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In Turchia il 48° Congresso internazionale dell’Associazione dei Giornalisti Europei
Roma, 5 ottobre 2010 – “Il ruolo dei media e del turismo nella soluzione dei conflitti tra le nazioni e nella società” è il tema del 48° Congresso e dell’assemblea internazionale dell’Associazione dei Giornalisti Europei, in programma ad Ordu, in Turchia, dal 7 all’11 ottobre. Nella cittadina del Mar Nero saranno presenti i giornalisti delle sezioni nazionali dell’AJE/AEJ. La delegazione italiana sarà guidata dal segretario generale dell’AGE Carmelo Occhino, vicepresidente internazionale dell’Associazione. Il congresso di quest’anno assume una particolare valenza, dal momento che si tiene in un paese che bussa alle porte dell’Unione europea. Uno dei temi di dibattito sarà “Turchia, un’occasione o un peso per l’Europa?”. Sono previste tavole rotonde sulla libertà di stampa e sul futuro dei media. Sull’ingresso della Turchia nell’UE, un appello ai congressisti è stato indirizzato da Marcello Palumbo, che è stato tra i fondatori dell’Associazione dei Giornalisti Europei: L’ingresso a pieno titolo della Turchia nell’Unione Europea è non soltanto auspicabile ma essenziale, indispensabile per la completezza della cornice europea, allo stesso modo che l’Unione Europea costituisce un fattore fondamentale di maturità, di stabilità e di equilibrio internazionale nelle relazioni della Turchia col continente europeo e col resto del mondo all’alba del XXI secolo. I tempi possono sembrare lunghi e le diatribe inopportune per chi non conosce l’evoluzione della Comunità, prima, e dell’Unione, poi. Giova rammentare alcuni precedenti per ricavare da essi utili indicazioni. Le cronache delle Istituzioni e dell’allargamento insegnano che entrambi questi processi hanno avuto un andamento non esente da arresti, retromarce e rifiuti, ma tuttavia si è andato avanti, come attesta l’attuale status dell’Unione Europea. Va ricordato che Robert Schuman, dopo il discorso del 9 maggio 1950, si recò come prima tappa a Londra, dalla quale ebbe un rigetto all’invito ad entrare nella CECA. Non migliore sorte fu riservata dal Continente al Regno Unito, il quale dovette attendere dieci anni, dal 1961 al 1971, per ottenere il via libera all’ingresso, che De Gaulle aveva rifiutato per ben due volte: al governo conservatore di McMillan nel 1963 e a quello laborista di Harold Wilson nel 1967. Esperienze negative hanno subito anche le Isole Faroe, la Groenlandia, la Norvegia e la Svizzera, i cui elettori hanno tenuto lontano i rispettivi territori dall’Unione Europea, capovolgendo coi referendum popolari, in alcuni di questi casi, gli impegni sottoscritti dai loro governi. Alla luce di questi e di altri eventi, come la tormentata approvazione dei Trattati che hanno dato vita alle Istituzioni comunitarie, appare veramente profetica la predizione di Schuman: “l’Europa non si farà tutta in una volta, né con una costruzione d’insieme: si farà attraverso realizzazioni concrete, creatrici di una solidarietà di fatto.” Ora questa solidarietà, sancita dalla partecipazione a numerose organizzazioni e consessi internazionali, accomuna da molti decenni la Turchia ai Paesi del Vecchio Continente, e rappresenta una base sicura per una più stretta corresponsabilità, quale quella richiesta dall’Unione Europea. Nella quale Unione si sono riversati una gran parte degli ex imperi che dominavano il pianeta. La storia ci riconduce, inoltre, a una continuità tra l’impero romano d’Oriente e l’impero ottomano. Tutti i retaggi di questi grandiosi e drammatici organismi si dovevano dissolvere per ricostituirsi in un servizio di pace e di democrazia nell’ambito dell’Europa contemporanea. Un servizio di civiltà reso al mondo intero! Un servizio che presuppone l’umiltà dei popoli nel riconoscere gli errori da cui nessuno di essi è esente, come dimostra la storia del secolo scorso funestato da due guerre mondiali, entrambe di origine europea. Non si stanchi, dunque, il popolo della Turchia che da 27 anni attende il disco verde di Bruxelles. Anche l’Europa attende la Turchia, quell’Europa il cui quesito maggiore, oggi, non è la grave crisi economica che stiamo attraversando, unitamente al resto dell’occidente, quanto il declino demografico che nasce da un ripiegamento riguardo alla dottrina di vita, e che comporta seri interrogativi per il suo futuro peso specifico rispetto agli altri continenti. Anche sotto questo profilo l’ingresso della Turchia nell’Unione offrirà un opportuno segnale di ringiovanimento e un esemplare immissione di fresca energia. Il nostro appello di giornalisti e di comunicatori europei è di affrettarne l’auspicato ingresso!
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