Cari messinesi, miei carissimi europei,
Signore e signori,
è un onore per me essere stato invitato oggi a parlare dinanzi a
questa assemblea. L’occasione mi era già stata offerta dieci anni
fa, quando, in veste di ministro degli affari esteri portoghese,
avevo presenziato alle celebrazioni per il 40° anniversario della
conferenza di Messina. Ma stavolta sono qui in circostanze alquanto
particolari.
I francesi hanno respinto un grande trattato europeo con un
clamoroso “no”. Le prime pagine dei giornali hanno dichiarato che
l’Europa è “in crisi”. I politici hanno richiamato alla calma. È
esattamente ciò che accadeva nel 1955, alla vigilia della conferenza
di Messina.
“La storia non si ripete mai”, diceva Mark Twain, “ma spesso compone
rime”. Ebbene, per il cinquantesimo anniversario di questa
conferenza la storia ha dimostrato di poter comporre rime degne di
Dante Alighieri. Ancora una volta, parte della stampa parla di
“catastrofe per l’Europa”. La Francia, stavolta insieme ai Paesi
Bassi, ha detto “no” alla Costituzione europea.
Come reagire al “non” dei francesi e al “nee” degli olandesi? Quali
lezioni possiamo trarre, in questo momento così difficile, dalla
conferenza di Messina di cui oggi celebriamo l’anniversario?
Innanzitutto, devo confessarvi che la mia prima reazione al rifiuto
della Costituzione da parte di due membri fondatori dell’Unione
europea è stata una reazione di tristezza. Un voto negativo è segno
di un’inquietante mancanza di fiducia da parte dei cittadini europei
e fa pensare che una parte dell’opinione pubblica abbia paura del
futuro, opponga resistenza al cambiamento e non creda più che
l’Unione possa offrire soluzioni alle sfide comuni alle quali siamo
confrontati.
Certo, dobbiamo considerare come un segnale positivo il fatto che le
preoccupazioni dei cittadini siano state espresse attraverso un voto
democratico, al termine di un dibattito molto vivace. Ciò è di per
sé positivo, e noi dobbiamo rispettare l’espressione della volontà
dei cittadini. Ma nel dibattito si sono spesso intrecciate questioni
di politica interna, e occorre riconoscerlo che gli argomenti
discussi nel corso di entrambe le campagne referendarie spesso hanno
avuto poco a che fare con la Costituzione europea. A parte le
considerazioni puramente nazionali, la verità è che la Costituzione
è diventata il capro espiatorio delle paure dei cittadini: paura di
perdere il modello sociale, paura delle “delocalizzazioni”, paura
che l’Europa proceda troppo velocemente e si estenda eccessivamente,
paura dell’Euro e paura della globalizzazione.
Ma il voto non riguardava questi aspetti. Il voto non riguardava gli
allargamenti passati o futuri, non riguardava il mercato unico e le
sue quattro libertà – libera circolazione delle merci, dei servizi,
delle persone e dei capitali – che risalgono proprio al trattato
scaturito dalla conferenza di Messina di cinquant’anni fa. Troppo
spesso nel corso della campagna per il referendum ciò non è stato
detto chiaramente. Ciò che invece è risultato molto chiaro è che
durante una campagna referendaria è difficile evitare interferenze
con temi non direttamente collegati alla consultazione.
Esaminiamo insieme le principali questioni in gioco durante la
campagna referendaria.
Parte dell’opinione pubblica è preoccupata per l’erosione del
modello sociale europeo. Tuttavia il progetto di Costituzione tutela
tale modello. Un’esplicita “clausola sociale” (articolo III-117)
impone all'Unione di tener conto, nella definizione delle sue
politiche, di aspetti sociali quali la promozione di un livello di
occupazione elevato, la garanzia di una protezione sociale adeguata
e la lotta contro l’esclusione sociale. Vogliamo davvero rinunciare
a questi principi?
Molti dicono di essere preoccupati per l’assenza di democrazia nelle
istituzioni europee. Tuttavia il progetto di Costituzione
contribuisce ampiamente a ridurre il deficit democratico. Esso
infatti attribuisce al Parlamento europeo un ruolo molto più
importante nel processo decisionale, conferendogli il potere di
modificare e approvare la quasi totalità dei nuovi atti legislativi.
Anche il Consiglio, nella sua veste di legislatore, aprirà le sue
porte al pubblico, permettendo così ai cittadini e ai parlamenti
nazionali di conoscere meglio le posizioni dei governi. La
democrazia partecipativa acquista in realtà uno status
costituzionale, in quanto un intero titolo della Costituzione
(titolo VI) è dedicato alla «vita democratica dell’Unione». Vogliamo
davvero rinunciare a questi principi?
