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La storia guardata in faccia
 
L'addio ad Enrico Serra

di Marcello Palumbo

Enrico Serra

Enrico Serra ci ha lasciati nel rimpianto, giovedì scorso, 4 ottobre. Il 26 settembre aveva compiuto 93 anni, durante la maggior parte dei quali ha vissuto intensamente la storia, quella nazionale intrecciata a quella europea e mondiale, e l’ha raccontata da giornalista di razza oltre che, in maniera più organica, da saggista e cattedratico universitario.
Alla nostra associazione ha dedicato un’attenzione tutta particolare, sostenuta da un europeismo di alto livello, concentrato nel pensiero e nell’azione, assumendo anche ruoli direttivi quale presidente internazionale dell’AJE negli anni Sessanta e successivamente Segretario generale della Sezione italiana. A lui si deve inoltre la cura del nostro periodico “Europa dell’Opinione”, che per diversi anni ha rappresentato una apprezzata voce di stimolo e di critica positiva nel processo di unione del Vecchio Continente.   

Laureato in giurisprudenza nella natia Modena, Enrico Serra viene avviato agli studi storici da due insigni maestri: Federico Chabod e Luigi Salvatorelli. Ma lui, la storia, la vuole guardare in faccia, e inizia la sua esperienza, per così dire, dalla gavetta: ufficiale carrista nella guerra d’Africa nel 1936, poi in quella mondiale sul fronte libico e nelle file della Resistenza a Milano. Il suo fonte battesimale di cronista è la “Gazzetta dell’Emilia” degli anni Trenta la cui redazione, come egli stesso ha ricordato nel volume autobiografico “Tempi duri”, si raccoglieva “verso le 11 del mattino in un solo stanzone, intorno a un grande tavolo che aveva in mezzo l’unico telefono. Si scriveva a mano; niente dattilografia”. Tempi duri, ma anche eroici e quasi preistorici rispetto ai mezzi di comunicazione odierni e alle scorribande satellitari e via Internet.

Nel primo dopoguerra si trova già impegnato in quella redazione di grandi firme della politica estera che sforna il settimanale “Relazioni Internazionali”, un raro esempio, non più imitato in Italia, e forse nemmeno in altri Paesi che pure vantano alte traduzioni tra gli osservatori sui fatti del mondo. Mantenendo la collaborazione a questo singolare strumento di informazione di cui continuiamo a sentire la mancanza,  viene incaricato di aprire le redazioni di corrispondenza dell’Ansa  prima a Londra e poi a Parigi, due capitali nelle quali egli matura la conoscenza dello scacchiere internazionale che gli servirà quando, dopo aver conseguito la cattedra in relazioni internazionali all’Università di Bologna, da cui si accomiaterà come professore emerito, viene chiamato a Roma a dirigere l’ufficio storico e di documentazione del ministero degli Affari Esteri. Da questa poltrona di prima fila sulla scena del mondo, a fianco dei ministri della Farnesina che si sono succeduti nel ventennio 1972-1992, da Medici ad Andreotti, passando per Nenni, Moro, Rumor, Forlani, Malfatti, Colombo, elabora una fitta collana di testi diplomatici, organizza archivi ministeriali e di rappresentanze italiane all’estero, realizzando inoltre due iniziative di grande spessore culturale: il comitato italo-francese di studi storici con Jean Baptiste Duroselle, e l’analogo comitato italo-inglese con Christopher Seton-Watson.

In uno degli ultimi incontri avuti con lui nella sua bella residenza all’Aventino, gli ho posto una domanda imbarazzante: come va l’Europa? La sua risposta condensa il disagio che la situazione di stallo provoca in chi ha coltivato sin dai primordi la speranza di un cammino più spedito e più deciso nella direzione della federazione europea. Eccola: “l’Europa a 25*  è molto diversa da quella che avevamo immaginata durante la Resistenza come forma di reazione agli eccessi del nazionalismo fascista e soprattutto nazista. L’unità dell’Europa era presente nei quaderni di “Giustizia e Libertà” come un’idea guida, impersonata poi più tenacemente da amici coi quali vi fu un’intensa collaborazione. Parlo di Altero Spinelli della Milano del 1947, e insieme con lui, di Leo Valiani, Mario Paggi, Ernesto Rossi, i capostipiti del pensiero europeista in Italia. L’espandersi dei problemi nazionali può infatti determinare una deviazione dal progetto originario dell’Unione, trasformandola in una conferenza diplomatica di vecchio tipo”.

Il suo stile di scrittura riflette il carattere emiliano della migliore lega, che si nutre, oltre che dei fumi di quella buona cucina, di uno spirito sobriamente ironico che gli permette di affrontare situazioni scabrose di cui è pieno il suo carnet della vita militare, come quando, durante la guerra in quel di Tobruk, giocò una beffa al generale Rommel, inserendosi con i suoi soldati nelle riserve tedesche per prelevare carburanti e viveri di conforto. I suoi diari sono zeppi di immagini di uomini che hanno fatto la storia negli ultimi decenni, e coi quali ha avuto a che fare, da Parri a De Gasperi, Saragat, Fanfani tra gli italiani, De Gaulle, Kruscev tra gli stranieri. Negli ultimi tempi ci ha rivelato un lato nascosto della sua esperienza letteraria disegnando per “Nuova Antologia” dei gustosi medaglioni di illustri scrittori e artisti da lui frequentati, come  Sergio Solmi, Arrigo Cajumi, Arrigo Benedetti,  Elio Vittorini, Angelo Magliano, e via via, tanti altri portenti dell’intellighentia nostrana: Mario Pannunzio, Geno Pampaloni,  Giovanni Titta Rosa, Felice Carena, Cagli, Capogrossi, Rosai, insomma un vero Gotha della cultura italiana.  Come se tutto ciò non bastasse, Enrico Serra lascia una densa bibliografia sulla diplomazia e sulla politica estera italiana: volumi che hanno anche il pregio di una dilettevole lettura.

L’AGE serberà cara la sua memoria unendosi affettuosamente alla sua famiglia: la signora Jolanda, suo braccio destro, il figlio Maurizio, diplomatico e scrittore, la figlia Ilde-Manuela, il genero Aldo, i nipoti Massimo e Filippo-Emanuele.
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* oggi a 27 (nota della redazione)

 

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