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Verso un’Europa a due velocità?


di Carmelo Occhino


Un Vertice complesso e con molta carne al fuoco quello che si è svolto a Bruxelles qualche giorno fa e che si è concluso nelle ore mattutine, dopo ore di discussioni e dopo una nottata trascorsa a convincere, mediare, scrivere, cancellare e riscrivere. Stiamo parlando del Consiglio europeo, che è quell’incontro dei capi di Stato o di governo convocato, a conclusione di ogni semestre di “gestione” dell’Unione europea, non solo per fare il punto ma anche per decidere la strada da percorrere e le mete da raggiungere.

Dal 1° gennaio al 30 giugno la guida dell’ Ue è stata della Germania, ora tocca al Portagallo. E’ naturale che ogni paese a cui è affidata la presidenza di turno s’impegni al massimo per far fare passi avanti all’ istituzione chiamata “Unione europea”. Una realtà che – unica al mondo -  è riuscita ad aggregare e unire, senza bisogno di guerre o forzature, paesi di struttura istituzionale, organizzazione sociale e consistenza economica diverse. E la Germania si è impegnata al massimo per indicare nuove mete e per far mettere nero su bianco anche ai paesi più “difficili”,  i cui rappresentanti del momento danno poco mentre cercano di portare a casa benefici sempre maggiori, anche per farli valere e pesare innanzi al proprio elettorato.

Un esempio per tutti: la Polonia dei gemelli Kaczynski ha chiesto addirittura che il suo peso specifico, cioè il valore numerico a cui ci si rifà quando bisogna prendere decisioni o avere contributi, venga aumentato tenendo conto dei polacchi che oggi non ci sono più (poco meno di 6 milioni), in quanto morti nella seconda guerra mondiale causata dal nazismo. Come si vede, qualsiasi marchingegno matematico è buono per guadagnare peso e… portare soldi a casa. 

E’ chiaro che l’Unione europea, che ha compiuto cinquant’anni la scorsa primavera, non stia vivendo un buon  momento e che il processo di integrazione non si stia  sviluppando come dovrebbe (basta pensare alla bocciatura della Costituzione europea in Francia e in Olanda). Di queste difficoltà sono consci tutti i ventisette paesi membri, anche se ognuno esterna interpretazioni di facciata. Il Vertice di chiusura del semestre tedesco doveva, quindi, imprimere una marcia in più, ma ha potuto dare soltanto una boccata d’ossigeno.

Alcuni risultati si sono però avuti. E’ stato accantonato un ostacolo “ingombrante”  quale quello della Costituzione europea ed ora si parla di un nuovo Trattato, più agile, meno pesante e articolato con più chiarezza. Sarà eliminato il criterio della presidenza semestrale a turno, dando posto ad un presidente che guiderà l’ Ue almeno per due anni e mezzo (non si faceva in tempo a concretizzare qualcosa che bisognava subito passare la mano). Però, stenta ancora a decollare la figura di un ministro degli esteri europeo: alcuni dei paesi membri non vogliono che l’Europa abbia una voce unica, decisi a non cedere le loro prerogative in politica internazionale.

Come si vede, lo spirito originario che portò alla costituzione dell’odierna Unione europea rischia di essere travolto. Si sente il bisogno di un “colpo di reni” che faccia imboccare il binario giusto. Potrebbero percorrerlo due treni a diversa velocità: uno avrà i vagoni dei paesi che all’Europa credono e che per l’Europa si spendono; l’altro tirerà i vagoni dei paesi della non-solidarietà, quelli che prendono e non danno o tutto vogliono. Potrebbe essere questa la strada migliore da percorrere.

 (29 giugno 2007)

 

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