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Il presidente dell’Ordine Del Boca sollecita una decisione legislativa

 

Accedere al giornalismo tramite l'università

 

Ma gli editori continuano ad assumere quelli che vogliono loro
col risultato che perdono copie e poi si lamentano con il governo

 

Roma, 3 maggio - Al termine del dibattito promosso dall’AGE per la Giornata mondiale della Libertà di stampa, sul tema ”Informazione, potere dimezzato?”, Domenico M. Ardizzone ha intervistato Lorenzo Del Boca, chiedendogli anzitutto di illustrare il significato della sua proposta di riforma dell’Ordine dei giornalisti.

 

“Significa intervenire sull’accesso alla professione in modo tale da assicurare che il sapere necessario al giornalista gli possa essere comunicato all’università e lì possa essere acquisito. In fondo, si tratta di fare nel giornalismo quello che gli avvocati fanno a giurisprudenza e quello che gli ingegneri fanno al politecnico. In modo tale che quando uno entra nelle redazioni abbia già un suo back-ground culturale che lo metta nelle condizioni di padroneggiare le notizie significative che gli arrivano. Obiettivamente io vedo che è difficile per un giornalista raccontare la crisi della Parmalat o della Fiat senza avere delle adeguate e specifiche conoscenze di economia, così come è difficile raccontare i problemi dell’Iraq senza avere specifiche conoscenze del mondo arabo; ma per la verità è anche difficile parlare di sport se non si conosce la storia delle società sportive. E mentre prima il giornalista imparava strada facendo, adesso questo tempo non ce l’ha più, soprattutto non ha più maestri in redazione, e deve quindi crearsi le basi in altro luogo appropriato che io credo di avere individuato nell’università”.

- In effetti una volta si diceva che il giornalismo era la conoscenza di un po’ di tutto e di tutto un po’…

“Si, ma perché probabilmente bastava. tenendo conto che si proponeva un giornale, un radiogiornale o un Tg per una popolazione che per il 50 per cento era analfabeta. Adesso, al contrario, corriamo il rischio che la media dei giornalisti sia mediamente meno preparata della media dei lettori o di quelli che ci ascoltano che sono nelle condizioni di evidenziare i difetti gravissimi nei nostri articoli, a volte anche errori madornali. Il più grave che mi viene in mente è che abbiamo parlato per anni del ”giudice” Di Pietro che era soltanto un pubblico ministero, il che è rilevante perché il giudice è un terzo mentre il pubblico ministero è una parte”.

- E dire che si tratta di una anomalia italiana perché negli altri paesi non si fa confusione tra giudici e pubblici ministeri. Anche nell’ultima campagna per l’elezione del sindaco di Venezia molti media definivano uno dei candidati giudice, invece che procuratore.

“Ma anomalia per anomalia, se io da italiano mi rivolgo agli italiani devo scriverlo almeno giusto, in modo tale da non trovarmi nelle condizioni di essere ripreso: da uno scienziato se scrivo articoli scientifici, da un magistrato o da un avvocato se scrivo articoli da tribunale, addirittura da un calciatore se scrivo articoli di sport. Deve crescere la consapevolezza che questo non è un mestiere qualunque e che per farlo si deve essere preparati e che per prepararsi bisogna leggere dei libri e non aver vergogna di dire di averli letti”.

- Anche perché il pubblico ormai è cresciuto e quindi vuole che a parlare sia qualcuno che sia uno specialista.

“E’ un pubblico ormai sofisticato, è gente che conosce una molteplicità di problemi e sul problema che conosce misura la credibilità di tutto il resto. Se un avvocato o un magistrato vedono degli errori, delle imperfezioni, o a volte delle scemenze gigantesche in un articolo che riguarda la loro professione, sono portati a non credere più quando si parlerà di racket, di politica interna, dei risultati di calcio e viceversa ognuno per le sue possibilità”.

- Saranno tempi lunghi quelli della riforma per l’accesso alla professione giornalistica?

“Ma intanto io mi comporto come se la riforma fosse fatta, nel senso che ormai i colleghi che vengono a dare gli esami sono per l’80 per cento di provenienza universitaria. Quello che manca è una decisione legislativa che consenta di definire come unico ed esclusivo accesso della professione quello universitario. E qui però non dipende da me, dipende dal Parlamento e, per la verità, dipende anche un po’ dagli editori i quali continuano  a sostenere che forse è meglio assumere quelli che vogliono loro, col risultato che assumono analfabeti che gli fanno perdere le copie, e poi si lamentano con il governo.

 

 

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