Ankara, 12 ottobre 2007 - Il governo turco andrà avanti con il piano
di lotta contro i separatisti curdi in Iraq, incurante della
disapprovazione della comunità internazionale. Mentre alla frontiera
turco-irachena continuano a raccogliersi soldati di Ankara, il
premier Recep Tayyp Erdogan, sfida le critiche e conferma che la
settimana prossima il governo cercherà di far passare una
risoluzione in parlamento per autorizzare un intervento militare nel
nord dell'Iraq dove secondo Ankara sono rifugiati 3000 combattenti
del Pkk.
Ma gli accordi conclusi a fine settembre con l'Iraq, non permettono
ad Ankara di inseguire i curdi nel Paese vicino. Erdogan si dice
pronto a affrontare le conseguenze di una decisione del genere.
“Quando si sceglie una strada, il prezzo è stato già calcolato. E
qualunque sia sarà pagato”, ha affermato. “Ci deve essere una
discussione e la decisione sarà presa nell'interesse della Turchia.
Non ha nulla a che vedere con l'unità dell'Iraq”.
L'iniziativa non piace agli Stati Uniti, con cui le relazioni sono
già tese: in diverse città della Turchia si sono svolte
manifestazioni di protesta contro l'approvazione, da parte della
commissione esteri del Congresso americano, della risoluzione sul
genocidio degli armeni sotto l'impero ottomano. Ankara ha richiamato
il proprio ambasciatore a Washington, ufficialmente per
consultazioni.
PKK: Torniamo in Turchia e rompiamo la tregua
I ribelli del
Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, sono intenzionati a
lasciare il nord dell'Iraq per tornare in Turchia dove "prenderanno
di mira il partito di governo Ak e il principale partito di
opposizione Chp". In una nota si afferma che "Il Pkk interrompe la
tregua unilaterale che doveva aprire un dialogo per risolvere la
questione curda in Turchia". L'annuncio giunge mentre Ankara
ipotizza un intervento contro le basi Pkk nel nord dell'Iraq.
Il premier Erdogan dice di non temere reazioni internazionali.
Il Pkk è considerato un'organizzazione terroristica da Turchia,
Stati Uniti e Unione europea .
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