Altri temono che l'Europa sia un progetto elitario, imposto ai
cittadini a dispetto delle loro convinzioni. E tuttavia il progetto
di Costituzione avvicina l’Europa sia ai cittadini che ai parlamenti
nazionali, in quanto attribuisce ai primi il diritto di invitare la
Commissione a presentare proposte su materie in merito alle quali è
opportuno un intervento normativo, purché sia raccolto almeno un
milione di firme in un numero significativo di Stati membri, e
conferisce ai secondi nuove importanti competenze per dare
attuazione alla sussidiarietà. I parlamenti nazionali saranno
informati di tutte le nuove proposte legislative della Commissione e
potranno esercitare il potere di rinvio e chiedere un riesame del
testo. Vogliamo davvero rinunciare a questi principi?
Altri ancora sono preoccupati per la globalizzazione e per le
eventuali minacce al ruolo dell’Europa. E tuttavia il progetto di
Costituzione rafforza l’influenza dell’Unione europea nel mondo, la
visibilità, la coerenza e l’efficacia delle sue azioni. Vogliamo
davvero rinunciare a questi principi?
In generale i cittadini temono che l’Europa sia troppo distante e
troppo complessa, con le sue procedure talvolta “bizantine” che
sconcertano perfino gli esperti. E tuttavia il progetto di
Costituzione rappresenta un esercizio di semplificazione notevole,
che consolida in un testo leggibile un coacervo di trattati in cui è
difficile districarsi e le cui disposizioni spesso si sovrappongono.
Sei tipi di strumenti giuridici sostituiscono i 36 diversi tipi
attualmente previsti. Vogliamo davvero rinunciare a questo sforzo di
semplificazione?
Nel corso delle discussioni, quanto spazio è stato dedicato a questi
aspetti del progetto di Costituzione? Come abbiamo affermato nella
dichiarazione congiunta che il presidente del Parlamento europeo, il
presidente del Consiglio ed io abbiamo formulato domenica scorsa
dopo il referendum francese:
“i responsabili politici nazionali ed europei devono impegnarsi più
a fondo per spiegare la vera dimensione delle sfide e il tipo di
soluzioni che soltanto l’Europa può offrire. (…) Dobbiamo chiederci
in che modo ciascuno di noi – governi nazionali, istituzioni
europee, partiti politici, parti sociali, società civile – può
contribuire a una migliore comprensione di questo progetto, che non
può avere una propria legittimità se non si ascoltano i cittadini”.
Cosa faremo ora? Dobbiamo rinunciare all’Europa proprio a distanza
di cinquant’anni da quando i coraggiosi visionari di Messina la
avviarono verso una nuova politica di stabilità e di prosperità? O
piuttosto dobbiamo lottare per trovare un nuovo consenso politico e
sfruttare questo momento difficile come un mezzo per rilanciare
l’Europa ?
Occorre innanzitutto sottolineare chiaramente che le ratifiche
competono in primo luogo agli Stati membri. Ad essi spetta decidere
quando e come ratificare e se desiderano mantenere l’impegno preso o
modificare la loro posizione. Tuttavia, ciò che oggi mi sembra
importante è che gli Stati membri reagiscano insieme, evitando
azioni unilaterali e dispersive. È per questa ragione che ho chiesto
loro di attendere il Consiglio europeo del 16 e 17 giugno per
decidere la loro posizione. È importante che il Consiglio ne discuta
e invii un messaggio chiaro a tutti gli europei. Sono convinto che
un messaggio consensuale sia possibile ed auspicabile. Se è vero che
dovremo esaminare le implicazioni del no francese e olandese in
tempo utile, è altrettanto vero che in nome della Costituzione e
della democrazia dobbiamo consentire a ciascuno Stato membro di
esprimere la propria opinione. Tutti gli Stati membri hanno gli
stessi diritti e tutti devono avere la possibilità di definire la
loro posizione. Non bisogna dimenticare che dieci Stati membri, che
rappresentano la metà dei cittadini europei, hanno già detto “sì”
alla Costituzione, e tra questi anche l’Italia. Con la ratifica
della Costituzione, il Parlamento italiano - ossia il parlamento di
un paese fondatore - ha inviato un segnale forte all’Europa.
L’Italia deve continuare a svolgere il suo ruolo tradizionale a
favore del processo di integrazione.
