Il 14 luglio del Parlamento Europeo |
di Marcello Palumbo
In realtà, la presa della Bastiglia, come ormai è noto anche agli alunni delle classi elementari, di prima e dopo la riforma Gelmini, fu più che altro un gesto simbolico, in quanto nella famigerata prigione voluta da Richelieu, di prigionieri politici da liberare non v’era neppure l’ombra. In passato, sì, vi avevano soggiornato, tra gli altri, Voltaire, Fouquet, Mirabeau, oltre a Cagliostro e al Marchese de Sade, ma in quel giorno di luglio, erano rimasti solo cinque ladri e due fastidiosi soggetti dei quali le rispettive famiglie avevano voluto disfarsi. Tuttavia, a parte le 32 Guardie Svizzere trucidate, la sommossa ebbe l’effetto di un imprevisto sostegno a quella classe, che poi tanto popolare non era, poiché trattavasi della borghesia, ma il popolo intuiva già che in un secondo tempo sarebbe arrivato anche lui a condividere l’onere del potere. Ma veniamo ai giorni nostri. A giudicare dai numeri, e cioè dalle percentuali di affluenza alle urne, questa volta il consenso popolare è stato più che mai latitante. E ciò per vari motivi. In primo luogo perché il Parlamento Europeo, tra codecisione, ponderazione dei voti, minuziosa legislazione sui processi produttivi e simili, non gode di grande fortuna presso l’opinione pubblica. Si ha un bel dire che nel complesso organigramma europeo il Parlamento è l’unica istituzione veramente democratica. Non bisogna confondere il concetto di democratico con quello di elettivo. Che il Consiglio Europeo costituito dai governi dei 27 Paesi non sia un organo democratico è tutto da provare, anche se gli esecutivi rappresentati non sono sempre il fior fiore dell’europeismo. Lo stesso discorso vale per la Commissione, la Corte di Giustizia, gli organi finanziari. Un esempio clamoroso della vacuità di certi luoghi comuni, che circolano anche nelle migliori famiglie dei più strenui sostenitori del processo di integrazione europea è, appunto, l’indipendenza degli istituti finanziari dalla politica che è un vanto dei regimi democratici, ma che viene interpretato talvolta come una anomalia da correggere. Parimenti, gli istituti di controllo non sono in genere per nulla elettivi negli Stati moderni, come non lo è la magistratura, tranne per quanto se ne sappia, che negli Stati Uniti. Il deficit democratico è cosa ben diversa, e consiste, semmai, nella scarsa abitudine dei partiti di volgere lo sguardo al triangolo Bruxelles-Strasburgo-Lussemburgo quando si affrontano le elezioni europee, nonché in tutti i giorni feriali. Un altro dei luoghi comuni persistenti è l’accelerazione dei processi storici. Non è affatto vero che i ritmi siano più rapidi di quelli di una volta. La prima Assemblea della Comunità europea risale al 1958, poi trasformata in Parlamento Europeo, e questo a sua volta, dopo aver estratto i suoi membri dai Parlamenti Nazionali per un ventennio, da 30 anni viene finalmente eletto a suffragio universale diretto. Dunque sono passati 50 anni durante i quali nessuno nega che Strasburgo abbia allargato il suo raggio d’azione e accresciuto il suo prestigio. Ma molto più in fretta lavorarono i loro colleghi francesi del secolo XVIII, anche se insieme ad essi lavorò con fervore la ghigliottina (esempio da non imitare). Proviamo a riscoprirne la cronologia. 1789: 5 maggio, apertura degli Stati Generali, 17 giugno, giuramento della Pallacorda, 26 agosto, Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo; 1791-92 Assemblea Legislativa, ‘92-‘93 Convenzione, ’93-’94 Terrore, ’95-‘99 Direttorio. Nel frattempo entra in scena – è l’anno 1796 - Napoleone Bonaparte! Dunque tutto va “au ralenti” in questa Europa che stenta a riconoscersi nelle sue discusse, tormentate istituzioni, e nei Trattati che in varie occasioni alcuni dei suoi popoli (Danimarca, Francia, Olanda e Irlanda) hanno bocciato. Ma qualcuno pensava forse che il processo di unificazione di un continente litigioso come quello europeo, dal quale George Washington consigliava gli americani a prendere le distanze per non impegolarsi nelle sue diatribe, sarebbe stato simile al percorso di una palla di bowling che abbatte in un colpo solo tutti i birilli? Adelante Pedro, con juicio, ammoniva il manzoniano Vicario. Puntiamo, sì, con perseveranza e insistenza sulla sognata Federazione, ma accompagniamone il cammino con salutare ottimismo, senza farci scoraggiare dalle forze che remano contro. Il miracolo dell’Unione Europea è proprio questo: che si va formando senza sparare nemmeno un petardo. Non così la storia della formazione delle grandi e piccole Federazioni: gli Stati Uniti d’America si costituirono attraverso due guerre: quella d’Indipendenza e quella di Secessione, la Svizzera ebbe per balia la guerra del Sonderbund, la Federazione tedesca si costituì a seguito della guerra prussiano-francese del 1870. Le baruffe parlamentari sono sempre preferibili alla voce del cannone, come si diceva una volta. Ma ci auguriamo che il Parlamento Europeo, che ha trasmesso alcuni “input” non indifferenti allo stile di lavoro di tanti Parlamenti nazionali ancora imbalsamati nella retorica ottocentesca, non receda da questa sua caratteristica di modello aggiornato per la democrazia moderna. Certi segni che riguardano la struttura dei gruppi parlamentari e la subdola tendenza al vieto parlamentarismo insinuano qualche sospetto sulla sua esemplarità. La sessione che si inaugura il 14 luglio ha il nobile compito di fugare questi dubbi. Marcello Palumbo
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