stati i Popolari europei, e non è strano visto che Barroso appartiene alla loro famiglia politica. In teoria, se
tutti i dubbiosi dovessero scegliere per il no, per il voto del 22
luglio a Strasburgo vi sarebbe quella maggioranza contraria al
portoghese apertamente auspicata dai Verdi. E così i leader dei
Venticinque dovrebbero rimettersi alla ricerca di un altro
presidente. Una prospettiva che però non appare molto realistica:
è infatti molto probabile, anche per altre considerazioni che
riguardano altri importanti negoziati in corso (anzitutto sul futuro
presidente dell'Europarlamento e sui presidenti delle Commissioni
parlamentari), che alla fine i socialisti voteranno per Barroso,
come verosimilmente anche i liberali.
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