Allo stesso tempo, sono perplesso circa la possibilità di riaprire i
negoziati in vista di una revisione della Costituzione, daI momento
che il testo rappresenta un compromesso molto delicato frutto di
un’elaborazione durata vari anni. È difficile immaginare che possa
essere approvato un nuovo compromesso sensibilmente diverso da
quello attuale. E se si cerca di tenere conto delle paure di coloro
che hanno votato “no”, quale “no” bisogna scegliere? Gli elettori
olandesi e francesi che hanno votato “no” sono stati animati da
motivazioni molto differenti. Dobbiamo riconoscere che il “no”
espresso in questi due paesi rappresenta chiaramente un’opposizione
alla proposta che è stata loro presentata, ma non si traduce in
alcun modo in un sostegno ad un progetto alternativo.
È proprio in un momento come quello attuale che possiamo trarre una
lezione dagli avvenimenti che portarono alla conferenza di Messina.
Si dimentica troppo facilmente che quando, nel 1954, l’Assemblea
nazionale francese votò contro la Comunità europea di difesa, lo
choc dei leader europei dell’epoca era paragonabile a quello che
proviamo oggi dinanzi al “no” francese e olandese.
Eppure essi non rinunciarono ai loro ideali europei. Anzi, al
contrario, era diffusa la convinzione che fosse necessaria una
reazione forte e rapida. Paul-Henri Spaak, divenuto ministro degli
esteri belga, propose quindi di convocare una conferenza per
preparare un piano di rilancio. L’iniziativa fu accolta molto
favorevolmente da Johan Willem Beyen, ministro degli esteri
olandese, che desiderava spingersi ancora oltre, verso una
“integrazione economica generale”. Su proposta del ministro italiano
Gaetano Martino la conferenza ebbe luogo a Messina e portò, come
tutti sappiamo, alla nascita della Comunità economica europea e
della Comunità europea dell’energia atomica.
Nel 1954, una crisi ha portato al rilancio e al rafforzamento
dell’Europa. Invece di imporre una brusca battuta di arresto, i
leader europei raddoppiarono i loro sforzi per trovare una soluzione
che rispondesse alle preoccupazioni dei loro concittadini, ossia la
pace e la prosperità. È curioso constatare oggi che, dinanzi alla
crisi istituzionale dell’epoca, la via scelta fu quella di cercare
una risposta tramite l’integrazione economica.
Ora dobbiamo evitare di rifugiarci nella paralisi. Dobbiamo
dimostrare ai nostri concittadini, talvolta un po’ scettici, che ora
più che mai l’Unione europea può fornire una risposta efficace alle
loro preoccupazioni. Certamente i risultati dei referendum di questa
settimana rappresentano un insuccesso, ma l’Europa è più che mai
attiva e la sua azione prosegue anche al di là del dibattito sulla
Costituzione.
La Commissione continua e continuerà a prendere importanti decisioni
che portano benefici concreti a tutti i cittadini europei. Abbiamo
un programma da realizzare, un programma sostenuto all’unanimità dal
Consiglio europeo e dal Parlamento europeo, un partenariato che
risponde concretamente alle preoccupazioni dei cittadini, in quanto
si concentra sulla prosperità, sulla solidarietà e sulla sicurezza.
Tutte le istituzioni europee devono essere solidalmente unite nella
loro aspirazione a compiere ulteriori progressi, a realizzare tale
partenariato e a risolvere in tal modo i problemi che preoccupano i
cittadini. La nostra azione è diretta a creare nuovi e migliori
posti di lavoro, a favorire la crescita economica, lo sviluppo
sostenibile, a mantenere e modernizzare il modello sociale europeo e
a garantire maggiore sicurezza ai cittadini. In questo modo
restituiremo loro fiducia nell’Europa e nelle sue istituzioni.
Il primo grande test sarà probabilmente il raggiungimento di un
accordo sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013.
L’Unione europea ha bisogno di un nuovo quadro di bilancio per
finanziare le politiche e le attività dell’Unione, e non vi è alcuna
ragione per rinviare il negoziato. Semmai, al contrario, tutto ci
spinge a dimostrare che l’Europa può agire con determinazione. La
Commissione farà tutto quanto è in suo potere per giungere ad un
risultato che rifletta la nostra volontà di dar vita ad un’Europa
più competitiva e più solidale.
