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C'è ancora molto da lavorare nel cantiere Europa

di Marcello Palumbo

 

Riportiamo una sintesi della relazione di Marcello Palumbo al convegno su “L’allargamento dell’Europa. Integrazione politica, economica, culturale”, che si svolto il 9 maggio 2005 presso la Scuola statale “Giacomo Leopardi” a Torre del Greco.

Nel suo intervento il giornalista Marcello Palumbo, in rappresentanza della Associazione Giornalisti Europei, ha ricordato il suo incontro con Robert Schuman avvenuto a Parigi il 20 novembre 1948 in quello stesso Quai d’Orsay dal quale  il Ministro degli Esteri francese lanciò l’appello per l’Unione Europea il 9 maggio 1950, giorno consacrato poi alla festa dell’Europa. L’emozionante memoria coinvolge anche la figura dell’altro grande  padre fondatore dell’Unione Europea Alcide De Gaspari, al seguito del quale Palumbo si trovava con altri quattro giornalisti, ammessi alla presenza dei due statisti al termine del loro colloquio.

Palumbo rievoca l’atmosfera di grande immaginazione politica e di grande voglia di costruire che ispirava gli uomini politici dell’epoca, i quali si facevano promotori di diversi tipi di formazioni unitarie, che allora venivano presentate col modesto nome di Pool: dopo la Comunità  del Carbone e dell’Acciaio quella della Difesa, dell’Agricoltura, dei Trasporti e così via, finché non si arrivò, nel 1957 alla Comunità Economica tutta intera. Nei successivi cinquant’anni l’Unione Europea ha assunto diversi formati. Dopo quello Small del 1951 si è passati al Medium nel 1973, al Large nel 1981, 1986 e 1995, fino ad arrivare all’Extra Large nel 2004 con l’adesione degli ultimi 10 Paesi che ha portato l’ Unione al numero di 25. Ma altri 17 Stati, e forse altri ancora, chiedono di aderire: dall’Europa danubiana all’area centro-asiatica e caucasica dell’ex U.R.S.S., ai Balcani, al Medio Oriente, fino alla sponda mediterranea del continente africano.  

Quanto tempo ci vorrà ancora dopo i primi 50 anni – si è chiesto Palumbo – per dare all’Unione un carattere di soggetto politico a pieno titolo, come quelli operanti nell’arengo internazionale? 

Tutti i processi di accorpamento di territori che hanno dato vita agli stati nazionali o alle federazioni sono avvenuti in tempi ragionevoli, ragguagliabili a una generazione, o anche meno.

L’Italia ha impiegato 13 anni, dal 1848 al 1861, per costituirsi in unità nazionale.

La Germania ne ha impiegato 37, dalla creazione dello Zollverein tra 39 Stati tedeschi nel 1834, alla proclamazione del Reich bismarkiano nel 1871, dopo la vittoria della Prussia sulla Francia.

La formazione dei due grandi imperi moderni, Russia e Stati Uniti d’America, occupa pochi decenni del secolo XVIII. Intercorrono infatti solo 18 anni dalla fondazione di San Pietroburgo, nel 1716, alla proclamazione di Pietro I il grande a Zar di tutte le Russie, nel 1734; e appena 11 anni dalla Dichiarazione di Indipendenza delle 13 colonie americane, nel 1776, all’approvazione della Costituzione degli Stati Uniti d’America nel 1787.

Anche gli USA hanno impiegato molti anni, per l’esattezza 163, per passare dal nucleo delle 13 colonie che si erano rese indipendenti ai 50 stati attuali, gli ultimi, l’Alaska e le Hawai, approdati  nel 1950. Ma la differenza col processo europeo consiste nel fatto che gli Stati americani si erano dati una costituzione fin dal principio, il 17 settembre 1787. A quel testo di base, formato da appena 6 articoli, si sono poi aggiunti 26 emendamenti, scremati dai 10.000 proposti lungo un corso di anni ultrasecolare.

L’Unione Europea non ha ancora uno status giuridico definitivo – ha evidenziato Palumbo - nonostante il salto di qualità operato dall’ultimo Trattato di costituzione sottoscritto il 29 ottobre scorso a Roma. Per ora la normativa unitaria riguarda la libera circolazione degli uomini, delle merci, dei servizi e dei capitali, non senza alcune difficoltà residue, e solo alcune politiche comuni  come l’agricoltura e il commercio estero, mentre l’unità monetaria è riservata a 12 paesi su 25, e in alcuni settori vitali come la politica estera, la difesa, e la politica fiscale, nonostante le aspirazioni verso l’unità proclamate nei trattati di Maasctrich,  di Amsterdam e di Roma,  prevalgono ancora le sovranità nazionali.

Jean Monnet e Rober Schuman avevano previsto tempi lunghi. Da parte italiana invece si suggeriva un’andatura più rapida. Altiero Spinelli affermava che l’unione europea avrebbe dovuto essere realizzata dalla stessa generazione che aveva partecipato alla II guerra mondiale. Luigi Einaudi consigliava di non lasciar passare “l’attimo fuggente”. A sua volta De Gasperi, di fronte al trattato per la Comunità Europea di Difesa, che conteneva un nucleo essenziale di unità politica, suggeriva: “questa è l’occasione che passa e non torna più; bisognerà afferrarla e inserirla nella logica della storia”.

Le cose sono andate diversamente.  Il cantiere Europa rimane ancora aperto. C’è lavoro per tutti.


 
 

 

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