Danzica, un dramma lungo mezzo secolo |
di Elzbieta Cywiak Il settantesimo anniversario dell’inizio della II guerra mondiale, celebrato il 1° settembre scorso sulla penisola di Westerplatte nei pressi di Danzica, ripropone non soltanto delle riflessioni sulle ragioni che portarono a quell’apocalittico conflitto, ma principalmente sul duplice dramma subito dalla Polonia prima come vittima dell’aggressione nazista del 1939 e poi, a guerra finita, come vittima degli accordi tra i paesi dell’Occidente e l’Unione Sovietica. Dalla prospettiva polacca, infatti, gli accordi di Jalta non potevano che essere percepiti come un tradimento, o addirittura come un perfido inganno, che obbligò Varsavia a rimanere sottomessa all’influenza di Mosca, anche se ciò – come solitamente ripetono alcuni commentatori occidentali - servì ad assicurare la pace al continente europeo. E’ il caso di richiamare il pensiero dello storico britannico Norman Davies quando afferma che tra i paesi coinvolti nel conflitto non si riuscirà mai a trovare una concordanza di opinioni sulle cause che scatenarono le vicende belliche e sulle colpe di ognuno. Gli americani, i russi, gli inglesi, i polacchi, tutti possiedono una verità propria e se vi e’ disaccordo tra gli storici, tanto più la discussione prosegue nell’opinione pubblica. Vi sono tuttavia alcuni fatti incontestabili. A cominciare dal mancato soccorso da parte degli alleati occidentali ai polacchi aggrediti dai nazisti, anche se il 3 settembre 1939 la Gran Bretagna, la Francia, la Nuova Zelanda e l’Australia dichiararono guerra alla Germania di Hitler. La Polonia, da sola, cercò drammaticamente di tenere testa al nemico finché fu possibile sperando nell’intervento degli alleati occidentali. E invece poco più di due settimane dopo, in seguito agli accordi segreti del patto Ribbentrop-Molotov siglato il 23 agosto 1939, l’Armata Rossa attaccò il paese dall’est, occupando i territori orientali e procedendo al quarto smembramento del Paese (dopo i tre subiti nella seconda metà del Settecento ad opera dei limitrofi Russia, Prussia ed Austria). La Polonia, dunque, vittima di due imperialismi totalitari, quello di Hitler e quello di Stalin. Il dittatore sovietico era colpevole, tra l’altro, delle deportazioni in Siberia e del massacro di Katyn dove nel 1940 furono trucidati 22 mila ufficiali dell’esercito polacco. E’ facile capire perché a Jalta furono calpestati gli interessi della Polonia: la Conferenza era ospitata proprio da Sralin nel suo ruolo di principale avversario del nazismo dopo che nel giugno 1941 l’Urss era stata aggredita dai tedeschi. Purtroppo a Jalta non si tenne conto nemmeno dell’enorme contributo dato dalle Forze armate polacche - sotto il comando del generale Wladyslaw Sikorski (che fu anche a capo del governo polacco in esilio a Londra) - alla lotta contro il nazismo, a fianco dei britannici. Circa 500 mila soldati polacchi furono impegnati su vari fronti, nella “Battaglia d’Inghilterra”, in Medio Oriente e nella liberazione dell’Italia dai nazifascisti, basterà citare l’arduo scontro di Monte Cassino. A Jalta non furono prese neanche in considerazione l’importante aiuto dato dagli specialisti polacchi per decifrare il codice “Enigma”, che permise di salvare la vita a molti combattenti alleati, e infine le preziose informazioni che i britannici ricevevano durante la guerra grazie all’intelligence e alla resistenza polacca attiva nelle terre occupate dai tedeschi. Pochi sanno che, malgrado questo importante contributo, ai reparti polacchi venne negato di partecipare a Londra, alla fine della guerra, alla “Parata della Vittoria”! Non deve quindi stupire che i risultati dell’ ultimo sondaggio tra i polacchi sull’esito del secondo conflitto mondiale evidenziano che solo il 31% degli intervistati ritiene che è stata la Polonia a vincere la guerra. Lo stesso 31% è dell’avviso che non è stata per la Polonia una vittoria completa, mentre il 23% considera che il paese non è uscito vittorioso dalla seconda guerra mondiale. La sconfitta della Germania aveva generato in Polonia l’entusiasmo, ma vi era anche amarezza, poiché la maggioranza dei cittadini si era immaginata la vittoria sul nazismo in modo alquanto diverso. Al quesito se la vittoria era “mutilata” gli intervistati hanno risposto indicando la sottomissione all’Unione Sovietica, la perdita delle terre orientali (a favore dell’Urss) e la distruzione del paese. Gli intervistati hanno messo soprattutto in rilievo che la guerra è cominciata ed è finita con il tradimento dell’Occidente e che in conseguenza di ciò alla Polonia, dopo la perdita di 6 milioni dei suoi abitanti, è stato imposto il comunismo. Durante il periodo delle spartizioni polacche, nel corso dell’Ottocento, nella coscienza nazionale dei polacchi era viva l’idea messianica della “Polonia Cristo delle Nazioni”, espressa dai suoi sommi poeti romantici che investiva la sofferenza di questa nazione di uno speciale compito di liberazione e di redenzione nella storia d’Europa. Sembra che vi sia ancora un riflesso di ciò quando gli intervistati di oggi ritengono che i polacchi sono la nazione che più abbia sofferto delle conseguenze della seconda guerra mondiale (si mettono alla pari in pratica solo con gli ebrei). E se molti sono gli elementi per convalidare questa opinione, ciò nondimeno, forse non sono da trascurare gli inviti ai polacchi, da parte di alcuni autorevoli storici, come appunto l’inglese Norman Davies, di abbandonare il cosiddetto “polono-centrismo” e mostrare sensibilità anche verso le sofferenze delle altre nazioni. Non è da escludere che ciò possa rendere la voce della Polonia più ascoltata nel mondo. Il ruolo della Polonia appare comunque particolarmente significativo per sanare le ferite dell’Europa divisa dalle conseguenze della II guerra mondiale. Danzica così come è stata il luogo delle prime vittime dell’assalto nazista, è stata anche la culla di Solidarnosc, movimento che ha guidato la Polonia alle elezioni libere, ispirando gli altri paesi del socialismo reale ad intraprendere la stessa strada. E’ stato un cammino lungo mezzo secolo, fino alla caduta del Muro si Berlino Elzbieta Cywiak
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