***
Signore, Signori,
i sei ministri degli affari esteri riuniti a Messina cinquant’anni
fa sapevano benissimo che la costruzione dell’Europa è un processo
complesso, esposto a crisi occasionali. Tuttavia, dando prova di
un’effettiva leadership, essi seppero trasformare la crisi in
opportunità, permettendo all’Europa di uscirne rafforzata e migliore
di prima, pronta a raccogliere le nuove sfide e ad assumere le sue
responsabilità.
Il destino della Costituzione è ormai nelle mani degli Stati membri.
Spetta a loro pronunciarsi. Poco più di sei mesi fa, a Roma, i 25
governi degli Stati membri hanno firmato il trattato costituzionale.
È ora fondamentale che i 25 analizzino insieme la situazione e
trovino un accordo sulla via da seguire. Ancora una volta, è venuto
il momento di dar prova dello “spirito di Messina”, ossia di non
indietreggiare davanti alle difficoltà, di non abbandonare i valori
e i principi che sono al centro del nostro progetto.
È fondamentale sfruttare il momento attuale per dare forma ad un
nuovo consenso politico. Il compito della Commissione – così come io
lo concepisco - è di favorire tale consenso e scongiurare uno
scontro tra due diversi modelli o percezioni dell’Europa. Senza un
nuovo consenso, indispensabile in questo momento, il compromesso e
le soluzioni saranno più difficili.
Ma, nella ricerca del consenso, occorre evitare due pericolose
trappole.
La prima trappola consiste nel barricarsi dietro a steccati
ideologici. Scavare divisioni attorno a due monoteismi politici - il
monoteismo del mercato e il monoteismo dello Stato - non giova
all’Europa. Nessuno dei due può risolvere tutti i problemi e
qualsiasi tentativo diretto ad imporre uno dei due in Europa è
destinato al fallimento. Ciò di cui abbiamo bisogno ora è una
sintesi intelligente tra il mercato e lo Stato che possa aiutare
l’Europa a vincere, e non a perdere, dinanzi alla globalizzazione.
La seconda trappola è la tentazione di giocare allo “scaricabarile”,
di lanciarsi in accuse inutili e pericolose e, in particolare, di
trasformare le istituzioni europee con la scusa delle difficoltà
esistenti sia a livello nazionale sia di fronte alle sfide globali.
Certo, le istituzioni europee non sono perfette. Chi potrebbe
pretendere di essere perfetto ? D’altronde è proprio perché ha
riconosciuto l’esistenza di alcuni problemi che la Commissione da me
presieduta, sin dalla sua entrata in carica sei mesi fa, ha deciso
di predisporre alcune iniziative per sviluppare una comunicazione
più efficace e per migliorare la qualità della legislazione
(iniziativa “better regulation”). Riconosciamo infatti che è
possibile compiere ulteriori passi in avanti nel rapporto di
fiducia, trasparenza e responsabilità tra i cittadini e le
istituzioni europee, e che le istituzioni possono impegnarsi più a
fondo per assicurare il rispetto del principio di sussidiarietà e
per semplificare le loro decisioni, soprattutto nei rapporti con i
cittadini e con le imprese. Ma la tentazione di imputare a
“Bruxelles” le decisioni impopolari ha già provocato in passato e
continua a provocare un enorme pregiudizio. È ciò che succede quando
si descrivono le riunioni a Bruxelles come battaglie in cui ogni
giorno si contano vincitori e vinti, invece di presentarle come
occasioni per discutere, trovare consensi e compromessi per
risolvere problemi difficili ma comuni.
Se si attacca “Bruxelles” sei giorni a settimana, dal lunedì al
sabato, come si può poi sperare in un totale cambiamento di rotta il
giorno dopo e aspettarsi che i cittadini sostengano l’Europa la
domenica ?
Se i capi di Stato e di governo attuali dimostreranno lo stesso
senso di responsabilità che i leader politici dell’epoca
dimostrarono cinquant’anni fa a Messina ed eviteranno queste due
trappole, allora io credo che il futuro possa essere promettente e
che l’attuale crisi possa trasformarsi in un’opportunità. Perciò
proprio qui a Messina vorrei lanciare un appello a riunirci attorno
ai valori europei, alla civiltà e all’anima dell’Europa, a sforzarci
di cercare un sostegno che ci permetterà di ritrovare un consenso
dinamico per un’Europa capace di adeguarsi alle nuove sfide della
globalizzazione. Può darsi allora che, quando i leader europei di
domani si ritroveranno qui per celebrare il centenario della
conferenza di Messina, si ricorderanno che anche nel 2005 si è
verificata una crisi poi trasformata in un’opportunità, e che
l’Europa ne è uscita rafforzata e migliore di prima.
Grazie.
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