Lussemburgo, 23 ottobre 2007 - E' passata la linea della Commissione
europea, che il 4 marzo 2005 aveva portato la Germania davanti alla
Corte di Giustizia europea. L'anomala “golden share” che in Germania
protegge la Volkswagen da tentativi di scalata, riservando allo
Stato federale ed al land di Bassa Sassonia due rappresentanti
ciascuno nel Consiglio di sorveglianza dell'azienda e limitando al
20 per cento il massimo dei diritti di voto (a prescindere dalla
quota azionaria detenuta, con la minoranza di blocco al 20 per
cento), è contraria alla libera circolazione dei capitali.
Per la Corte di Giustizia europea la cosiddetta “legge Volkswagen”
può essere modificata solo dal legislatore tedesco ma le
disposizioni in essa previste rappresentano una restrizione alla
libera circolazione dei capitali. Questo perché limitano la
possibilità degli azionisti di partecipare alla società con
l'obiettivo di creare o mantenere legami durevoli e diretti con
quest'ultima, che consentano una partecipazione effettiva alla sua
gestione ed al suo controllo.
La Corte di Lussemburgo fa d'altra parte notare che, grazie a queste
disposizioni, lo Stato federale ed il Land della Bassa Sassonia
esercitano, con un investimento inferiore rispetto a quanto previsto
dal diritto comune, un'influenza sostanziale nella società
Volkswagen. Insomma, hanno l'ultima parola sull'azienda senza dover
pagare quanto sarebbe chiesto a capitali privati.
Queste restrizioni alla libera circolazione dei capitali, ha
sentenziato la Corte di Lussemburgo, non sono giustificate da
interessi legittimi. Se così fosse, sarebbero autorizzate a livello
comunitario. Ma non si vede, allo stato dei fatti, perché queste
disposizioni siano necessarie al perseguimento dell'obiettivo della
tutela dei lavoratori, alla tutela degli azionisti di minoranza o
alla difesa dei posti di lavoro generati dall'attività della
Volkswagen.
|