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DUE DEMOCRAZIE A CONFRONTO
Un’intensa stagione: dall’ingresso dei nuovi 10 partners nell’Ue alle elezioni europee, alle vicende della nuova Commissione (compreso il caso Buttiglione), alla firma del trattato di Costituzione europea, alla riconferma di Bush

di Marcello Palumbo

La vittoria di George Bush alle elezioni del 2 novembre in America è certamente un fatto di grande rilievo per gli equilibri mondiali e di alto spessore per i suoi risvolti nella politica europea. Essa conclude un’ intensa stagione che ha occupato il corpo centrale dell’anno 2004, a partire dal primo maggio scorso, segnato dall’ingresso dei 10 nuovi aderenti all’Unione europea, proseguita con le elezioni del Parlamento europeo del 10/13 giugno, e poi con l’ approvazione del testo del Trattato di costituzione europea, il 18 giugno a Bruxelles, con la nomina, il 29 giugno, del presidente della Commissione dell’Ue nella persona dell’ex premier portoghese Joseph Manuel Durao Barroso, con l’elezione, il 20 luglio, del presidente del Parlamento europeo: lo spagnolo Joseph Borrell del PSE,  e quindi con la firma a Roma, il 29 ottobre, del Trattato costituzionale.

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Il fiume di notizie scaturito dalle emittenti americane ha prodotto l’effetto di un corso intensivo su quella democrazia, trasformando buona parte degli abitanti del pianeta in altrettanti emuli di Toqueville. Il primo confronto tra la democrazia d’oltre Oceano e la democrazia europea riguarda l’affluenza alle urne. Eravamo abituati a considerare l’astensionismo americano come un elemento stabile del sistema, e invece questa volta gli americani in lunghe file cosiddette indiane hanno affollato i seggi elettorali in una percentuale del 62% degli aventi diritto, battendo nettamente gli europei che nelle ultime votazioni per il loro Parlamento si sono attestati al 45,5% del corpo elettorale, la più bassa cifra registrata nelle sei elezioni susseguitesi dal 1979 in poi.

La massiccia partecipazione all’electoral day di questo fatidico 2004 rafforza notevolmente  la platea di consensi alla politica di Bush II, e finisce per attribuire una base di legittimazione alla sua politica volta ad opporre una strenua resistenza al terrorismo su scala internazionale nonché, in modo specifico, alla tanto discussa scelta dell’intervento preventivo in Iraq. Ora anche l’Onu, senza il cui consenso Bush aveva preso l’iniziativa dell’attacco al paese islamico, deve tener conto del benestare che egli ha ottenuto dal suo popolo, e della stessa considerazione debbono farsi carico quegli Stati europei, Francia e Germania in testa, che hanno espresso la loro contrarietà all’intervento preventivo statunitense in Iraq. Tutto ciò sia detto come osservatori neutrali, quasi marziani sul pianeta Terra, prescindendo da ogni personale giudizio di assenso o dissenso. Possiamo solo permetterci di osservare che se la guerra guerreggiata è sempre un’immane calamità, per altro ben nota alla storia europea dei secoli scorsi, il dopoguerra di terrore in Iraq costituisce la rappresentazione spettacolare no stop di una realtà conflittuale di fronte alla quale nessuno stato, e in particolare quello così tragicamente colpito l’11 settembre, può sottrarsi al compito di reagire con un piano strategico adeguato.

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Ma le elezioni americane arricchiscono il dibattito politico europeo anche di altre connotazioni che esulano dalla copertura del seggio alla Casa Bianca. Il responso delle urne, che ha  assicurato la maggioranza dei repubblicani sia alla Camera dei rappresentanti che al Senato, ha anche sancito l’emergere di alcune istanze tradizionaliste nel profilo legislativo, soprattutto in relazione all’istituto del matrimonio che rimane saldamente ancorato alla sua originaria formula della coppia uomo-donna negli 11 stati dove si è votata una legge in merito. Nell’Ohio è stato  inoltre approvato un emendamento federale costituzionale che vieta qualsiasi attribuzione di status legale ad altre parafrasi del matrimonio, compresa ovviamente quella fra omosessuali. L’America, contraddittoria come sempre, dalle radici puritane alla sperimentazione delle più sfrenate forme di libertà in ogni campo, ci manda a dire dunque qualcosa anche rispetto al caso Buttiglione. La bocciatura del candidato commissario italiano ricade sotto la regola del contrappasso della famigerata Inquisizione, col parlamentare inquirente nella parte di Torquemada. Le conseguenze del rigetto di quattro singoli commissari al vaglio delle rispettive Commissioni parlamentari sono state attenuate dall’escamotage di Barroso che si è sottratto alla prova dello stritolamento a cui sarebbe andata incontro la sua compagine qualora avesse affrontato il voto di Strasburgo. Ma le deduzioni che si sono tratte dall’episodio sembrano alquanto superficiali e azzardate. Il Parlamento europeo ha conquistato passo passo i suoi poteri che non sono tuttavia paragonabili a quelli di una Camera legislativa delle nazioni facenti parte dell’Unione europea. E lunga è la via che conduce alla sua assimilazione ai modelli originari. Ma è anche vero che il gioco dell’imitazione può sfociare in un eccesso di parlamentarismo piuttosto che in una corretta interpretazione della legittima funzione parlamentare di attribuzione della fiducia all’esecutivo e di controllo sui suoi atti. Tanto più che Strasburgo non ha di fronte a sé un vero e proprio governo. Magari lo avesse! Purtroppo la Commissione, che è l’istituzione più idonea a prenderne il posto, è tenuta in mora da quell’ufficio anche nella nuova carta costituzionale.

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Per quanto celato dall’ aplomb professionale, non ho potuto frenare un moto di emozione nell’assistere alla firma apposta sotto il voluminoso incartamento dai 25 capi di Stato o premiers e ministri degli esteri il 29 ottobre, nella stessa Sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio, dove 47 anni prima ebbi modo di assistere alla sottoscrizione del trattato della Cee e dell’Euratom che faceva compiere alla Comunità europea un decisivo salto di qualità dalla ristretta base del pool carbo-siderurgico ad una più ampia visione socio-economica. Quella volta i patriarchi dell’Europa, tra i quali primeggiava la solenne figura del cancelliere Konrad Adenauer, firmarono un documento vuoto poiché non vi era stato il tempo di tradurre i testi dei trattati nelle rispettive lingue dei partners. Ma l’episodio non fu privo di un certo valore emblematico poiché preludeva alla lunga gestazione in atto prima di dare il volto definitivo all’Istituzione che dovrà reggere in futuro i popoli del Vecchio Continente. Il discorso non è neppure oggi concluso, e nel cantiere Europa  le nuove generazioni troveranno intatto il loro posto di lavoro.

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